La neuropsicologia negli ultimi 30 anni ha prodotto una notevole mole di dati riguardo alle dissociazioni. Deficit di particolari abilità sono state correlate a lesioni e disfunzioni specifiche in zone cerebrali. Nel 1983 il filosofo Fodor pubblicò La mente modulare e teorizzò il funzionamento mentale come il prodotto di moduli dominio-specifici, di base innata, ognuno incaricato di un particolare set di funzioni su un tipo di dato ambientale. L’esperienza acquisita dalla neuropsicologia sembra avvallare la posizione fodoriana. Ad esempio la dislessia acquisita si ha quando un individuo adulto perde la capacità di leggere e conserva altre competenze cognitive. Nella dislessia evolutiva, invece, i bambini mostrano buone capacità generali, ma un deficit specifico per la lettura. Sorprendente il fatto che spesso si possa rintracciare nell’albero genealogico un parente con lo stesso problema. L’impressione che si ricava è che sia deficitario in uno specifico meccanismo cognitivo, presumibilmente associato ad un sottostante principio neurologico geneticamente attivato, che non ha relazione con altri meccanismi cognitivi.
Nel caso del disturbo evolutivo pare che sia correlato ad altri deficit cognitivi (attenzione, apprendimento, memoria, etc. ) e, in generale, molto spesso la dislessia non appare repentinamente come se il disturbo fosse specifico per la lettura. In alcuni casi la dislessia è associata con deficit di componenti più generali che poco si prestano ad un’analisi modulare. Gli scienziati cognitivi si sono chiesti se è possibile risalire a funzioni più generali in quanto funzioni specifiche come la lettura sembrano legate a facoltà più generali. Così le scienze cognitive hanno corroborato teorie gerarchiche dell’intelligenza.
Un individuo con disturbo di apprendimento dimostra un livello intellettivo nella norma, ma con scarse abilità di apprendimento. Emerge così che intelligenza e apprendimento sono sovrapponibili, un QI altro correla con un ottimo apprendimento, però sono in sé fattori diversi. Qualsiasi misura standard dell’intelligenza non può prescindere dal misurare aspetti relativi all’apprendimento, nessuna misura dell’apprendimento prescinde da fattori intellettivi. Misurare l’apprendimento significa misurare funzioni intellettive specifiche, perciò una teoria unitaria dell’intelligenza non può spiegare come possa esistere un deficit d’apprendimento specifico. Al contrario una teoria multipla riesce a provare rilevazioni differenziali. Non è rara la compensazione da parte di individui colpiti da specifici deficit. Ad esempio bambini con punteggi scarsi nei compiti linguistici potrebbero avere punteggi superiori alla media in compiti numerici, bilanciando così il profilo misurativo.
Quando il risultato del test d’intelligenza è basso si parla di ritardo mentale e questo può essere di diversa gravità. Occorre sottolineare che la distribuzione statistica tipicamente gaussiana (bell curve) del QI dà da intendere che per quanti individui sono sotto la media (85-110), tanti altri si avranno sopra alla media. Teorie multiple mettono in guardia nel considerare individui con deficit intellettivo ritardati mentali, in quanto ciò che è “intelligenza” viene definito culturalmente. Perciò individui con deficit logico-matematici sono più penalizzati di individui con deficit musicali o corporeo-cinistetici, prendendo come teoria multipla quella di Gardner. Il relativismo culturale spiega in parte il problema dei deficit intellettivi. Se l’individuo vivesse in una società di guerrieri le abilità logico-matematiche sarebbero meno rilevanti di abilità corporee, così in società di navigatori, ad esempio, l’individuo sarebbe considerato ritardato se non possedesse adeguate abilità visuo-spaziali. Però occorre portare come esempio individui con ritardo mentale che copre una vasta gamma di funzioni, ad esempio un individuo trisomico, cioè colpita dalla sindrome di Down. In casi come questi appare lampante come diverse forme di intelligenza non siano tra di loro indipendenti, ma in qualche modo collegate le une alle altre.
Un disturbo di notevole interesse per vagliare le teorie sull’intelligenze è il disturbo da deficit attentivo e iperattività (DDAI). Individui colpiti da questo disturbo hanno QI decisamente nella media, ma manifestano labilità attentiva, incapacità di organizzarsi, incostanza, impulsività e iperattività. Le cause neurologiche sono da attribuirsi ad un malfunzionamento della corteccia frontale, sede delle funzioni esecutive, memoria di lavoro, attenzione, velocità di esecuzione in compiti meccanici. Farmaci specifici che stimolano la corteccia prefrontale produce miglioramenti nella coordinazione del comportamento, però nessun miglioramento nelle prove intellettive. Se memoria di lavoro, attenzione, inibizione delle intrusioni mnestiche sono rappresentative dell’intelligenza come mai individui DDAI non hanno risultati migliori ai test intellettivi se trattati con farmaci?
Se da un lato si studiano persone con ritardo mentale per capire cosa manca, dall’altro si studiano individui particolarmente intelligenti. Il più tipico individuo considerato eccezionalmente intelligente è il genio. In realtà gli studi dimostrano come individui geniali siano molto più abili della norma in un determinato dominio, ma non in altri. Questo dà credito a teorie multiple. Il genio è il prodotto di più fattori, ovviamente un’ottima intelligenza, ma una specifica predisposizione in determinate abilità. Di seguito sono necessarie saturazioni in determinati tratti di personalità e creatività. Di certo il clima culturale gioca un ruolo indispensabile per forgiare un genio.
Individui più abili della norma sono i talentuosi, ovvero con forme altamente specifiche di intelligenza dominio-specifiche; i creativi, persone che riescono a produrre soluzioni originali che nessun altro ha pensato; i geni, distinguibili per i loro prodotti e elevati allo status di genio dal clima culturale e sociale; i dotati, persone che ottengono ottime prestazioni in molti campi e in situazioni non familiari; i superesperti, cioè individui con una preparazione particolare che hanno conseguito con molta pratica sul campo.
Emerge che individui intelligenti sono, con una metafora, il prodotto della loro esperienza. Dunque possiamo definire intelligenti persone per la loro abilità particolare? Un caso molto interessante è quello degli idiots savant, cioè individui con un profilo autistico e con intelligenza più bassa della media, ma con abilità eccezionali per quanto riguarda un campo specifico, ad esempio il calcolo.
Chi sono gli individui creativi? Studi suggeriscono che i creativi siano più flessibili e riescano adattare strategie a situazioni differenti. Pare che le madre di questi bambini li incoraggino a maturare un’indipendenza intellettuale, fin da piccoli. Per cui emerge un complesso di fattori ambientali e personologici che forgiano un individuo creativo. Intelligenza e creatività sono relazionate, ma occorre misurarle con strumenti diversi. Il creativo, secondo Naglieri, sarebbe in grado di pianificare e anticipare le fasi dell’opera creativa. Sternberg, invece, spiega che, come prevede la sua teoria dell’intelligenza, esistano diversi tipi di creativi e che siano eccellenti in una o più dimensioni (analitica e/o pratica) oltre che creatività. Tratto saliente della creatività è l’originalità, ma una produzione originale può essere sempre considerata creativa? Altro fattore misurato è la quantità di produzione di idee. Però occorre ricordare che persone giudicate creative come Monet o Morandi producevano variazioni molto lievi dello stesso soggetto, perciò il fattore quantità di idee è molto più sottile di quello che si è portati ad immaginare. Da studi neurologici è stato riscontrato che individui reputati creativi avevano un afflusso di sangue a tutti e due gli emisferi nella stessa quantità.
Nessun commento:
Posta un commento