Lo stato attuale della comunicazione politica ha messo in crisi buona parte delle teorie tradizionali che appaiono oggi superate o in via di superamento. Quello che un tempo era regolato da canali di comunicazione elettronica o cartacea limitati e un pubblico di massa con identificazioni politiche e ideologiche stabili sta cedendo il passo ad una struttura più decentralizzata e pluralizzata, caratterizzata da frammentazione ed incertezza.
Vengono quindi abbandonati paradigmi consolidati del giornalismo politico, mettendo in discussione le categorie di “cittadinanza” e “democrazia”. Dalle analisi del “complesso politico-mediatico” emerge un linea di frattura all’incirca tra gli anni Ottanta e Novanta. Alcuni autori si riferiscono al periodo contemporaneo Novanta-Duemila-Duemiladieci come “terza era” o “era post-moderna” della democrazia.
La prima peculiarità del sistema mediatico è la competitività esasperata, che ha indotto un cambiamento di prospettiva del modo di concepire l’informazione politica, diventata anch’essa spettacolarizzata e drammaticizzata.
In secondo luogo l’informazione politica è frammentata in quanto i canali sono molteplici come i pubblici dell’informazione digitale di internet e non più unificata come il pubblico della televisione generalista. Blumbler e Kavanagh [1999] hanno definito questo fenomeno “diversificazione centrifuga”, nel senso che l’informazione politica giunge in modo capillare a vari segmenti della cittadinanza stratificata muovendosi dal centro alle periferie.
La terza caratteristica è la fusione della “logica della politica” con la “logica dei media” con una prevalenza della seconda nel determinare forme e modalità di confezionamento dell’informazione politica. Tutti sono concordi nel ritenere questo fenomeno la causa della leaderizzazione o personalizzazione, spettacolarizzazione, frammentazione della politica come adattamento alla grammatica del canale elettronico.
In quarto luogo spariscono i mediatori sociali della politica e i cittadini possono raggiungere direttamente il leader politico. Questo è dovuto al cosiddetto going public del politico, che una volta esposto attraverso i canali di comunicazione, specialmente la TV, contribuisce a rinsaldare il legame tra segmenti di cittadinanza e il leader.
Il modello della teoria democratica classica sembra aver fallito a spiegare il comportamento dei cittadini. Si contesta che il cittadino non ha un sufficiente bagaglio di conoscenze per decidere chi votare, ma si basi su euristiche e informazioni superficiali. Occorre biasimare i cittadini? O i media concorrono alla colpa non dimostrandosi buoni agenti informativi? Alcuni hanno avanzato l’ipotesi del video malaise e addossa la colpa all’involgarimento e la superficialità dei media.
In questa era il marketing politico sceglie i temi con cui presentare i candidati e partecipa alla loro costruzione mediatica e generando una campagna mediatica permanente per sostenere le policy del governo in carica. In questo modo il cittadino non viene considerato una persona da educare ma un consumatore da soddisfare.
Dunque nella contemporanea democrazia mediatica i media hanno una vera e propria responsabilità civica: informare i cittadini e controllare l’operato del governo (watchdogs) al fine di garantire un meccanismo di accountability con il quale il cittadino possa premiare o punire con il voto i propri rappresentanti.
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