Il linguaggio è un sistema di segni, cioè di cose che rappresentano altre cose. Per rappresentare le cose si usano dei codici e possono essere codice analogico o codice digitale. Il linguaggio è digitale. Le differenze tra codice analogico e digitale possono essere schematizzate in (analogico/digitale): 1) somiglianza con l’oggetto/arbitrarietà; 2) struttura continua/discreta; 3) codec costituito sulla conoscenza del mondo/conoscenza del codice; 4) simbolizzazione implicita/esplicita; 5) concretezza/astrattezza; 6) dipendenza/indipendenza dal mezzo.
Il linguaggio è strutturato a livelli, fra i quali, dal più basso, il livello dei suoni, si passa al livello morfologico poi a livello sintattico e, infine a livello testuale. Ogni livello ha una branca della linguistica che lo studia. Per i suoni la fonologia e la fonetica; per i morfemi la morfologia; la sintassi per la struttura delle frasi e la linguistica testuale per l’organizzazione delle frasi nei discorsi.
Il livello dei suoni è formato da due sottolivelli, uno fonetico, dei suoni in sé, e uno fonologico, dei suoni per come vengono percepiti. Nel piano fonetico troviamo i foni e sono i suoni così come pronunciati e vengono indicati con [x]. Per quanto riguarda il piano fonologico vengono distinti i fonemi, cioè delle unità astratte appartenenti ad una lingua, indicato con /x/. Il fonema di per sé non ha significato, ma il significato si ottiene combinando fonemi. La corrispondenza fono/fonema è un caso speciale ed è detto allofono. In genere, per economia, combinazioni di fonemi corrispondo a diverse combinazioni di foni.
Ad un livello superiore incontriamo le sillabe come unione di più fonemi e sono in genere gruppi di consonanti e vocali. Questi due differiscono per l’articolazione. Per le vocali l’aria fuoriesce liberamente, mentre per le consonanti l’aria incontra un ostacolo. Una sillaba è composta di un attacco ed una rima, a sua volta composta di nucleo e coda. Ogni lingua ha delle regole per quanto riguarda alla composizione dei suoni. La combinazione e la disposizione dei fonemi permessa da una lingua è detta fonotassi.
La più piccola unità linguistica non è la parola, ma il morfema. Le parole, di solito, contengono più morfemi e un morfema è composto da uno o più fonemi. A seconda che i morfemi possano comparire da soli o insieme ad altri morfemi per avere significato si dividono in morfemi liberi e morfemi legati. Per la funzione del morfema possiamo distinguerlo in: tema o radice, che indica il contenuto principale; derivazione, per differenziare da una forma grammaticale all’altra; flessione, specificano tempo, modo, persona per i verbi, o numero, genere per nomi e aggettivi. Alcune lingue, come il cinese, sono prive di flessione e sono dette lingue isolanti. In casi estremi abbiamo lingue le cui regole permettono parole composte da abbastanza morfemi da farle diventare frasi.
Parole combinate formano le frasi. Le frasi danno senso e significato alle singole parole attraverso il contesto linguistico. La struttura della frase influisce anche sul significato della frase stessa. Di tutte le frasi si possono individuare parole o gruppi di parole che fungono da costituenti. I più elementari sono i sintagmi, i più complessi le proposizioni. Un sintagma è un gruppo di parole che equivale ad una parola sola. La frase semplice (F) è tipicamente formata da un sintagma nominale (SN) e un sintagma verbale (SV). Per quanto riguarda le proposizioni possiamo identificarla nella frase semplice, ma una frase può essere composta da più proposizioni. Il rapporto tra proposizioni può essere di coordinazione, cioè quando sono nello stesso piano, o di subordinazione, quando le frasi sono di un piano diverso. Un rapporto di subordinazione può essere una relativizzazione, quando la secondaria restringe il significato della principale, o una complementazione, se la secondaria assume il ruolo di complemento consentendo alla principale di diventare soggetto. Dal punto di vista logico il rapporto può assumere diversi ruoli: aggiuntivo, disgiuntivo esclusivo, disgiuntivo inclusivo, temporali, causali, oppositivi.
Chomsky ha proposto una ulteriore differenziazione della struttura sintattica, struttura superficiale e struttura profonda. Questo lo si intuisce leggendo o ascoltando frasi corrette grammaticalmente, ma insensate e frasi non corrette grammaticalmente, ma sensate. La struttura profonda dà il significato alla frase. La distinzione tra le due strutture è riconosciuta dai linguisti però non sono ancora unanimemente d’accordo sulle norme della struttura profonda. Le interpretazioni più influenti sono due. La sintatticista, a cui lo stesso Chomsky aderisce, prevede che esistano delle forme vuote che si riempiono dei significati della struttura profonda. L’interpretazione semanticista, Clark (1977), ritiene che a livello profondo una frase sia tutte le frasi di cui è composta (“La palla ha colpito la faccia di Giovanni distratto” →”La palla ha colpito” + “La palla ha colpito la faccia” + “La faccia è di Giovanni” + “Giovanni era distratto”).
