Esempi di interpretazioni alternative degli esperimenti piagetiani
Piaget non ha fornito i processi precisi effettuati dai bambini durante i suoi esperimenti. Gli studiosi che adottano il paradigma HIP (Human Information Processing) sono al contrario molto più descrittivi. In un esperimento di seriazione, Young (1976), individua le regole che i bambini di varie età mettono in atto per risolvere una seriazione di parallelepipedi di diversa altezza. Con il passare dell’età e dello stadio di sviluppo le regole si fanno sempre più complesse. Successivi esperimenti di numerazione, classificazione, etc. danno gli stessi risultati: le regole si raffinano col passare del tempo (e dello sviluppo).
Di importanza cruciale è considerare le regole che si ottimizzano come una manifestazione di evoluzione delle strutture di ragionamento sottostanti o negandolo, cioè affermando che ogni dominio cognitivo ha un suo sviluppo. Nel primo caso si è in accordo con la teoria piagetiana, altrimenti i risultati non possono essere considerati integrativi.
Oltre la mente modulare: le proposte di Annette Karmiloff-Smith
Karmiloff-Smith cerca di moderare i punti di vista di Piaget, costruttivismo, e di Fodor, innatismo. A sfavore del primo, come detto, i risultati sugli esperimenti sui neonati non lasciano credere che il neonato faccia tutto da sé, ma è già dotato di una competenza innata. A sfavore di Fodor, invece, ritiene che lo sviluppo non sia una questione di soli moduli innati, di innatismo “forte”, ma partecipi costruttivamente l’ambiente e l’attività dell’individuo. Il punto di vista di Karmiloff-Smith sottolinea la presenza di predisposizione innate allo sviluppo o con carattere dominio-specifico.
La teoria di Fodor del 1983 sostiene che la mente è costituita da “moduli”, ogni modulo ha funzioni distinte, processi propri e accetti un tipo di input e fornisca un tipo di output, quindi dominio-specifico. Ad esempio, sebbene sappia che stia percependo un’illusione la percepisco lo stesso perché il modulo funziona così. Ogni modulo funziona indipendentemente rispetto agli altri. I dati in uscita da tutti i moduli convogliano alla fine al mentalese, il “linguaggio del pensiero”.
La posizione di Karmiloff-Smith sui moduli è che non siano prespecificati in tutti i dettagli e tra moduli e processi centrali non vi sia la differenza netta postulata da Fodor. La modularizzazione è un concetto fondamentale della studiosa. Per lei un processo può essere dominio-specifico (modularità) senza essere un modulo. Perciò si possono avere micro-domini specifici che si sviluppano in tempi diversi. Questa concezione della mente non si integra con quella di Piaget. Per Karmiloff-Smith la mente evolve a fasi e non a stadi come per Piaget, nel senso che si ha uno sviluppo corale di più processi dominio-specifici invece che una maturazione “improvvisa” di tutto. L’esempio è quello dell’apprendimento della lingua materna che con il passare del tempo e la pratica la lingua diventa modulare o un modulo. Attenzione che la modularizzazione ha in sé un tratto innato, nel senso che non si dà alla mente un modulo che non può essere creato nella mente. La modularizzazione è la creazione di moduli innatamente prespecificati in maniera originale. Parafrasando: il bambino non può imparare ciò che non può apprendere (innatismo), ma ciò che impara lo impara come lo vuole e come gli è dato (costruttivismo).
Il processo di ridescrizione rappresentazionale
Secondo Karmiloff-Smith le informazioni provenienti dall’ambiente vengono elaborate da due ordini di processo diversi. I primi fanno parte di un modulo innato per il quale lo stimolo innesca sempre allo stesso modo l’attivazione. I secondi sono predisposti innatamente, ma non in maniera compiuta. Lo stessa elaborazione darà forma al processo in maniera dinamica.
Per l’autrice in ogni tipologia di dominio-specifico agisce un processo dominio-generale, da lei chiamato ridescrizione rappresetazionale o modello RR.
Il modello RR è caratterizzato da quattro fasi ricorrenti, però Karmiloff-Smith afferma che dimostrare l’ultimo livello non è facile con esperienti, perciò gli ultimi due livelli vengono teoricamente uniti insieme. Nella prima fase, Livello I (I sta per “implicito”), l’apprendimento è guidato dai dati e raggiunge la sua completezza quando il soggetto raggiunge la padronanza sui dati. In questa fase ogni micro-dominio raggiunge una prestazione soddisfacente, ma il soggetto non ne ha sufficiente consapevolezza per saperlo verbalizzare.
Il successivo è il livello E1 (E sta per “esplicito”), in questo caso il soggetto agisce guidato da una teoria che ha appreso dall’esperienza, ma che non sa ancora verbalizzare e non ne è pienamente cosciente. Sorprendente il risultato ottenuto dall’esperimento condotto da Karmiloff-Smith su bambini di 6 anni alle prese con una bilancia e dei pesi. In alcuni casi ottengono risultati peggiori dei bambini di 4 perché vincolati da quello che hanno appreso implicitamente. Come gli scienziati kuhniani ogni errore prodotto dai bambini non lo imputano alla teoria insufficiente, ma la imputano al loro comportamento sbagliato nell’applicarla. Anche dopo molti errori la teoria continua ad essere per loro valida.
Finalmente, a livello E2/3, il bambino è in grado di verbalizzare la sua teoria. La differenza tra E2 e E3 sta nel fatto che il bambino sa in entrambi i casi di sapere, ma solo in E3 riesce a verbalizzare. Ovviamente il saper di sapere è un fatto soggettivo e valutabile solo solamente attraverso la verbalizzazione del soggetto, per questo motivo i due livelli sono uniti.
Pur negando lo sviluppo a stadi piagetiano Karmiloff-Smith constata che esistono due tappe maturative che investono qualitativamente la mente nel suo complesso attorno ai 18 mesi e ai 4 anni.
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