Cerca nel blog

domenica 22 agosto 2010

Psicologia della comunicazione: il linguaggio

Il linguaggio è essenziale per le società umane in quanto è veicolo di cultura e tradizione, tanto che per gli umani la natura è lo sfondo di un’esistenza costruita tramite la comunicazione e il consenso condiviso. I filosofi della mente sostengono che il linguaggio sia il prerequisito dell’intenzionalità e della coscienza e arrivano a sostenere un’idea forte della mente, quella fatta di stati di coscienza, che è solo ad appannaggio umano. Filosofi dell’antichità e moderni esaminano il linguaggio per rispondere ad interrogativi metafisici.
La psicologia studia il lato mentale dell’uso del linguaggio, cioè le facoltà cognitive coinvolte nella produzione e nella ricezione del linguaggio. Si chiede il rapporto tra linguaggio e mente, e come queste due entità si influenzino durante la vita di tutti i giorni.

Due definizioni di linguaggio
Ferdinand de Saussure intuì, nel XX secolo, che le lingue naturali sarebbero differenti solo superficialmente e di base esistano delle regole comuni a tutte. Nel Corso di linguistica generale inaugura l’analisi sistematica della struttura comune di tutte le lingue. Noam Chomsky, fondatore della grammatica generativo-trasformazionale negli anni ‘60, nel saggio Le strutture delle sintassi, suppone che esista un meccanismo mentale alla base di tutte le lingue, quindi una grammatica universale. Chomsky per esprimere le regole del linguaggio utilizza le notazioni della matematica e della logica formale, non è propriamente interessato al lato mentale. Dobbiamo ricordare che gli anni ’60 sono anni in cui l’AI riscuote gli entusiasmi del mondo accademico e da qui la descrizione computabile della grammatica.
Tutte le lingue conosciute di oggi e di ieri hanno in comune, se analizzate a un livello astratto, gli stessi principi di funzionamento.
Il linguaggio è tipicamente umano ed è un sistema di comunicazione speciale. Hockett distingue 16 tratti costitutivi: 1) canale uditivo-vocale; 2) trasmissione a distanza e ricezione direzionale; 3) rapida evanescenza; 4) intercambiabilità dei partecipanti; 5) feedback completo del mittente mentre comunica; 6) specializzazione del sistema per la comunicazione; 7) semanticità; 8) arbitrarietà; 9) carattere discreto; 10) distanziamento dagli oggetti del contesto dal parlante; 11) apertura, cioè capacità di poter dire cose mai dette prima; 12) tradizione; 13) doppia articolazione, cioè il significato non è dato dai suoni in sé, ma da come sono percepiti e formano strutture distinte; 14) prevaricazione, cioè ad uso di offesa; 15) riflessività; 16) apprendibilità.Si suppone che i primi ominidi a parlare abbiano avuto una protolingua mondiale, una lingua primordiale dalla quale sarebbero derivate quelle odierne. Probabilmente è possibile ricreare un albero genealogico delle lingue, argomentò Schleicher nel XIX secolo. Conferme empiriche dimostrano che è così, ma la ricostruzione è difficile e richiede lo sforzo congiunto di diverse branche della scienza. A quanto pare la lingua originaria del ceppo indoeuropeo, il nostratico, si ritiene sia stata parlata almeno 14000 anni fa.
Si riteneva che le lingue seguissero un’evoluzione verso la complessità o verso l’efficienza, oggi i linguisti e gli antropologi dimostrano che le lingue hanno tutte le stesse potenzialità espressiva. Jakobson suggeriva che le lingue differiscono per ciò che devono dire, non per ciò che possono esprimere. Le lingue sono differenti per il bagaglio culturale della civiltà che le parla e non per la grammatica che le strutturano.

Le origini del linguaggio
Le ricerche iniziarono nell’800, ma furono abbandonate. A metà del 900, grazie ai progressi della paleoantropologia, si cominciò di nuovo a cercare una teoria. Il modello emergentista, il cui autorevole sostenitore è lo stesso Chomsky, spiega che il linguaggio sia stata un’emergenza evolutiva, cioè improvviso e recente. Per il modello evoluzionista, propugnato da Pinker, è stato lentamente modellato dall’evoluzione. Un adattamento fisiologico è di certo quello della discesa della laringe. I primati hanno la laringe in una posizione alta e di fatto possono emettere meno suoni, anche i neonati hanno la stessa caratteristica in quanto rende possibile respirare mentre ha una poppata. L’apparato uditivo ha esso stesso subito una sensibilità per il campo della parola (tra i 250Hz e i 3kHz). La parte più imponente dell’adattamento è stata riservata al cervello che diventa tre volte più grande rispetto al primate vivente più vicino nella scala evolutiva. Tra le pieghe e i solchi si sono formate due aree di diretto interessamento per il linguaggio, l’area di Broca, lobo frontale nei pressi della scissura laterale, e l’area di Wernicke, lobo parietale vicino anch’esso alla scissura. Il lato sinistro è incaricato per la decodifica e la codifica dell’informazione linguistica, la lateralizzazione.
Per gli evoluzionisti il linguaggio ha prodotto le modifiche fisiologiche e anatomiche, per gli emergentisti il contrario. La teoria evoluzionista è ora la più accreditata per cui si stanno cercando dei precursori del linguaggio. La teoria dei gridi istintivi sostiene che i suoni del linguaggio da suoni emessi per altre ragioni. La teoria oro-gestuale prevede che le articolazioni linguistiche siano sostituti dei gesti. Quest’ultima teoria ha avuto un riscontro empirico dimostrando che l’area di Broca è implicata sia nelle attività motorie del linguaggio che nella produzione e nel riconoscimento dei gesti.
Gli evoluzionisti ritengono che il linguaggio sia comparso con il genere Homo e si sia via via affinato. Dai resti di Homo abilis, il primo Homo, pare chiaro che l’encefalo è lateralizzato e sono presente area di Broca e di Wernicke. L’Homo erectus aveva la laringe abbassata tanto quanto un bambino di sei anni.

Nessun commento:

Posta un commento