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lunedì 22 dicembre 2014

Antropologia sociale: nascita di un genere: il video etnografico

L'originalità dell'antropologia visuale è la sua doppia natura di essere un documento scientifico e una rappresentazione visiva delle forme antropologiche, cioè la vita vissuta. L'osservatore antropologo di professione ha l'occhio del professionista, ma essendo lì mentre la cultura ha luogo e non sulle parole astratte, è pronto a stupirsi e farsi coinvolgere. Non vi è miglior modo di rappresentare la cultura; il medium visuale fornisce una cascata di riferimenti analogici e indessicali che possono essere catturati da altri osservatori dopo che l'evento è avvenuto.
Il "grande cinema" e il documentario etnografico nascono contemporaneamente. Già i fratelli Lumière  riprendono una vasaia wolof durante l'Esposizione dell'Africa occidentale a Parigi nel 1895. Ma i veri antenati totemici vennero dopo. Margaret Mead e Gregory Bateson, Dziga Vertov e Robert Flaherty. Chi li battezzò così fu Jean Rouch.
La diversità degli approcci antropologici si può notare anche negli stili. Lo stile descrittivo è legato ad una visione positivista che influenzò la prima antropologia evoluzionista e diffusionista. La ricerca dell'oggettività è anche nelle tecniche di ripresa e di montaggio: inquadrature fisse, campi lunghi in modo da comprendere le scene nella loro interezza. Il montaggio non aggiunge commenti tramite le immagini e si limita all'apposizione delle sequenze. Vi è una voce narrante anonima che commenta i particolari dell'evento filmato. La pretesa di asetticità, di essere l'occhio senza corpo, non regge. Come viene scelto l'evento profilmico – la realtà ripresa? Nel contemporaneo linguaggio antropologico ciò viene detto approccio etic, impersonale, contrapposto all'approccio emic, di coinvolgimento.
Lo stile espositivo esprime la stessa volontà di oggettività, ma tenta di rappresentare la vita quotidiana. L'approccio ha dato il via al documentario realista, ma il menù non è il pasto, il documentario non è la realtà.
Nello stile narrativo le immagini sono accompagnate da un commento che segue eventi visivi e sonori originali con funzione didascalica e contestualizzazione. La "voce di Dio" è anonima e onnisciente giudica ciò che ci viene mostrato. La televisione ha abituato alla presenza continua di un commento, ma l'evento diventa una sorta di necessità e non più una interpretazione di una contingenza.
Lo stile osservativo ha alla base la convinzione di potere rappresentare la vita così com'è in modo diretto. All'origine sta un modo particolare di filmare mutuato dal direct cinema americano di Frederick Wiseman, Richard Leacock e David Maysles. La cinepresa ha un tono distaccato e riprende gli eventi, anche di realtà sociali difficili, seguendo i loro ritmi. L'effetto di coinvolgimento è presente nello spettatore.
Vi è pur sempre un diaframma e questo è anche nel modo di rappresentazione, che non è neutro in quanto prodotto ed espressione della società occidentale. Al di là di una autopercezione retorica di "sguardo disincantato sul mondo", il film e video etnografico colgono modi di rappresentazione di una cultura che le sono propri. Essi però vengono ri-portati secondo le regole comunicative della narrazione filmica e de-codificati nei termini di un sistema di senso occidentale.
Attraversare confini percettivi: l'occhio e l'intero sistema sensoriale sono gli strumenti che ci permettono di superare la separazione tra noi e il mondo che ci circonda. Come abbiamo capito la percezione è utilizzata e allenata dall'uomo in modi culturalmente e storicamente peculiari; i dati vengono poi memorizzati in una rete di riferimenti e di scambi.
Attraversare confini tecnici: esistono delle regole del montaggio che permettono di riportare una continuità degli eventi catturati dalla pellicola e questo è già il segno di come tempo e spazio siano ricostruiti seguendo la logica dello strumento.
Attraversare confini semantici:  per sua natura l'immagine filmica è un segno indessicale, ha cioè un rapporto diretto con l'oggetto di riferimento. Nella finzione, lo spettatore ignora come le immagini siano prodotte e le trasforma in rappresentazioni attraverso un processo di interpretazione simbolica. Se applichiamo la terminologia semantica alle immagini, possiamo considerare l'evento filmico nella realtà diegetica come il significato e il modo in cui viene rappresentato il significante. Ambedue fanno riferimento al significato e ne sono quindi denotazione. Il processo continua nel significante di una connotazione, il cui significato è il riferimento simbolico. Sia il primo livello diretto della denotazione che il livello di connotazione sono motivati dalla realtà diegetica e si menifastano in catene sintagmatiche che forniscono una organizzazione alla rappresentazione filmica. Secondo i teorici della semantica cinematografica il film sarebbe ricco di catene sintagmatiche, metonimiche, ma povero di associazione paradigmatiche, metaforiche. In poche parole non riesce ad esprimere il "come". È in questa debolezza che la significazione simbolica si allaccia consciamente o meno a paradigmi culturali dell'autore e dello spettatore.
Attraversare i confini culturali: la realtà parla attraverso l'autore. È ingenuo pensare che il distacco positivista dall'evento profilmico sia effettivo. La scelta, la narrazione, le riprese e il montaggio sono a discrezione della cultura di chi sta riprendendo il film etnografico e perciò sono condizionati dalle idee e dai principi propri dell'autore.

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