A livello testuale le frasi ambigue assumono significato al contesto linguistico, a questo livello è detto cotesto. Un aspetto dell’organizzazione dei discorsi è la coesione, fa sì che il discorso mantenga lo stesso mondo di riferimento. La coesione è ottenuta tramite i legami coesivi tra parole ed espressioni di una frase e l’altra basati sull’identità referenziale. Ad esempio nei testi troviamo termini anaforici, che ripetono significati espressi in precedenza. L’anafora zero è il termine sottointeso palesato dal cotesto. Nel testo si trovano termini semanticamente convergenti che rinviano ad un dominio comune. La coesione è data anche dalla disposizione temporale data ai verbi. Altro aspetto dell’organizzazione dei discorsi è la continuità tematica. Il testo mantiene costante il riferimento. Una tecnica è di mantenere costante il topic e variare il comment o di ricavare il topic della frase successiva dal comment. Un terzo aspetto dell’organizzazione dei discorsi è la coerenza, cioè la caratteristica delle frasi di rispettare il tema del discorso.
La pertinenza del discorso non è data dal semplice rispetto di tutte le regole finora elencate, ma anche dal contesto extra-linguistico, cioè le condizioni in cui il parlante si trova a parlare. Nella comunità dei parlanti non è solo la conoscenza del codice, competenza linguistica, a instaurare delle comunicazioni per essere adeguati, ma occorre anche conoscere bene l’uso. Alla commissione dei professori non si deve dire “Ciao”! Il linguaggio è anche un mezzo per agire nella vita sociale e rapportarsi con gli altri. Ad occuparsi di questo aspetto è la pragmatica. Il filosofo Morris inaugurò la terza branca della semiotica nel 1938 distinguendone nelle competenze la sintassi, cioè le relazioni formali tra segni nel sistema, la semantica, la relazione tra segno e oggetto rappresentato, e la pragmatica, il rapporto tra segno e soggetto.
Dire qualcosa è fare qualcosa. Grazie alla teoria degli atti linguistici elaborata da Austin (1962) e sistematizzata da Searle (1969) in ambito filosofico è diventata patrimonio di molte discipline, tra cui la psicologia.
Una frase formulata nella comunicazione tra individui è contemporaneamente tre atti: 1) atto locutorio, la produzione dell’enunciato (utterance) da parte del mittente; 2) atto illocutorio, la richiesta verso il destinatario dell’enunciato; 3) atto perlocutorio, la reazione del destinatario dell’enunciato.
Secondo Searle gli atti illocutori sono di 5 tipologie: 1) rappresentativi, chi parla raffigura stati del mondo; 2) direttivi, chi parla cerca di influenzare il ricevente; 3) commissivi, chi parla si impegna a fare qualcosa; 4) espressivi, chi parla manifesta uno stato psicologico; 5) dichiarativi, chi parla fa leva su istituzioni per modificare il contesto sociale.
Tra atti illocutori e atti perlocutori ci sono delle differenze: chi parla ha la certezza dell’atto illocutorio, ma non l’ha del perlocutorio; l’atto illocutorio è controllato dal parlante, il perlocutorio dipende dal ricevente; l’atto illocutorio rispetta una convenzionalità; l’atto illocutorio può utilizzare performativi espliciti, cioè la dichiarazione del tipo di atto.
Esistono atti linguistici indiretti (ALI) cioè che contengono un’informazione che rimanda ad un’azione indirettamente. Ad esempio dire “La porta è aperta” è un atto linguistico indiretto che influenza l’ascoltatore a chiuderla. Spesso gli ALI sono legati alla cortesia, in quanto la mitigation ha il ruolo di nascondere la direttività dell’atto. A volte rispondono alla prudenza, non lasciando il parlante in situazioni ben definite, ma con una possibilità di manovra dell’interazione sociale.
Anche l’agire linguistico ha la sua grammatica e la comunità la addotta in maniera elastica ed implicita. Gli atti linguistici difettosi sono spesso eseguiti intenzionalmente non rispettando una regola e contengono più informazioni, come gli ALI, di quanto si sia detto rendendo più complessa la loro interpretazione.
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