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sabato 13 dicembre 2014

Psicologia dell'apprendimento: effetti dell'intelligenza sull'esperienza e sull'educazione

In che misura la nostra intelligenza è influenzata da fattori innati e quanto dall’esperienza? La correlazione ereditaria per quanto riguarda l’intelligenza è molto alta, il 70%. Già Galton (1896) aveva dichiarato che la genialità è ereditaria. Ma fino a che punto un individuo può manifestare la sua intelligenza? La scuola comportamentista affermava che l’individuo è il prodotto del proprio ambiente. Ideologie progressiste nei genitori portano senz’altro i figli a esperienze intellettuali che li possono aiutare. Non è affatto raro che figli di importanti esponenti di una disciplina diventino a loro volta molto competenti. Però appare esagerato affermare che la psiche di un individuo sia completamente plasmabile da enti educativi come affermavano i comportamentisti.
Sappiamo che la deprivazione sensoriale in bambini nei primi mesi di vita può comportare serie difficoltà di apprendimento nelle tappe evolutive successive. Un bambino può essere anche geneticamente dotato, ma senza le opportune sollecitazioni il suo sviluppo intellettivo ne risente. Nel corso degli anni si sono accumulate teorie e pratiche, più o meno ambiziose, su come sviluppare l’”intelligenza” attraverso l’educazione.
Flynn effect è il fenomeno per il quale con il passare delle generazioni l’indice di intelligenza aumenta mediamente. Il fenomeno è stato confermato più volte e si assume che sia dovuto alle migliori condizioni socio-economico-culturali maturate con il tempo. Per quanto durerà ancora l’effetto Flynn? Si stima che l’aumento medio dell’intelligenza non sia destinato a perdurare, ma a stabilizzarsi nonché invertirsi con l’avvento di tecnologie che “instupidiscono” i giovani, come TV, videogames e computer.
Dire che l’intelligenza è influenzata dal 70% dalla genetica, significa dire che una quota non trascurabile, il 30%, è dipendente da altri fattori. Già dall’inizio del secolo si è coltivato l’interesse per bambini giudicati meno intelligenti e si sono instaurati modelli educativi atti all’integrazione. Una ricerca americana (1984) ha individuato degli indici macroscopici per individuare individui a rischio: figli di giovani ragazza madri, povere e di basso livello intellettivo. Ricerche successive (2004) ha dimostrato che senza un intervento su questi bambini nel futuro sarebbero stato una spesa per la società. Questi individui spesso, diventati adulti, hanno una storia problematica che sfocia in devianza e criminalità.
Sono stati messi in atto programmi sia per migliorare le abilità cognitive di base (memoria, attenzione, percezione, abilità linguistiche, etc.) e abilità di apprendimento più complesse che già la scuola stimola. Un altro filone di interventi ha cercato di migliorare la conoscenza delle proprie facoltà cognitive, interventi, dunque, metacognitivi. Ad esempio, è stato valutato l’atteggiamento verso la propria intelligenza. Recenti ricerche di Dweck (2000) hanno dimostrato come bassa credenza sulla propria capacità di apprendere, bassa autostima e autoefficacia portano a un circolo vizioso assolutamente pericoloso per l’individuo. L’intervento mira appunto al far cambiare idea, di far capire che l’intelligenza è un tratto modificabile. Altri interventi metacognitivi puntano a fornire una “teoria della mente” e a insegnare ad essere attivi costruttori del proprio apprendimento.
Occorre prestare attenzione anche all’intelligenza degli anziani. Spesso sono soggetti a sindromi degenerative, ma biologicamente le capacità tendono a decrescere con l’aumento dell’età, mantenendo intatte le abilità apprese, ma rendendo la mente meno elastica e disposta all’imparare. Training molto brevi hanno dimostrato che possono ridurre il logoramento dell’intelligenza fluida.
Se l’ipostimolazione in età evolutiva è dannosa, l’iperstimolazione è produttiva? A quanto pare non è la quantità, ma la qualità degli stimoli ad essere importante. Una ricerca del 2000 ha rilevato che i fattori più importanti per “produrre un genio a tavolino” sono: 1) qualità delle esperienze scolastiche; 2) caratteristiche della famiglia; 3) abitudini di studio; 4) relazioni; 5) aspettative e obiettivi per il futuro; 6) autostima.

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