Dietro al parlare è sottesa un’attività cognitiva complessa che richiede la coordinazione di molte operazioni diverse in tempi brevi tenendo conto che l’eloquio sviluppa 10-20 fonemi al secondo. Possiamo dire che il lavoro cognitivo per parlare è la trasformazione da pensiero al parlato. L’impressione di parlare a parole è dovuta al fatto dell’eloquio interno per l’immagazzinamento uditivo-verbale, ma in realtà non stiamo pensando a parole. La neuropsicologia cognitiva ha avallato quanto sostenuto da Fodor individuando chi ha perso la capacità di elaborare concetti, ma ha mantenuto il linguaggio normale. La ricerca cognitiva degli ultimi decenni indica che pensiamo in due formati: in immagini mentali e proposizioni mentali. Il parlare, benché sia un’attività motoria, si differenzia dalle altre abilità motorie perché 1) esprime pensieri e 2) lo schema di guida dei movimenti è linguistico.
Della produzione del parlato sappiamo poco, della comprensione ancora meno. La difficoltà è nel realizzare esperimenti in quanto lo stimolo che induce il parlato è all’interno della mente del soggetto e più che controllare la produzione non si può. Con l’osservazione delle produzioni fallaci si dimostra come il meccanismo si può inceppare. Nei lapsus linguae alcune parti del discorso (target), vengono sostituire da altre (intruse). L’errore è sempre allo stesso livello gerarchico e sono vincolati al target per nesso contestuale o extra-contestuale. Nelle metatesi o spoonerismi due elementi della frase vengono scambiati, nei casi estremi vengono prodotte crasi, fusioni di due parole. Nelle anticipazioni abbiamo elementi che appaiono prima di quando dovrebbero, mentre nelle perseverazioni un elemento compare all’interno di un elemento successivo. Nelle inversioni fonemi di parole adiacenti vengono scambiati, nelle derivazioni i morfemi di derivazione. I malapropismi consistono, come per la paronomasia, nella sostituzione di una parola con una che assomiglia superficialmente. Infine i lapsus semantici, quelli di Freud, in cui si utilizza una parola nel circuito semantico della parola bersaglio.
Mentre parliamo l’eloquio tende ad interrompersi e in genere si distinguono esitazioni o non-fluenze (0,2 a 2 secondi) e pause. Quest’ultime possono essere pause piene, respiri sonori e vocalizzazioni, e silenzi. Le pause in genere sono dei lassi di tempo in cui il parlante costruisce la frase o elabora scelte lessicali. Il fenomeno della “punta della lingua” o tip-of-tongue suggerisce che nella memoria le parole e i concetti siano immagazzinati in più formati e ci sono più operazioni per evocarli.
Altri spunti interessanti della neuropsicologia sono tratti dall’afasia grammaticale o agrammatismo, una condizione per la quale una persona è in grado di comprendere, conosce i termini, ma non è in grado di strutturare le frasi. Di particolare interesse sono anche i disturbi che vanno sotto l’etichetta anomia, cioè la difficoltà o impossibilità nel reperire la parola giusta. L’intoppo varia da caso a caso e può essere in vari posizioni dell’eloquio, anche al livello di reperimento del formato fonologico.
Ogni eloquio ha due fasi successive: 1) pianificazione e 2) esecuzione. Per i comportamentisti la pianificazione non era un passaggio, tanto che Skinner ha elaborato un modello delle risposte a catena che prevedeva che ogni parola dell’eloquio fosse lo stimolo della parola successiva, ma gli spoonerismi e le anticipazioni possono già contraddire il modello perché parti che stanno dopo influenzano parti che stanno prima. Progettiamo una proposizione alla volta e se non ci riuscissimo ci fermiamo almeno al primo sintagma. Esitazioni o pause all’interno del sintagma servono a reperire parti lessicali, non a strutturare la frase. Come accennato prima la pianificazione non avviene per tutto insieme, ma grossomodo come descritto nei livelli della struttura del linguaggio, tanto che i lapsus interessano i fonemi o i morfemi o la sintassi producendo errori su un determinato livello, non si scambia un morfema con una sillaba o un morfema di radice con uno di derivazione. La prima parte implica una decisione se elaborare o meno l’eloquio, come produrlo e che conseguenze relazionali ha. Poi parte la codifica sintattica, questa parte dai lemmi, la rappresentazione mentale della parola, successivamente le si assegna un ruolo sintattico. Poi avviene la codifica morfologica, adeguando le parole alle regole. Di seguito avviene una codifica fonologica a guidare l’articolazione della parola. Una specificazione segmentale definisce la sequenza di fonemi e una specificazione metrica dove far cadere accenti. La sequenza delle codifiche è semantica – sintattica - fonologica, quindi concetti – grammatica - suoni.
Secondo Garrett i moduli lavorano in serie, cioè quando un’operazione è finita l’output passa alla successiva. Dell invece sostiene che avvenga in parallelo, con processi asincroni e questo spiegherebbe errori che determinano il fenomeno della superiorità della parola. Quando si sbaglia un fonema la parola uscente ha comunque un senso.
Nella fase esecutoria la frase codificata a livello fonologico viene articolata tramite comandi all’apparato fonatorio. Ma il sistema non può limitarsi alla mera sequenza dei comandi, ma è più complessa e flessibile. Gli effetti di coarticolazione sono esemplificativi, di fatto i suoni vengono costruiti in basi all’inerzia dei suoni precedenti, cioè dipendono dall’assetto dell’apparato in quel momento, quindi è dinamico. Nella coarticolazione perseverativa o progressiva i segmenti precedenti influenzano la produzione dei successivi, viceversa nella coarticolazione anticipatoria o regressiva i segmenti precedenti sono influenzati dai successivi. Fenomeno tipico della coarticolazione è la sottospecificazione, cioè un fono non è stato pronunciato completamente per la configurazione dell’apparato.
L’apparato fonatorio è formato da una serie di cavità successive. Polmoni, bronchi e trachea sono responsabili della spinta dell’aria all’interno del tratto vocale: laringe, faringe, cavo orale e cavo nasale. La maggior parte dei suoni viene prodotta da un movimento egressivo, da dentro a fuori, ma alcuni al contrario dal movimento ingessivo. All’interno della laringe troviamo le corde vocali, delle membrane che ostruiscono il passaggio dell’aria. Dipendentemente dalla chiusura viene determinata la vibrazione e i suoni sordi e sonori. Oltre all’apertura possiamo determinare l’angolatura dando vita ad un registro di petto, più grave, o di testa, più acuto. Di solito il velo palatino non lascia attraversare il flusso nella cavità nasale chiudendo la cavità orofaringea. La cavità orale modula il suono proveniente dalla laringe cambiando assetto alla lingua, labbra, mascella. I suoni vocalici sono prodotti dal libero passaggio dell’aria attraverso la cavità, mentre i suoni consonantici trovano un ostacolo in un luogo di articolazione. Nelle esplosive o occlusive il flusso incontra un ostacolo che lo costringe a uscire di colpo; le costrittive l’ostacolo è parziale e produce turbolenze. A seconda della turbolenza si distinguono le fricative, le sibilanti e vibranti.
Grazie.
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