Il termine prossemica, coniato da Hall (1963), indica la prossimità tra una persona e l’altra. Anche in senso simbolico, infatti è tramandato culturalmente, perciò dobbiamo stare attenti a dove ci mettiamo quando non siamo nel nostro paese. I comportamenti territoriali, cioè che hanno a che fare con gli spazi posseduti da qualcuno, sono parte importante della prossemica. Dal territorio vero e proprio si distingue l’area familiare (home range), una zona di sicurezza dove l’animale può svolgere indisturbato le sue attività e se è umano, trova la privacy. I territori possono essere stabili o temporanei. Primari, se sono posseduti, secondari, se non sono posseduti e si ha comunque potere, e pubblici. Mentre i territori personali sono istanze geografiche precise, lo spazio personale o territorio al seguito è la zona che circonda l’individuo costantemente. Lo spazio personale ha funzione di difesa, di regolazione dell’intimità e di comunicazione. Hall distingue quattro distanze che le persone mantengono nei rapporti sociali. 1) La distanza intima arriva a 45cm ed è tipica dei rapporti stretti. 2) La distanza personale va dai 45cm ai 120cm ed è tipica delle conversazioni informali. 3) La distanza sociale va dai 120cm ai 360cm ed è tipica dei rapporti più formali. 4) La distanza pubblica va da 360cm a 750cm ed è la distanza tenuta da sconosciuti ed è molto formale. Se gli individui sono costretti a mantenere distanza più ravvicinate di quante sarebbe culturalmente previsto tendono a guardare altrove o ad irrigidirsi come a diventare parte degli oggetti ambientali. Le donne adottano distanze minori degli uomini. Sono note differenze anche riguardo all’età, probabilmente le età della vita in cui si è più vulnerabili lo spazio personale tende a diminuire. Lo status sociale implica distanze maggiori per i più alti in grado. Particolarmente significative sono le differenze culturali. Gli arabi tendono a spazi minori perché c’è un concezione diversa di spazio pubblico. Latino-americani, indiani e asiatici tendono a tenere distanze intermedie.
Lo stesso corpo può assumere diverse orientazioni durante la comunicazione. L’orientazione fianco a fianco (0°) è tipica dell’amicizia e delle interazione cooperative. Faccia a faccia (180°) consente di osservare maggiormente l’altro e di invaderne lo spazio. È tipica delle situazioni di competizione e contrattazione. Tuttavia ci si dispone frontalmente anche per intrattenere interessi comuni e in contesti di intimità. La posizione laterale (90°) è tipica delle discussioni in cui ci si può osservare tutti ruotando il capo.
La postura è la posizione del corpo mantenuta durante la comunicazione. In studi transculturali sono risultate alcune dimensioni universali. Tensione-rilassamento si manifesta ad un estremo con arti simmetrici e compostezza, e all’opposto, arti assi metrici e mani abbandonate, capo chinato a lato. Segnala rapporti di dominanza-sottomissione o differenze di status o il grado di formalità dell’incontro o amichevolezza-ostilità. La dimensione apertura-chiusura si manifesta spostandosi in avanti o indietro, aprendo braccia e gambe o serrandole. Indica se c’è attrazione o repulsione, interesse o disinteresse. La dimensione erezione-rannicchiamento, mantenuta se si sta impettiti per segnalare dominanza o se ci si inchina o ci si inginocchia per la sottomissione. Sono di notevole interesse per valutare le emozioni provate e rappresentano plasticamente le idee enunciate.
I gesti sono segnali prodotti con i movimenti del corpo, soprattutto delle mani, delle braccia, dei piedi e del tronco. Sono molti ed importanti dato che una buona porzione di encefalo se ne occupa. Esistono gesti funzionali al discorso e sono un tutt’uno col parlare e hanno senso solo nel contesto della discussione. Rientrano nella categoria gesti regolatori e illustratori. I gesti regolatori sono utilizzati per controllare l’andamento della comunicazione: facciamo capire che dobbiamo parlare o che cediamo il turno. I gesti illustratori si fanno in continuazione mentre si parla e vengono chiamate gesticolazioni o gesti rappresentazionali. La quantità di illustratori dipende dalla cultura. Trasmettono molte informazioni che vengono anche espresse verbalmente, ma anche molte non contenute. McNeil li distingue tra proposizionali e non-proposizionali. I primi sono relativi al contenuto i secondi verso la comunicazione stessa. Inoltre tra i proposizionali McNeil categorizza gli iconici che rappresentano analogicamente contenuti del discorso. I gesti metaforici che rappresentano in modo metaforico concetti astratti. I deittici indicano qualcosa o qualcuno. Tra i gesti non-proposizionali troviamo i beats, piccoli colpi menati per enfatizzare e fanno da sfondo ritmico al discorso. I gesti coesivi danno l’impressione che il discorso sia un tutt’uno coerente. Genericamente i gesti possono essere suddivisi in ideazionali o topic e relazionali o interattivi. Introducendo i gesti relazionali tra gli illustratori la classificazione con regolatori e illustratori sfuma. Esistono gesti autonomi, cioè che significano anche al di fuori del contesto. Questi vengono usati da soli o durante un enunciato per caricarlo emotivamente. Tra questi alcuni sostituiscono intere frasi (olofrastici), ma la maggior parte sostituisce un aggettivo o un nome. Si dividono in gesti mimici tesi ad imitare eventi messi in scena (pantomima) e possono essere inventati lì per lì al momento, ed emblemi o gesti simbolici e sono decisamente più convenzionali e arbitrari. Inizialmente gli emblemi nascono come mimici però con il tempo e la perdita del referente diventano simbolici. I gesti emotivi, mettersi le dita alla bocca o al naso, arricciarsi i capelli, nascondere il viso etc. lasciano trasparire lo stato emotivo. Sono emotivi anche i gesti adattatori tesi a controllare le emozioni e si distinguono in self-adaptors, orientate a sé, alter-adaptors, orientate agli altri, e object-adaptors, verso gli oggetti.
