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sabato 13 dicembre 2014

Psicologia dello sviluppo: lo sviluppo sociale

John Bowlby e la prospettiva interattivo-cognitivista
John Bowlby attraverso esperimenti ad orientamento etologico, intorno agli anni '50 '60 del XX secolo, propone un quadro teorico centrato sul concetto di attaccamento. In base a questa teoria la socializzazione è un bisogno primaria, contrariamente a quanto affermato dalla psicoanalisi. Secondo Bowlby il bambino è geneticamento predisposto a ricercare e mantere la vicinanza con i membri della propria specie, particolarmente in una fase sensibile intorno al secondo semestre del primo anno di vita. L'abbandono o un attaccamento ambiguo possono creare profondi danni alla personalità. L'ipotesi prevede che sul piano evoluzionistico l'attaccamento svolga un ruolo adattivo di protezione dai predatori e sia il prototipo di tutte le relazioni future dell'individuo. Le critiche alla teoria originale riferiscono che l'attaccamento potrebbe essere non neccessariamente su un'unica figura e che la prima relazione profonda possa non essere il prototipo di tutte le relazioni a venire. Si rimprovera Blowby per sottovalutare la socializzazione con i pari nei primi anni di vita. Con la prospettiva interattivo-cognitivista l'accento è messo sulla dinamica della relazione e non sull'individuo, quindi viene enfatizzato il "darsi il turno", cioè il ruolo.

I primi tre anni di vita
L’esigenza per l’adulto nei confronti del piccolo è quella di regolarizzare i processi fisiologici e armonizzarli con la richiesta ambientale. L’attrazione verso l’oggetto sociale, segno, forse, di una innata necessità del socializzare, è evidente quando il bambino è particolarmente colpito dalle altre persone, più che dalle altre caratteristiche ambientali. Intorno al secondo mese il bambino sembra scoprire l’oggetto sociale, testimoniata dalla quasi costante interazione con l’adulto vis-à-vis. Tra i due e i cinque mesi i bambini si sono già impadroniti di mezzi indispensabile per interagire nelle relazioni sociali. Dai cinque mesi in poi, grazie il progresso sul piano manipolatorio, l’attenzione passa anche agli oggetti inanimati e le relazioni sociali si arricchiscono. A sette mesi il bambino vive l’assenza della madre come molto dolorosa. I teorici dell’attaccamento considerano questo, dunque, un fenomeno chiave per evidenziare lo stile di attaccamento acquisito. Dagli otto mesi si assiste ad una svolta qualitativa. Appare la paura per l’estraneo unita ad una forma di intenzionalità non solo rivolta ai fini, ma anche ai mezzi per perseguirli.
L’attaccamento è intuitivamente legato alla figura della madre, ma in realtà le statistiche suggeriscono che possono esserci forme di attaccamento verso altre figure, addirittura con più figure. Il tempo passato con il bambino gioca un ruolo modesto nell’attaccamento. Anzi, pare essere la figura magari non sempre presente, ma stimolante e che soddisfa i bisogni del bambino ad essere quella su cui l’attaccamento avrà luogo. Alcuni mesi dopo l’attaccamento il bambino avrà interiorizzato la figura della persona di sostegno (caregiver) e il bambino potrà esplorare l’ambiente senza che l’oggetti di attaccamento debba essere presente fisicamente.
Dai diciotto mesi avviene un secondo cambio qualitativo grazie alla conquista del linguaggio e, dunque del dialogo. Tra il secondo e il terzo anno di vita appare nella vita del bambino importante la parola “no”. Questo termini è la chiave per l’indipendenza che piano piano acquisirà.
Nel rapporto con i pari i bambini dimostrano subito una competenza minori di quella con l’adulto. Gradualmente le interazioni deboli e a volte negativa (sottrarre un giocattolo) diventano speculari e positive. Nel terzo anno di vita si assistono a comportamenti di interazione complementare, come rispondere ad una richiesta d’aiuto, e reciproca. I giochi possono diventare sociali e simbolici a seconda di variabili ambientali.

Dai tre ai sei anni
Superata la fase del “no” il bambino dai tre anni è interessato nell’imitare i genitori, in particolare quello dello stesso sesso. Il bambino è intento a capire il ruolo delle persone e viene dimostrato dai giochi simbolici tipici di quelle età. Vengono imparate le norme sociali. Fino ai 6-7 anni non hanno nessun dubbio che si debba rispettare i genitori, l’autorità genitoriale è a questo punto la guida morale. Il bambino a due anni può assistere con timore e incertezza un altro bambino in sincero bisogno di aiuto. A tre anni i comportamenti d’aiuto sono sorretti da una miglior comprensione del disagio degli altri bambini. Il concetto di amicizia per un bimbo di quest’età è limitato dal fare cose interessanti insieme, perciò è anche molto labile.


L’età della scuola elementare
Dopo gli otto anni il bambino concepisce il fatto che i genitori possano dare ordini sbagliati. L’autorità genitoriale non è più onnipotente, ma è data dal fatto che “sono più grandi” e hanno più esperienza. Se gli insegnanti della scuola materna sono vissuti come un’estensione dei genitori, il bambino alla scuola elementare ha capito il concetto di ruolo. Dai 6-7 anni il gioco acquista la componente di regola sociale che deve essere rispettata per giocare. L’amicizia si arricchisce, ora l’amico è la persona che ti aiuta e che condivide opinioni e preferenze. I bambini dividono già a quest’età in amici intimi e non (compagni).

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