Si è spesso contrapposto il dominio della lingua al dominio della visione, spesso sulla base della specializzazione cerebrale emisferica, per assegnare al primo il primato della razionalità e al secondo quello dell'espressione dell'emotività e, dunque, dell'arte. La psicologia della Gestalt è quel filone di ricerca del Novecento che mostra come la visione possa essere considerata "razionale".
Poi è facile cadere in inganno quando ci riferiamo alla lingua e non includiamo la scrittura ideografica. infatti non esistono solamente lingue fonetiche, ossia basate sulla parola. Allora potremmo dire che la lingua scritta sia emotiva e la lingua orale sia razionale perché vengono gestite da strutture cerebrali diverse?
L'altra questione inerente alla vista è quella per cui l'immagine mentale è arbitrariamente manipolabile dalla nostra volontà, mentre quella acquisita dall'uso della vista sarebbe una fedele riproduzione della realtà. La ricerca in ambito fotografico, specialmente quello fotochimico, ha fornito l'analogia per comprendere i meccanismi dell'ottica animale, ma si tratta solo di una metafora. L'occhio animale, o più precisamente il sistema visivo, influisce nella rappresentazione in modi vari, tra cui quello di non segnalare forme dopo una esposizione prolungata (abituazione). Possiamo trarre la conclusione che la vista non riproduca la realtà, ma la rappresenti secondo principi propri già dal lato, per così dire, meccanico.
Ad influire sul senso della vista, o meglio sul nostro rapportarci alla visione, la cultura fa la sua parte. Se nel Medioevo l'occhio è lo specchio dell'anima, nel Rinascimento l'occhio viene immaginato come centro di convergenza di fasci di linee geometriche. Possiamo dire che la cultura ci insegni a guardare. In epoca moderna è prevalso l'uso del modello linguistico detto strutturalista, per cui la vista diventa un assemblaggio di parti diverse, gli elementi visivi, disposte secondo regole costanti. Rudolph Arnheim, a cui dobbiamo il concetto di "pensiero visivo", si ispira alle regole delle Gestalt individuando nelle figure geometriche le componenti atomiche del prodotto della visione.
Dobbiamo liberarci dall'idea che sia la denominazione linguistica a procurare gli elementi visivi, la visione è già in grado a modo suo di assegnare un ordine perché la visione è già un riconoscimento. L'esempio del mazzo di rose è utile per comprendere che le rose di quel mazzo sono tutte diverse le une dalle altre, eppure la vista mi permette di creare un mazzo in base alla somiglianza, che non è certo nel nome.
Per il paleontologo André Leroi-Gourhan il nostro mondo sarebbe diverso se avessimo virato nella nostra evoluzione verso un altro senso, come il tatto o l'olfatto. Per l'uomo la percezione del proprio corpo nello spazio è stata affidata ad uso quasi esclusivo alla vista integrato con il senso dell'equilibrio. Il resto dei sensi è specializzato in altri domini del comportamento umano.
La natura dell'uomo per come lo conosciamo è la cultura. Il paleontologo continua dicendo che fu il linguaggio orale e poi scritto a determinare la diffusione dell'attività simbolica e della memoria collettiva e, perciò, della collettività. L'etnia condivide in effetti i tratti culturali ereditati come tradizione.
La cultura influenza i sensi e perciò il corpo, solo di recente si è interessati all'invito di Marcel Mauss ad analizzare le "tecniche del corpo" e farne emergere le diversità culturali. Il corpo è culturalmente espressivo e non solo negli ambiti del teatro e della danza. Ma in questi luoghi dove il movimento del corpo è codificato è lo sguardo a fare da padrone. Sembra di poter affermare che lo sguardo assegni l'imprimatur sociale sul corpo, cofermando il primato della cultura sulla natura. Nel più semplice dei casi, il rapporto con la nostra fisicità non è diretta, ma è mediata da modelli e modi appresi culturalmente. Si è sottoposti ad una continua educazione dello sguardo e questo torna secondo i conti fatti da Matthew Murgio, per cui il nostro apprendimento passa per l'83% attraverso l'uso della vista.
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