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domenica 14 dicembre 2014

Filosofia delle scienze umane: l'implesso percettivo di Jacques Paliard

Jaques Paliard (1887-1953) è un allievo brillante del filosofo Maurice Blondel (1861-1949), il filosofo francese dell'azione. La teoresi del Maître d'Aix, Blondel, si pose nella corrente spiritualista di matrice cristiana in reazione al positivismo moderno. Come si diceva, la percezione è la condizione dell'esperienza e l'esperienza precede l'"empirico", ossia il sostrato dove i predicati acquistano verità. Ridurre la percezione ad un puro pullulare di meccanismi è cosa che non aggrada nemmeno i fisiologi e gli psicofisiologi di fine XIX secolo. Sin da dottorando Blondel si pose ad individuare la "logica inconscia della sensazione" e il pensiero di Paliard è impegnato nello scenario tracciato dal maestro.

Il testo in questione, Pensiero implicito e percezione visiva, oscuro e denso in quanto si tratterebbe di un abbozzo, tratta temi disparati in vista di più fuochi. La teoresi di Paliard è tutto meno che lineare, piuttosto è furiosa ed ha urgenza di dire. Potrebbe sembrare una nota a margine del monumentale Fenomenologia della percezione (in realtà si trovano delle glosse di Merleau-Ponty sull'abbozzo di Paliard), però nell'introduzione l'autore specifica una peculiarità della visione e specialmente della visione delle cose lontane, che a differenza delle vicine, queste smetterebbero la loro affordance e si lascerebbero contemplare nell'ordine dell'estetica e della conoscenza: la visione è un linguaggio che ci libera dai primi nostri stretti rapporti con il reale. Tutto l'abbozzo è un tentativo di sviscerare la percezione visiva per scoprirne la logica sottesa sottesa che permette la contemplazione, intesa come assenza di spontaneità vitale del pensiero in cui si mostrerebbe la relazione di conoscenza tra soggetto e oggetto. Con "abozzo di ottica psicologica" non si intende solo creare una scienza del percetto visivo in quanto percezione, in contrasto all'ottica geometrica (diottrica) e all'ottica fisiologica. L'ottica psicologica è piuttosto il mezzo per compilare una fenomenologia della percezione, indicando un metodo.
Cosa mi succede quando vedo le cose lontane, qual è l'ordine nascosto delle configurazioni visive? Dunque come funziona l'implesso percettivo? Nell'introduzione Paliard dà già un primato alla profondità e cerca di tratteggiarne un identikit filosofico. Nella percezione partecipa il pensiero, poiché la percezione è della forma.
Di seguito l'autore scompone i momenti del giudizio della percezione visiva e cerca di identificare dove avviene il miracolo della contemplazione. La percezione è una relazione irriducibile al percepiente o al percepito, è una dualità nell'unità. Grazie alla psicografia, mettendo la percezione à la tortùre, sarà possibile disarticolare gli elementi che conducono alla sintesi visiva (spaziale). Emerge così un lavoro implicito dove collaborano motricità, memoria e immaginazione.
In un primo detour epistemologico chiede in che modo il "verbo del pensiero implicito" (quello della percezione) e il "verbo del pensiero esplicito" (quello delle scienze) si continuano. Parrebbe ingenuamente che il pensiero esplicito sia un prolungamento del pensiero implicito, un suo perfezionamento. Invece sembra che tra i due ci sia una frattura insormontabile. L'illusione è dove monta lo iato, la zona dove si svela che le leggi dell'ottica e della fisiologia (sistema logico) e quelle della percezione (sistema dell'apparenza) divergono clamorosamente.
A questo punto Paliard è pronto ad abbozzare una formula pseudo-matematica dell'implesso per ciò che concerne la relazione grandezza-distanza: P=SD. La chiama espressione noematica del pensiero mediante punti di vista o equazione della coscienza. E così dalla psicografia sorge la psiconoematica, una generalizzazione strutturale di tutti i tipi di percezione (visiva, olfattiva, uditiva, tattile, ecc.) per mezzo dell'analogia strutturale di questi.
Il rilievo, che c'è solo quando c'è profondità, rappresenta per il filosofo un grandissimo banco di prova per tutta la sua teorizzazione. Anche qui sono cruciali le illusioni e il movimento, e a questo scopo viene adoperato un anaglifo che produce in noi la sensazione di rilievo. È un rilievo solo mentale o solo fisiologico? Come possiamo conoscerne la natura?

