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sabato 13 dicembre 2014

Psicologia dell'apprendimento: memoria

La terza età della memoria. Memoria e invecchiamento

Ormai la mole di dati delle ricerche dimostra che l’invecchiamento porta con sé dei cali per quanto riguarda la memoria. La memoria che pare risentire più delle altre è la memoria di lavoro. Gli anziani hanno difficoltà a rievocare senza aiuti, a compiere più operazioni in una volta, a ricordare materiale selezionandone una parte. Una differenza tra giovani e anziani con problemi alla memoria di lavoro è che gli anziani incontrano meno difficoltà a rapportarsi con testi complessi. Da una parte gli anziani appaiono avvantaggiati quando il compito è familiare e in concomitanza hanno un bagaglio di conoscenze maggiori.
Si è parlato di reminescenza per distinguere una forma di ricordo che è il ritorno al passato. La reminescenza può essere rimuginativa o integrativa. La prima si ha quando si ritorna sempre agli stessi dettagli degli stessi episodi in modo coattivo con note di rimpianto. La reminescenza integrativa, invece, si ha quando si rivive il proprio passato con una ricerca più completa, integrandolo con momenti di gioia e altri meno positivi, in un quadro complessivo che permette di riesperire eventi e di ristabilire una migliore identità. A quanto pare la reminescenza risponde a molti bisogni nell’anziano e quella negativa è correlata con alto nevroticismo e un abbassamento delle aspettative.
Comunque sia molti anziani hanno un atteggiamento esagerato nei confronti della propria memoria, una sfiducia eccessiva. Training appositi hanno limitato questa tendenza apportando un atteggiamento più realistico insegnando strategie. Per alcuni anziani l’uso della strategia avveniva per un periodo circoscritto all’insegnamento dopodiché non veniva più utilizzata.
Per De Beni, Cornoldi nella terza età il calo cognitivo è dovuto a cinque ordini di fattori: 1) meta cognizione, insufficiente controllo e strategie; 2) livelli di elaborazione, il passaggio da sensoriale a semantico incontra delle interruzioni; 3) difficoltà di elaborazione auto-iniziata: problemi nell’associare informazioni memorizzate ad altre parti del contesto rendendo difficile la rievocazione ordinata; 4) insufficiente uso di processi controllati, minor attenzione e memoria di lavoro; 5) atteggiamento motivazionale: meno motivato a ricordare e a evitare eventi di insuccesso e a lungo termine.

I grandi memorizzatori. Saper ricordare, saper dimenticare

I grandi memorizzatori del passato erano particolarmente valutati, ma oggi con la possibilità di accesso alle informazioni dell’era moderna questa abilità è stata messa in secondo piano. Shereshevskij, il cronista russo, fu un celebre caso analizzato dallo psicologo Lurija. Shereshevskij, nato in un piccolo paesino da una famiglia numerosa e benestante ha conseguiti studi irregolari e aveva l’aspirazione di diventare un musicista. Abbandonò la strada della musica per una malattia all’orecchio e seguì un progetto di vita poco chiaro. Lurija annotò che il cronista era una uomo un po’ tardo, impacciato e in ansia. Lavorò per un giornale e stupì i colleghi non per le sue doti giornalistiche, ma per il fatto che non prendeva mai appunti. L’abilità di Shereshevskij era quella di riuscire a memorizzare immagini complesse e di riuscirle a riportare a distanza di molti anni. La sua memoria visiva aveva del prodigioso, la sua abilità era quella di imprimere nella mente immagini vivide di ciò che doveva ricordare. Ha riportato che fin da bambino doveva ricordare sequenze di simboli a lui sconosciuti, l’ebraico, per imparare le preghiere.
Lo psicologo indiano Mahedevan è addirittura entrato nel guinnes dei primati per aver memorizzato oltre 31 mila cifre dei decimali del pi greco. Riuscì a memorizzare una matrice 50x50 e riportarla negli ordini richiesti anche a distanza di mesi. Questa abilità di ricordare cifre era l’unica eccezionalità della memoria di Mahadevan, nelle prove di memoria diverse da quelle numerica aveva risultati modesti o disastrosi. Lo psicologo non aveva una memoria visiva particolarmente buona, ma una abilità specifica nel ricordare suoni. I grandi memorizzatori sono eccellenti spesso in un solo formato, cioè dimostrano selettività.
Lo span di memoria di lavoro di un adulto normale oscilla dalle 6 alle 7 posizioni. Esistono memorizzatori che in una sola volta riescono a memorizzare anche 50 cifre. Ericsson dimostrò che con un training specifico qualsiasi persona normodotata sia in grado di riprodursi in performance simili. In sostanza questi memorizzatori iniziano ad utilizzare delle tecniche per raggruppare numeri e poi danno significato ai gruppi.
Un altro caso è la memoria degli esperti. La psicologia si è occupata dei superesperti, cioè persone eccellenti nel ricordo di un determinato tipo di informazioni di un dominio della conoscenza. Ericsson spiega che per diventare superesperti occorre esercitarsi costantemente per 10 anni. Gli esperti più analizzati dagli psicologi sono gli scacchisti, la cui memoria si basa sull’esperienza di configurazioni di scacchi e in grado di poter giocare anche con decine di avversari contemporaneamente. Simon, premio Nobel di economia, ma psicologo, ha proposto la teoria di “chunking” cioè la capacità di valutare selettivamente gruppi di dati importanti.
Le ricerche hanno evidenziato che spesso le memorie eccezionali sono una compensazione e coesistono con altri deficit, ma soprattutto i grandi memorizzatori non sempre sono degli abili dimenticatori. Eh sì, a volte occorre anche dimenticare.


La memoria nella vita di tutti i giorni

Tulving ha proposto e rielaborato una teoria a memorie multiple nel corso degli ultimi anni basandosi su 100 anni di ricerche psicologiche e neurologiche. Ha ribadito la suddivisione in memoria dichiarativa e memoria procedurale. Nella dichiarativa è possibile rinvenire la memoria semantica, episodica e sensoriale. Infine è possibile distinguere l’ulteriore memoria di lavoro. Ciascun sistema ha le sue leggi e un deficit può occorrere ad una memoria e non ad un’altra avvalorando l’ipotesi tulvingiana di memorie multiple. La ricerca può essere condotta in laboratorio, ma può anche essere condotta nella vita di tutti i giorni (everyday memory) e i risultati non sono così lontani. La vita fa continuamente ricorso alla memoria per dare senso al mondo, per relazionarci agli altri, per la formazione degli stereotipi, etc. Però è da sottolineare come i circuiti mnestici e quelli emotivi siano in stretto contatto a livello neurologico, infatti sono pochi i ricordi senza una tonalità affettiva o una componente motivazionale in quanto l’uomo agisce seguendo soddisfazione e autorealizzazione.

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