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lunedì 22 dicembre 2014

Antropologia sociale: verso una società di abbondanza frugale

La società della crescita ha fallito nel suo obiettivo di renderci felici e questo obbliga ad interrogarsi sul contenuto della promessa. Il sovraconsumo materiale lascia una parte del globo in condizioni di miseria assoluta e non garantisce nemmeno un benessere per gli altri.
Il progetto della società della decrescita ridefinisce la felicità come "abbondanza frugale in una società solidale". Si propone un'uscita dal circolo della creazione illimitata di bisogni e di prodotti, quindi della frustrazione crescente che questa genera. Contemporaneamente si cercherà di compensare l'egoismo dell'individualismo ridotto ad una massificazione uniformizzante con la convivialità. La società della decrescita si propone di fare la felicità dell'umanità attraverso l'autolimitazione, per realizzare cioè una abbondanza frugale.

Nè crescita nè austerità
I nostri governi vedono la soluzione della crisi economica e finanziaria della attuale società dei consumi soltanto nell'austerità. Le opposizioni vedono la soluzione soltanto in un problematico rilancio dell'economia. La ministra francese dell'economia Lagarde ha coniato il nuovo termine rilance, una crasi tra regueur e relance. Praticamente andare in macchina con il freno spinto fino al telaio e l'acceleratore a tavoletta!
Il rigore in realtà colpisce soltanto gli strati di popolazione che con la crisi c'entrano poco o nulla. I grandi capitali finanziari restano intoccabili, non viene imposta nessuna tassa patrimoniale, in più lo scudo fiscale protegge chi ha ingenti capitali. Il progressivo taglio della spesa pubblica ha praticamente distrutto lo stato sociale, lasciando le classi più deboli, che non possono permettersi i servizi pubblici privatizzati, praticamente è in mezzo ad una strada.
Non si tratta dell'austerità virtuosa proposta da Illich, che Latouche preferisce chiamare "frugalità", che priva del superfluo, ma si tratta di una austerità che priva del necessario. Il fatto è che gli Stati occidentali colpiti dalla crisi fanno a gara, masochisticamente, a chi riesce a tassare e tagliare la spesa pubblica di più.
Le politiche neokeynesiane, proposte ad esempio da Stiglitz, che fanno ricorso alle vecchie ricette keynesiane di rilancio dei consumi e degli investimenti, sono improponibili perché il pianeta non può più sopportare un'ulteriore depauperizzazione e i costi della crescita sono superiori ai benefici.
I partiti all'opposizione non riescono ad uscire dalla gabbia concettuale costruita dal neoliberalismo e dai dogmi dei monetaristi.

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