Le tecniche di neuroimmagine ormai dipanano ogni dubbio che l’intelligenza non sia un prodotto spirituale, ma una manifestazione dell’attività cerebrale, e quindi fisica. Con “basi biologiche” non si asserisce che manifestazioni psicologiche e tessuti organici siano la stessa cosa, ma che entrambi co-occorrono per evitare affermazioni teoretiche troppo forti.
Studi effettuati su gemelli omozigoti separati alla nascita forniscono solide prove correlazionali sull’influenza di genoma identico e misure di intelligenza. Gli studi psicobiologici affermano che fattori ereditari, quindi genetici, comportino un’intelligenza potenziale, ma ovviamente l’influenza ambientale sarà cruciale sullo sviluppo delle abilità individuali. Da studi longitudinali su soggetti adottati è emerso che l’intelligenza visuo-spaziale è strettamente relazionata con quella dei genitori biologici, mentre le capacità verbali ai genitori adottivi, però quest’ultime si allineerebbero con le abilità verbali dei genitori biologici intorno ai 7 anni. La somiglianza con i genitori biologici tenderebbe ad aumentare per tutto lo sviluppo, infatti una quota di geni tende ad agire a precise condizioni dello sviluppo (ad esempio i geni responsabili dell’Alzheimer intorno all’età senile e quelli della calvizie dopo la pubertà).
Lo studio sul genoma ha riportato che geni influenzano più aspetti cognitivi (pleiotropia) e che ogni facoltà cognitiva è influenzata da più geni (poligenicità). L’approccio genetico associato con tecniche di analisi multivariata produce analisi che non hanno un significato psicologico diretto. Sappiamo che l’individuo è intelligente anche per le conoscenze maturate e le strategie utilizzate, tutti fattori che non sono nel repertorio della psicobiologia e della genetica.
Una prova tangibile dell’influenza tangibile sull’intelligenza è data dalle malattie genetiche. La trisomia 21 o sindrome di Down è il tipico disturbo genetico che produce un ritardo mentale che nei migliori dei casi l’individuo colpito, al massimo del suo sviluppo, manifesterà un’età mentale di un bambino di 7 anni. Gli individui colpiti da sindrome della X fragile e la sindrome di Williams incontrano difficoltà nei compiti spaziali e un generale ritardo. Non tutte le sindromi genetiche generano individui irreversibilmente ritardati. Per quanto riguarda la fenilchetonuria, malattia legata al metabolismo della fenilalanina, si è scoperto che diete a bassa quantità di fenilalanina riducono drasticamente i sintomi.
Com’è il cervello di chi è intelligente? Fattori che correlano con l’intelligenza sono 1) la quantità di neuroni, 2) la quantità di dendriti, 3) la quantità di sinapsi, 4) la mielinizzazione. Non è invece intuitivo il risultato dei ricercatore Haier (2003). Individui con profili d’intelligenza diversificati sottoposti a PET mentre risolvevano i quiz delle matrici di Raven risultavano meno attivati (quantità di glucosio verso le aree cerebrali) se con un QI più alto. La Neural Efficiency Hypothesis prevede che a parità di condizioni il sistema nervoso centrale meno attivato sia più efficiente. Bunge (2001) riscontra che individui intelligenti avevano un’attivazione dei lobi frontali molto maggiore durante prove di memoria di lavoro e inibizione di interferenze. I risultati sono in contraddizione. I ricercatori però concordano sul fatto che i lobi prefrontali siano attivamente relazionati con manifestazioni d’intelligenza superiori. Da analisi filogenetiche e ontogenetiche appare lampante che i lobi prefrontali sono più grandi di specie inferiori e che nello sviluppo dell’individuo questi giungano a maturazione durante l’adolescenza.
Da ricerche psicobiologiche emerge che oltre ai lobi prefrontali siano anche altre aree in relazione con l’intelligenza, in genere quelle in cui l’enzima COMT è modulato da specifici geni. Memoria di lavoro e abilità spaziali sono state associate a una piccola area parietale, curiosamente Einstein aveva quest’area anatomicamente più grande rispetto alla media degli individui. Sta di fatto che la zona dei lobi prefrontali è molto vasta ed è responsabile di disturbi scarsamente correlati tra loro. È stata avanzata un’ipotesi per la quale i cervelli più veloci siano anche più intelligenti, ma ha subito numerose smentite. Un’altra ipotesi riguarda alla quantità di massa cerebrale e intelligenza, già Binet misurava le dimensioni del cranio. Si sa che individui con buon apprendimento maturano anche maggior massa cerebrale. Questo però sembra valido in età evolutiva, in quanto superata una soglia i neuroni iniziano a diminuire in maniera organica non diminuendo le manifestazioni intelligenti. Aleman (2001) ha trovato una relazione tra quantità di ormoni sessuali, specialmente testosterone, e intelligenza.
