Cerca nel blog

domenica 14 dicembre 2014

Filosofia delle scienze umane: dottrine filosofiche della percezione


Dottrina di Bergson, di Goldstein, di Straus e di Merleau-Ponty

L'opus di Husserl, ponendosi con originalità a confutare le dottrine moderne, assume al suo interno numerosi presupposti fondamentali. Il "qualcosa" della percezione è la cosa e la percezione sarebbe l'atto obiettivante che coglie la cosa come rappresentazione. Il percepiente viene caratterizzato come soggettività o coscienza e non viene indagato dando ragione ai presupposti empiristi ed intellettualisti non avanzando di un passo. La domanda aggirata è il "chi percepisce?" e la risposta obbligata è che è un vivente.

Bergson in Materia e memoria si allontana dalla tradizione partendo a chiedersi della percezione dalla vita. Percepire è agire e non contemplare. Tale presupposto viene a formarsi attraverso la constatazione che la vita è movimento e questo sarebbe l'unica cosa che il cervello potrebbe ricevere e produrre. A confermare la presa di posizione è la struttura del midollo, sede dell'azione riflessa, e la struttura cerebrale si osserva solo una differenza di complessità e non di struttura. Il cervello sarebbe un midollo molto complesso in grado di ulteriori analisi. La percezione dispone nello spazio quanto l'azione dispone nel tempo.

Goldstein suggerisce di concepire l'organismo dell'essere vivente come una totalità, un qualsiasi comportamento non può essere ridtto ad una reazione locale ad un agente. Il somatico, lo psichico, lo spirituale e l'ambientale non sono pezzi separati, sono momenti di una totalità. Il divenire vivente è caratterizzato da una tensione o una insoddisfazione che viene a scaturire dal "dibattito" con l'ambiente. La sensazione perciò non sarebbe un contenuto immaenente, ma comunicazione con il mondo. Il sensibile sarebbe un mediatore vivente dell'esteriorità: i blu di Cézanne sono l'organo della sua comunicazione col mondo.

Ascoltando Bergson e Goldstein, la percezione e il movimento sarebbero estremamente intrecciati; a fortiori non solo la consistenza dell'immagine è data dai movimenti saccadici dell'occhio, anche in alcuni pazienti neurologici detti "cerebellari" si assisterebbe ad un movimento associato a tonalità di colore, sicché potremmo dire che viene sentito il movimento. Quando il colore parla al corpo motore il senso è movimento, c'è dunque un'unità originaria tra sentire e muoversi? Il vivente non sente che per seguire il suo movimento e non si muove che per sentire meglio o di meno. Il muoversi del sentire è fare esperienza e percepire sarebbe passare ad altro. Rovesciando l'empirismo e l'intellettualismo, noi percepiamo nell'oggetto e non in noi.

Dunque percepire e fare-esperienza-di sono due momenti dello stesso atto. Il movimento che coglie l'oggetto non è solamente uno spostamento oggettivo e la soggettività non deve essere cercata altrove: per Straus a fare un essere senziente non sono gli organi fisiologici di senso, bensì la possibilità di avvicinare. Questa possibilità non è riducibile né alla sensazione né al movimento, avvicinare e approssimare nella distanza dello spazio. Il percepire sarebbe indistintamente sia "avanzata verso" che scoperta e svelamento. L'incontro percettivo è un accorcaimento della distanza spaziale e ontologica, ossia una tensione verso l'assenza di prossimità e di visibilità.
Incontrare è a-lontanare, ossia uscire dall'allontanamento: la prossimità conserva la distanza che scavalca. Mistero è la differenza e non l'unità, perciò si può dire che percepire è uscire da sé allargando il confine alla cosa stessa dispiegando la profondità conservata dalla distanza della cosa. Straus spiega che la distanza è determinata dalla portata dell'afferrare dell'essere in divenire e la profondità è qualcosa che appartiene all'oggetto stesso.

Merleau-Ponty rinuncia ad un certo punto della sua speculazione alla 'sensazione' in favore di 'raggio di mondo' (Il visibile e l'invisibile). Il raggio di mondo sarebbe ciò che è percepito nell'incontro e sarebbe una dimensione, un mondo per sé; percepire sarebbe perciò come scivolare nel mondo dal "soggettivo" all'essere. Il raggio di mondo è sia opaco che trasparente e dona il mondo cancellandosi, offre un certo incontro con il mondo. La percezione giunge perciò ad essere uno stile di incontro con il mondo, un incontro in movimento, in cui la coscienza sente nelle cose approssimandole.
L'adombramento ora può essere inteso come l'unità originaria di sentire e muoversi, un incontro con il quale il vivente fa apparire qualcosa cancellandosi preservando la distanza. La stezza nozione di 'oggetto' deve essere abbandonata, infatti l'oggetto era la necessità di dare una forma alle qualità e superare la soggettività delle sensazioni (che non possono essere che private). La percezione dunque va compresa come movimento e conservazione della distanza nella prossimità fenomenica, è un dono del mondo stesso per cui questo si apre e si libera. Il percepito è il mondo che si presenta e non un oggetto. Per qualificare le dimensioni del sentire sarebbe più opportuno parlare di elemento, nel senso originario di terra, acqua, aria e fuoco. L'elemento sarebbe uno stile d'essere realizzato, una qualità divenuta mondo da abitare essendone circondati e attraversati.

Possiamo dire con Barbaras che la percezione è colta dalla filosofia in due modi con risultati diversi. La percezione e il suo oggetto – empirismo e intellettualismo – esigono una distanza infinita, proprio come per la vista, quel senso per cui possiamo rimanere impassibili di fronte al dispiegamento del mondo. La percezione parla essa stessa invece nel senso, e i filosofi che toccano il mondo con il tatto, non riuscendo mai afferrarlo poiché sfuggente, colgono la percezione come sfumatura, come raggio di mondo senza oggetti, ma come elementi.
Il Sensibile di questi filosofi è il senso dell'essere, un senso ontologico, un senso dell'essere, in cui l'essere arriva a darsi a sé come il y a, come c'è. L'essere, non l'ente, è intrinsecamente sensibile e per questo ci sarebbe percezione. L'essere è più originariamente ciò che sente e la percezione va considerata perciò quello che l'essere esige per essere. Il Sensibile perciò sfugge alla ragion sufficiente, alla causalità, e rimane senza perché, senza bisogno di essere fondato, in quanto semplicemente il y a. C'è persuadendoci ogni volta come quel niente che non può mai diventare oggetto pur essendo qualcosa.

Conclusione

In estrema sintesi, la metafisica francese espone il corpo-proprio come arché. La percezione uno stile dell'essere – una modalità di inerire al mondo. E dunque il modo dell'essere è sentito-sentente. Il senso dell'essere è il sensarsi, farsi sentire e darsi un senso per poterlo fare. Cosa può far essere, compiere, l'essere se non l'essersi? Se il senso delle cose è il senso, il senso delle cose non è l'essere-per-lo-sguardo?

Nessun commento:

Posta un commento