Implesso percettivo e primato della profondità all'origine dello spettacolo

Implesso: l'implesso, implexe, è una ipotesi di Paul Valéry (1871-1945): chiamo implesso l'insieme di tutto ciò che una qualsiasi circostanza può trarre da noi. Una scelta, una decisione, precipiterà nel reale sempre solo una parte del possibile: questa non solo sarà forse minima, ma niente potrà mai garantire che sia poi davvero quella essenziale. Ogni decisione è, alla lettera, s-pensierata, perché 'volere equivale a non tener conto di tutte le cose'.
Implesso non è attività [fare-qualcosa]. Tutto il contrario. È capacità [poter fare]. La nostra capacità di sentire, reagire, fare, comprendere – individuale, variabile, più o meno percepita da noi –,  e sempre in maniera imperfetta, e sotto forme indirette (come la sensazione di fatica), spesso ingannevoli. A ciò bisogna aggiungere la nostra capacità di resistenza... [...] Riassumendo intendo per implesso ciò in cui e per cui siamo eventuali... Noi, in generale; e Noi, in particolare.... L'implesso, infatti, è definito come una memoria potenziale o funzionale proprio in opposizione alla memoria storica, legata cioè ai ricordi personali [...]. Poiché il passato ha valore solo come elemento d'avvenire, le reliquie della vita vissuta sono del tutto prive d'interesse.

Implesso percettivo
: la dottrina della "logica nascosta della percezione" in Paliard produce il concetto di implesso percettivo. Questo nucleo nascosto ha un luogo prossimo alla percezione e all'intellizione occupandosi della comunicazione tra i due; permetterebbe di dire che quel che percepiamo è quella cosa senza il nostro impegno cosciente costitutore. L'implesso percettivo si ocuperebbe della forma del sentito, ed è già perciò pensiero, pensiero implicito della percezione. Implicito perché come l'inconscio agisce dietro le quinte senza l'intervento attentivo, ci agisce.
Le figure care ai gestaltisti sarebbero un terreno ideale per indagare sul fenomeno del pensiero implicito. Se dovessi dire solamente ciò che la percezione ha già pensato della figura ambigua allora non potrei riconoscere le illusioni percettive, eppure riconosco sia ciò che percepisco sia ciò che razionalmente credo essere il dato di fatto. Sembra, in primo luogo, che il pensiero implicito preferisca un'illusione all'indeterminazione.

L'illusione di Sinstenden rappresenta la sagoma di un mulino in controluce. Dal disegno non si riesce veramente a decidere razionalmente se la pala sia posta verso di noi o sia posta nella nostra stessa direzione, cioè dietro al mulino. Il fatto è che percepiamo una profondità inesistente che pone la pala da qualche parte. La 'profondità inesistente' e la 'pala da qualche parte' sono il prodotto dell'implesso percettivo e del suo lavorio dietro le quinte. L'illusione è realmente vissuta ed è lì.
La dimensione della profondità, che dona il vicino e il lontano – ossia la distanza –, sembra avere un ruolo centrale per avvicinarci al funzionamento dell'implesso percettivo. La profondità non è solamente un dato estetico – sentire la distanza –, è prima un dato noetico – è qualcosa di conoscibile.

Percezione della distanza: la profondità è la legge dello spettacolo e si realizza (si percepisce) come effetto di insieme. La percezione della distanza è inizialmente data da qualcosa che la percorre e si dona al quadro visivo (spettacolo) come profondità. Paliard pone questo "percorso" come origine della profondità e, di seguito, parla di "segni evocatori" che debbono presentarsi contemporaneamente per creare il movimento da percorrere. Questi segni sarebbero i gradi di accomodamento e convergenza (oculare), ma non si deve credere che la profondità sia una conseguenza della meccanica degli occhi, piuttosto è presupposta a tali segni.
Nella nota si trova qualche chiarimento in merito a queste descrizioni. Il dibattito sulla profondità non è cosa nuova e gli studiosi a cui si riferisce Paliard sono Lachelier e Lavelle. Il primo spiega che lo spazio e l'estensione siano idee dedotte dalla visione, quindi a posteriori di ragione. Lachelier spiega che un cieco dalla nascita non avrebbe senso di profondità perché non ha nemmeno il concetto di estensione, ma solo di durata temporale. Lavelle contesta la posizione di Lachelier dicendo che l'universo non è uno spettacolo per chi lo percorre ma un campo d'azione e la profondità sarebbe percepita dalla variazione di posizione del nostro corpo. Paliard dice che il tempo scende nello spazio.

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