La funzione simbolica e limiti dell'intellettualismo e del criticismo nel contesto dell'essere al mondo
La "funzione simbolica" dunque sottende ai nostri movimenti, ma l'intellettualismo la fa riposare su se stessa. Non c'è una capacità simbolica in generale, c'è piuttosto una "comunanza nel senso" piuttosto che una "comunanza nell'essere". Porre la funzione simbolica a fondamento dell'analisi del comportamento porta a non distinguere più le patologie: afasie, aprassie, agnosie non sarebbero distinguibili. E questo è il motivo per cui psicologi e medici preferiscano tornare al metodo induttivo ed al pensiero causale.Quando si mette a capo la funzione simbolica occorre non separarla dal terreno ed ai materiali sulla quale si relizza. Schneider non ha un problema metafisico, è stato colpito da una granata al lobo occipitale. Finché non ci sarà una fenomenologia genetica ed individuato una struttura ed una essenza concreta della malattia i ritorni del naturalismo e del pensiero causale saranno giustificati.
Dire che la deficienza visiva sia la causa dei disturbi del movimento, o sia la funzione simbolica, non rende conto che la funzione simbolica e la visione visiva sono in rapporto di Fundierung, come materia e forma.
Nel soggetto sano l'analogia è compresa senza analisi, mentre nel soggetto malato l'analogia non è compresa se prima non avviene una analisi linguistica. Nel pensiero vivente non viene sussunta la categoria, piuttosto la categoria impone i termini che riunisce in un significato per essi esteriore. Nel criticismo la funzione categoriale si sdoppia in empirica e trascendentale, quest'ultima a monte offre le sintesi al pensiero empirico e il pensiero empirico offre la materia. A conti fatti una sintesi atemporale non è né necessaria né sufficiente per fondare il pensiero. Nel qui e ora il pensiero sarebbe separato dalle sue premesse fondamentali. Se il soggetto sano capisce l'analogia è perché i termini gli sono dati immediatamente, ha l'evidenza antepredicativa di un mondo unico. Il soggetto kantiano invece pone un mondo, il soggetto effettivo ha un mondo e non ha bisogno di esplicitare corrispondenze e relazioni nel sistema dei significati.
Sedimentazione e spontaneità della struttura del mondo
I mondi acquisiti non sono un senso secondo applicato al mondo, ma ritagliano un senso originario. C'è un "mondo dei pensieri", una sedimentazione delle nostre operazioni mentali, che ci permette di contare sui nostri concetti e giudizi acquisiti come cose che sono là e si danno globalmente, senza che in ogni momento ci sia bisogno di fare una sintesi. La parola "sedimentazione" non deve trarre in inganno: non è un sapere contratto in fondo alla coscienza. Rimane intorno a me come dominio familiare se ho ancora "nelle mani" o "nelle gambe" le distanze e le direzioni principali, se dal mio corpo escono verso il mondo una moltitudine di "fili intenzionali". L'essenza della coscienza è di darsi uno o più mondi, cioè di far essere di fronte a se stessa i propri pensieri come delle cose.La struttura del mondo, con il suo duplice momento di sedimentazione e spontaneità, è al centro della coscienza.
Il malato sembra uno scienziato di fronte ad un mondo sconosciuto, deve risalire alle strutture linguistiche per identificare gli oggetti.
Questo fa comprendere la patologia come un "livellamento del mondo" per cui le turbe motorie, percettive e intellettuali di Schneider siano integrate senze ridurle le une alle altre.
Nell'individuo normale l'oggetto è parlante e il significato non deve essere trovato altrove, nel malato il mondo ha perso la sua fisionomia perché il campo percettivo ha perduto la plasticità di essere significato. La percezione si impoverisce e il linguaggio interviene a donare senso indiretto attraverso un processo analitico.
