Nelle democrazie mediatiche sono due le richieste civiche ai mass media: informare sull'attività politica in corso e valutare l'operato del governo in carica.
Una delle difficoltà, dal punto di vista mediatico, è coniugare ascolti – necessari per finanziare il network televisivo con l'advertising – e accurata informazione politica. La proliferazione di network ha fatto sì che si sia aperta una forte competitività e quindi la gara è su chi fa più ascolti seguendo la legge del profitto.
A parte le vicende personali delle celebrità politiche i media coprono bene le big politics stories. In ogni modo è sul personale e sul personaggio che gran parte della politica mediatica si svolge e questo può essere sfruttato per la pubblicità del candidato oppure per coprire deficit di governo.
Alcuni si chiedono se esista ancora una differenza tra cittadino e consumatore: è possibile la missione del giornalismo politico e fare audience? Esistono due scuole di pensiero a questo proposito. Una prima scuola accetta il cittadino-consumatore e suppone che l'informazione politica, tramite la competizione dei network mediatici, migliori nel suo complesso. Alcuni invece ritengono che l'equiparazione snaturi l'essenza stessa della cittadinanza. È vero che se uno vuole può recuperare tutta l'informazione politica necessaria per effettuare una scelta, ma sono una minoranza quelli che lo fanno. La sovrabbondanza di messaggi non farebbe altro che confusione invece che incrementare la conoscenza.
Una delle caratteristiche dell'informazione politica è la creazione di frame da parte dei narratori politici, si parla di giornalismo interpretativo, in cui il fatto serve come esempio. I frame preferiti dai media sono: il gioco di potere – la politica sarebbe un'arena dove i politici competono per la conquista del potere – e quello dell'horse race – per il quale le elezioni sarebbero una gara personalizzata tra i contendenti. Il frame della corsa dei cavalli domina l'interpretazione politica (statunitense) e scatena forti emozioni e simpatie verso i candidati. L'interesse spasmodico per gli scheletri nell'armadio per la costruzione della macchina del fango che scredita la moralità del candidato fa spesso parlare di “junkyard dog” invece che di “watchdog”.
Cosa è cambiato con l'avvento della videocrazia, come politica abbinata – se non sovrastata – alla logica dei media?
a) La selezione e la costruzione della leadership: il passaggio da un modello partitocentrico ad uno candidatocentrico, in cui viene enfatizzata la personalità del candidato anziché la sua ideologia o parte politica. La personalizzazione della politica riflette senza dubbio la costruzione della leadership: nessun partito può permettersi di mandare in onda un politico senza carisma audiovisivo, per cui un politico deve preoccuparsi di come appare, come si muove e come parla oltre a preoccuparsi di quello che dice.
b) Il linguaggio della politica: l'estrema semplificazione di tematiche complesse, la ripetizione ab infinitum dello slogan. La comunicazione politico-mediatica ricorre praticamente all'uso esclusivo di sound bites, cioè frammenti di ragionamento già confezionati da ripetere ogni volta occorre trattare un tema.
c) L'orizzonte temporale della politica: il tempo dei media è il presente e scorre veloce per innovare lo spettacolo al fine di non annoiare lo spettatore. Il tempo della politica più lento, fatto di negoziati molto più lenti, si è dovuto adattare. Si parla di dittatura del momento presente come presentazione di tanti “ora”. Trasmettere grandi volumi di informazione rende obsoleto ciò che è appena trascorso.
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