Perché dimentichiamo le barzellette? Gli effetti della bizzarria sul ricordo
Il materiale umoristico a volte viene ricordato meglio altre volte peggio rispetto a materiale d’altro tipo in dipendenza a proprietà del materiale. Il fatto che un qualcosa venga considerato umoristico ha come condizione di prevedere una soluzione inaspettata. Da ricerche di Schmidt e Williams (2001) emerge che le fasi per riconoscere un materiale umoristico sono: a) cogliere un’incongruenza, b) cercare una soluzione che permetta di risolvere l’incongruenza, c) soluzione, d) percezione del carattere umoristico. Emerse poi la memorabilità del materiale è data dallo sforzo cognitivo delle fasi che precedono la fase d.La distintività è altrettanto importante quando si tratta di memorizzare. Il bizzarro, che può essere umoristico o meno, condivide con il materiale umoristico delle caratteristiche. È inconsueto, strano, incongruente. In linea di massima creare materiale bizzarro è più semplice creare materiale umoristico. Gli psicologi della memoria hanno prodotti disegni sperimentali a base di figure bizzarre e la tecnica “Apprendimento delle Coppie Associate” (ACA). Questa tecnica prevede che vengano ricordati elementi separati e che quando venga presentato solo uno o una parte venga ricordato il resto dell’insieme da memorizzare. Esperti memorizzatori sostengono che materiale bizzarro sia più facile da memorizzare. L’esperimento ha fatto emergere che le cose non sono proprio così. Le immagini bizzarre funzionano se mescolate con immagini comune, per distintività (effetto von Restoff). Non è tutto. Forzando la memorizzazione di coppie in base ad una relazione comune, bizzarra o inconsueta emerse che la relazione comune era più ricordata. In un esperimento sull’effetto bizzarria gli individui di un gruppo a cui era stato chiesto di stimare la loro bravura nella memorizzazione di materiale bizzarro hanno dato risultati migliori di quelli del gruppo di controllo.
Sull’onda dei ricordi. Le funzioni della memoria personale
Come anticipato si potrebbe dividere la memoria in memoria di conoscenze o semantica e memoria personale o autobiografica. La maggior parte degli individui passa parte del suo tempo ricordando eventi personali. In un certo senso noi siamo chi ricordiamo di essere. La memoria assolve la funzione di dare all’individuo la propria identità personale.Casi di amnesia sono paradigmatici per riscontrare l’importanza della memoria autobiografica. Persone con deficit di memoria vivono in un eterno presente e anche se annotassero le proprie azioni giornaliere in un diario queste poi apparirebbero come incomprensibili.
I ricordi personali vengono organizzati in base a coordinate temporali. Però è difficile tracciare una netta distinzione tra i due tipi di memoria, quello personale e quello semantico. Ogni conoscenza è stata acquisita in base all’esperienza e l’esperienza è appunto il ricordo autobiografico. In alcuni casi è possibile ricordare l’evento (memoria personale) in cui si è appreso un concetto (memoria semantica). Ancora è possibile che ricordi episodici siano poco personali, la parola insegnata inglese insegnataci ieri, e ricordi semantici che abbiano un ruolo autobiografico, la nostra casa d’infanzia. In questo caso non abbiamo in mente un episodio, ma un’immagine molto evocativa sulla sfera personale.
Che natura hanno i ricordi? Talvolta si assume che il pensiero lavori in maniera astratta e formale. I critici affermano che la maggior parte del materiale del pensiero sia un’immagine. L’immagine ha il ruolo di avvantaggiare l’attività cognitiva della memoria.
Symons (1997) ha descritto l’effetto autoreferenza. Elementi che hanno a che fare con la nostra identità vengono processati e organizzati meglio rispetto ad altri elementi.
Una tecnica per studiare la memoria autobiografica è quella di esporre i soggetti ad un episodio e a distanza di tempo porre delle domande. Per questo è necessario che il ricercatore sia presente al momento dei fatti e il soggetto può aver ripensato all’episodio nel tempo che intercorre. Altra tecnica che fa emergere l’importanza della memoria autobiografica, già usata da Galton alla fine del secolo scorso, consiste nel proporre una parola chiave e chiedere al soggetto un episodio che ha a che fare con la parola. Emerge che esistono periodi della vita in cui il ricordo personale è più vivido. L’infanzia e la prima adolescenza sono le meno ricordate, invece anni della scuola primaria, seconda adolescenza e, ovviamente, per gli anni recenti si ha un netto aumento del numero di ricordi.
Rubin (1986) ha condotto un’indagine sistematica sui “picchi di reminescenza”. Al contrario di quello che riteneva Freud, cioè l’amnesia infantile dovuta a rimozione post-edipica, l’infanzia è carente di ricordi perché in quell’età l’individuo ha un modo diverso di raccogliere le memorie. I picchi riguarderebbero a periodi significativi densi di eventi. I picchi si collegano a ricordi positivi, mentre per quelli negativi ci sarebbero andamenti meno caratteristici. Rubin esaminò anche un gruppo di centenari sani e confermò che il picco di reminescenza è collocato tra i 15 e 25 anni.
La vividezza del ricordo è maggiore per le femmine e in generale è relazionato con l’atteggiamento verso il proprio passato. I giovani hanno ricordi più vividi degli adulti e degli anziani per il fatto che sono ricordi di eventi recenti.
Una tecnica per studiare la memoria autobiografica è quella del diario. Linton (1975) annotò sistematicamente due eventi significativi al giorno per sei anni, con un titolo e al massimo tre righe. Sottopostosi a 11000 test in cui si forniva del titolo dell’appunto e lui avrebbe dovuto ricordare l’evento, riscontrò che dopo 4 anni dimenticò il 60% degli episodi descritti. Gli eventi a cui era tornato a riflettere invece avevano un calo più modesto. Wagenaar (1986) utilizzò la facilitazione dovuta a domande: quando?, dove?, con chi?, che cosa?. Il quando (inteso come data) forniva meno aiuto, il che cosa, invece, aumentava la probabilità di risalire all’evento.
La memoria autobiografica è connessa anche con eventi di tipo pubblico. Brown (1990) riscontrò che eventi politici americani erano collegati nella mente dei soggetti a periodi presidenziali, mentre eventi pubblici di altro tipo per il soggetto era più facile associarlo a un momento della propria vita.
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