I gesti transculturali sono veramente pochi, a malapena i deittici. Esistono differenze anche interindividuali e sono per loro natura ambigui. Nemmeno il segno del sì e del no è universale.
Lo sguardo è un potente mezzo di comunicazione e di regolazione dei rapporti sociali. Il diametro pupillare, che può variare da 1mm a 8mm, varia a seconda delle condizioni di luminosità, ma anche dallo stato emotivo. Alla vista di pupille dilatate, che reputiamo attraenti inconsapevolmente, reagiamo dilatando le pupille e a provare emozioni positive e attrazione. La direzione dello sguardo e i movimenti del globo oculare occorrono per orientare l’attenzione su diverse zone spaziali, ma anche per comunicare. Forse è per questo che gli uomini e rari primati hanno il bianco dell’occhio, per facilitare la lettura dello sguardo. Il primo tipo di informazione veicolata è deittica, ma esistono anche sguardi di sfondo che si attuano quando si perde focus dall’interlocutore. I movimenti delle palpebre e mimica perioculare sono sintomatici di stati emotivi. Le palpebre sbattono ogni 3-10 secondi, se la frequenza sale indica eccitazione, anche sessuale, mentre se cala concentrazione. L’apertura e la forma delle palpebre indica chiaramente un’emozione. Durante la conversazione si passa molto tempo a guardarsi, ma ci sono sguardi e sguardi. L’occhiata o sguardo breve dura meno di 5 secondi ed è discreta, mentre la fissazione oculare o sguardo prolungato è più lungo e strategico. Il contatto oculare superficiale o sguardo reciproco consiste nel guardarsi l’un l’altro brevemente senza dare l’impressione di penetrazione, il contatto oculare profondo dura di più e risulta penetrante. Il guardarsi indica il grado di intimità degli individui e il clima instaurato, se è cooperativo o competitivo. Per il modello dell’equilibrio affiliativo (Argyle, 1965) la dose di sguardi dipende dall’equilibrio tra una motivazione all’affiliazione e al potere. Guardare vuol dire collaborare e stare al gioco, però non si fa mai al 100% del tempo perché chi si sente osservato così a lungo si sente poi un oggetto. Chi osserva poi è bombardato di informazioni che richiedono un dispendio di energia mentale consistente. Estroversi, bisognosi di affiliazione e donne hanno una quota di sguardi maggiore. Gli arabi si guardano di più di americani ed europei. Molti popoli sud-americani si guardano meno e i giapponesi tendono ad evitare lo sguardo.
La mimica facciale comincia a svilupparsi nei primati e diviene significativa nelle scimmie antropomorfe e nell’uomo. È resa possibile da una ricca muscolatura facciale. Le espressioni facciali possono essere prodotte da uno o più muscoli facciali e non solo questo lo rende significativo, ma partecipano durata, estensione e ritmo. Riso e sorriso sono due fenomeni che, secondo Darwin e studiosi successivi, sono strettamente imparentati. Il riso avviene spesso dopo il sorriso e ne è una perdita di controllo. Tra i due comportamenti ci sono delle differenze che però lasciano intendere diverse origini filogenetiche. Il sorriso presso tutti i popoli è un segnale amichevole, non gerarchico. Esistono sorrisi che sono tutt’altro che amichevoli, sono stereotipati e procedono a scatti con angoli della bocca non sollevati e asimmetrici. Il riso contiene una componente aggressiva e gerarchica, ma persone che ridono assieme hanno creano un clima solidarietà, ma in disarmonia rispetto a chi è deriso. Secondo le teorie dell’incongruenza il riso è un segnale di percezione di paradosso. Le teorie della superiorità e della degradazione invece è la svalutazione di un oggetto reputato degradante. Le teorie del surplus di energia spiegano che il riso è provocato da un’improvvisa liberazione di energia mentale utilizzata per qualcosa che poi è sfumato. Studi etologici dimostrano che riso e sorriso nascono diversi e poi vengono accostati durante l’evoluzione. Del sorriso, il precursore ancestrale, è l’esibizione silenziosa a denti scoperti o faccia ghignante, mentre del riso è l’esibizione rilassata a bocca aperta.
Nei primati il canale motorio-tattile ha un’importanza incredibile, basti pensare al grooming. Nell’uomo l’uso è molto più morigerato e nella maggior parte delle conversazioni non entra in funzione. È utilizzato nella comunicazione intima sia aggressiva che affiliativa. Nelle occasioni formali è ritualizzato ed esagerato. Per quanto riguarda il canale chimico-olfattivo di sicuro ha un ruolo importante, ma pur sempre marginale.
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