La stessa cosa la si nota meglio nel compito di nachzählen, ossia di riportare una storia narrata. Il malato assimila le frasi durante le pause e quando la riporta ne capisce il senso solo dopo aver pronunciato delle frasi che non intonano l'andatura del racconto. Per lui le parole sono segni che vanno analizzati ad uno ad uno, anziché di essere l'involucro trasparente del senso. Vive in un mondo che necessita di una interpretazione metodica.
La "cecità per i numeri" è quella patologia per cui il malato capace di tutte le operazioni aritmetiche e di numerare non può concepire il numero. Ottiene il numero attraverso espedienti rituali, come contare sulle dita. Il malato ha perso il numero come categoria o come schema (Kant)? Il vero atto di contare esige dal soggetto che le sue operazioni continuino ad essergli presenti e costituiscano un terreno su quale queste ultime si stabiliscono.
Analisi esistenziale, arco intenzionale e libertà. La motilità come intenzionalità originaria
In tutta la condotta del malato c'è qualcosa di meticoloso e di serio, è incapace di giocare. Giocare significa porsi per un momento in una situazione immaginaria, significa compiacersi di mutare "ambito". Schneider che cammina per strada e passa davanti la porta del medico non la nota: non aveva come obiettivo l'andarlo a trovare. Per lui il futuro e il passato non sono che prolungamenti "raggrinziti" del presente, non può sorvolare il suo passato e ritrovarlo senza esitazioni, andando dal tutto alle parti. Alla fine tutti i disturbi di Schneider si lasciano condurre ad una unità, ma non quella della "funzione di rappresentazione", egli è legato all'attuale e manca di libertà, quella capacità di mettersi in situazione.La vita della coscienza è sottesa da un "arco intenzionale" che proietta attorno a noi il nostro passato, il nostro avvenire, il nostro ambiente umano, la nostra situazione fisica, la nostra situazione ideologica, la nostra situazione morale e fa sì che noi siamo sotto tutti questi rapporti. Tale arco intenzionale costituisce l'unità dei sensi, dell'intelligenza e della sensibilità; mentre nel malato si allenta.
Lo studio sul patologico ha permesso di scorgere un metodo di analisi, il metodo dell'analisi esistenziale, che supera le alternative tra empirismo e intellettualismo, fra spiegazione e riflessione. Ciò che viene a mancare gradualmente al malato è la visione, ma in senso figurato, cioè la capacità di "dominare" (überschauen) le molteplicità simultanee, un certo modo di porre l'oggetto o di avere coscienza. Non è la visione sensibile, ma piuttosto la coscienza che impregna le dimensioni del campo visivo di senso. La coscienza esprime i suoi atti di spontaneità.
Nel malato la coscienza mima le operazioni abituali, ma senza poter ottenere la loro realizzazione intuitiva e senza poter mascherare la deficienza particolare che le priva del loro senso pieno. La coscienza si proietta in un mondo fisico ed ha un corpo, si proietta nel mondo culturale ed ha un habitus. Ogni forma vissuta tede verso una generalità, sia quelle degli habitus oppure delle funzioni corporee.
Queste delucidazioni permettono di mostrare la motilità come intenzionalità originaria che non è un "io penso che" ma un "io posso". Il movimento non è un pensare di muoversi, lo spazio corporeo non è uno spazio pensato o rappresentato. La coscienza è inerire alla cosa tramite il corpo. La motilità quindi non è l'ancella della coscienza che trasporta il corpo da uno spazio all'altro che ci rappresentiamo. Perché ci possiamo muovere è necessario che l'oggetto esista di per se stesso. Non si deve dire che il nostro corpo è nello spazio, né dire che è nel tempo. Il corpo abita lo spazio e il tempo. Il mio corpo inerisce allo spazio e al tempo, li abbraccia. L'esperienza motoria non è un caso particolare di conoscenza, ma ci fornisce un modo di accedere al mondo, una "paraktognosia" che deve essere riconosciuta come originale e forse originaria. Il mio corpo ha il suo mondo o comprende il suo mondo senza dover passare dalla funzione simbolica.
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