La vista tende ad essere sincronica, frontale e diurna. L'occhio è specializzato nel trasformare le onde luminose in messaggi, ma è lontano dal vero se immaginiamo che la cornea sia una macchina fotografica. La retina non va considerata una pellicola fotosensibile che si imprime delle immagini, ma una parte periferica del SNC che elabora l'informazione luminosa dell'onda elettromagnetica in segnali elettrochimici in modo molto complesso. Una volta catturata la luce viene inviata a diverse unità del SNC e questo creerà una mappa dell'intero campo visivo.
Riguardo al funzionamento dell'occhio una delle prime teorie occidentali fu quella di Euclide. Detta teoria centrifuga, Euclide credeva che l'occhio emettesse raggi che colpendo gli oggetti circostanti producessero l'immagine percepita. Questa teoria permise ai pittori del Rinascimento di ottenere la prospettiva lineare. Ancora oggi, nonostante crediamo ad una teoria centripeta della visione – già formulata da Democrito – sappiamo che è l'occhio a ricevere i raggi di luce, eppure ipotizziamo di vivere in uno spazio euclideo e che la luce segua dei percorsi rettilinei.
Nel fondo dell'occhio, la retina, sono disposti circa 250 milioni di fotorecettori. I coni, i fotorecettori del blu, verde e rosso, si concentrano nella fovea, una superficie di circa mezzo millimetro al centro della retina. I bastoncelli, sensibili al verde, sono disposti su tutto il fondo dell'occhio e sono attivi quando la luminosità è più bassa. Prima di raggiungere coni e bastoncelli, il fotone ha eccitato già altri due strati di retina che selezionano e incanalano la luce verso i coni e bastoncelli – quello intermedio – o al nervo ottico – quello superficiale.
La cultura, ad esempio, sta nel nome del colore. Solo nel Giappone contemporaneo si distinguono due nomi per verde (midori) e blu (aoi), quando prima esisteva solo l'aoi per denominare le due estensioni cromatiche. Eppure non pensiamo che il giapponese non abbia percepito il verde fino ad un secolo fa, però è lecito immaginare che abbia avuto una esperienza diversa dovuta ad una organizzazione culturale della percezione visiva.
Si parla certe volte di "immagine retinica", come di una fedele riproduzione della realtà. Il fatto è che di quella immagine, rovesciata sottosopra, attingiamo dopo una lunga (in termini di quantità e non di tempo) serie di processi ad opera del SNC. Dobbiamo tener conto che il vedere non è solo questione di realtà fenomenica, ma di realtà psicologica e culturale di chi guarda: mentre la realtà esterna rappresenta il mondo visivo, l'immagine retinica corrisponde al campo visivo.
Il mondo visivo è euclideo, cioè mantiene profondità e distanza nonostante noi cambiamo punto di vista, ed è presente laddove noi non abbiamo possibilità di vedere, ossia non è limitato dal campo visivo. Infatti il lavoro dell'occhio è continuo, il mondo tende ad apparirci stabile, ma la scena cambia di continuo: in tempi brevissimi l'occhio compie movimenti saccadici per stabilizzare l'immagine e per farla persistere oltre all'abituazione.
Il processo della visione agisce quindi in maniera selettiva: secondo David Marr il sistema visivo capitalizzerebbe le proprietà fisiche prevedibili e arriverebbe a formulare la tridimensionalità in base ad indizi. Marr chiama la terza dimensione del sistema visivo "seconda dimensione e mezzo" ed è così che il sistema visivo partendo da dettagli salienti economizzerebbe il lavoro da compiere per ottenere una rappresentazione operativa dei dintorni.
Dal lavoro per ottenere le dimensioni spaziali, le saccadi oculari dicono questo, risulterebbe la quarta dimensione: il tempo è attingibile solo dal movimento.
La vista e lo sguardo non solo sono rappresentazioni dei dintorni approssimative, ma rappresentazioni culturalmente date perché a monte della decodificazione dell'immagine del mondo partecipa la cognizione e, perciò l'apprendimento. Non solo, la memoria visiva gioca un ruolo cruciale, in cui le esperienze visive precedenti giocano un ruolo importante nella comprensione dell'immagine attuale.
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