Siamo certi animali diversi da noi hanno una forma minore di intelligenza e, per quanto si adattino con successo alla nicchia ambientale, hanno differenti capacità di rapportarsi a problemi cognitivi. Allo stesso tempo gli animali hanno forme diverse di intelligenza da specie a specie, e la linea evolutiva dei primati che porta fino a ha prodotto/è stata prodotta da forme di intelligenza sempre crescenti. Per quanto riguarda psicologia biologica è stato evidenziato un aumento delle dimensioni cerebrali (rapportate all’indice di massa corporea) e ha prodotto una funzione per calcolare il fattore di encefalizzazione per determinare il rapporto tra peso del cervello e peso corporeo. Ulteriore differenza biologica dell’encefalo è il ridursi di strutture primitive, come il bulbo, per aumentare il volume della neocorteccia. Però ogni specie ha una sua forma di intelligenza specifica per cui pare riduttivo assegnare ai lobi prefrontali la stessa importanza per tutte le specie.
Riguardo al ridursi del numero dei neuroni, l’anziano riporta minor capacità di memoria di lavoro e di inibizione delle distrazioni rispetto ad un giovane. Per quanto un anziano e un giovane possono interpretare un testo complesso, l’anziano si basa sulla sua esperienza, mentre un giovane fa più affidamento alle sue capacità cognitive. L’anziano ricorda meno informazioni e di quelle che ricorda molte potrebbero essere informazioni non primarie. Evidenze neurologiche sono la perdita di massa delle zone prefrontali, però occorre precisare che non è la perdita di neuroni in sé ad essere un fattore di minor abilità, ma la perdita in zone critiche.
Per quanto riguarda la differenze di genere è emerso che al test di Wechsler i maschi abbiano in media un punteggio più alto delle femmine, ma questo è legato ad abilità specifiche. Spesso viene menzionata un’abilità maggiore delle femmine nei compiti verbali e una superiorità maschile nei compiti spaziali. Non è ben chiaro in che misura siano da attribuire alla cultura o a fattori neurologici queste differenze. Parlare di differenze intellettive tra razze è sempre pericoloso, però è riscontrato che razze differenti abbiano prestazioni diverse ai test. Occorre ribadire che i test sono prodotti dalla cultura occidentale, con parametri di misura tipicamente occidentali e che l’esaminatore di solito è un occidentale. Per Jensen e altri tra bianchi e neri vi sarebbe una differenza sostanziale nell’area centrale dell’intelligenza, come può dimostrare un test d’intelligenza culture-free come può essere le matrici di Raven.
Dobbiamo pensare che la mente sia un prodotto, un epifenomeno, del livello biologico? Non tutto ciò che è biologico è innato, perché non può un fatto mentale e psicologico modificare lo strato biologico? Ad esempio è stato rilevato che taxisti con molta esperienza avevano un’ipertrofia di alcune zone cerebrali. Dobbiamo credere che i taxisti siano tali perché già prima erano predisposti o che il loro cervello si sia alterato in seguito all’esperienza?
Mens sana in corpore sano? Non è sempre così, anche ai nostri giorni individui colpiti da una debilitante malattia corporea possono dimostrare raffinate capacità intellettive. Ci sono ragioni di credere che il funzionamento intellettivo può essere alterato da eventi che riguardano direttamente il cervello. Noi stessi possiamo dire che le nostre prestazioni intellettive sono inferiori se ci accingiamo ad affrontarle con l’ansia , stress o in stato di ottundimento. Esperimenti su roditori modificati geneticamente per avere più canali NMDA, ad esempio, imparano molto più in fretta degli altri topi a evitare i pericoli. È noto che farmaci ideati per migliorare prestazioni di individui affetti da DDAI e Alzheimer possano aumentare le prestazioni di individui non affetti. In sostanza non occorre attribuire il primato allo strato biologico a dispetto di quello mentale.
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