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domenica 21 dicembre 2014

Psicologia politica: la scelta di voto

Stando alle prime teorie nordamericane sulla scelta di voto degli anni 50, alcune caratteristiche sociodemografiche dell'elettore (classe sociale, luogo di residenza, religione, appartenenenza etnica, ecc.) sarebbero predittive sulla scelta di voto compiuta alle elezioni. L'indice della predisposizione politica [Lazersfeld 1948] si concentrebbe su quelle variabili. A partire dagli anni 60 profondi cambiamenti culturali resero difficile associare una ideologia alle persone partendo dal loro status sociodemografico. Le cleavages – linee di frattura socioculturale – diventano più sfumate. In Italia il fenomeno americano si è ritardato fino al crollo della Prima Repubblica negli anni 90. Accanto alle caratteristiche demografiche oggi troviamo professione esercitata e grado di istruzione.

Un altro modello di voto è quello basato sull'identificazione con il partito, intendendo l'attaccamento stabile e resistente al cambiomento con il gruppo dirigente [Campbell 1960]. Secondo la teoria psicoanalitica durante l'età evolutiva si formerebbero delle forme di identificazione con persone e oggetti considerati importanti, tra cui anche il partito politico. In base a questa identificazione ruotano caratteristiche famigliari e ambientali, nell'età adulta sarebbe una scelta di voto garantita da una notevole stabilità. Le scelte politiche sarebbero così caratterizzate da un sostrato emotivo piuttosto che da una scelta razionale e i dati così verrebbero distorti per confermare ciò che sa la persona a proposito della parte politica preferita.
La critica a questa teoria è nell'operazionalizzazione dell'identificazione politica, in sostanza il voto predirrebbe l'attaccamento politico invece la teoria dovrebbe poter misurare l'identificazione politica e in seguito la probabilità di voto [Evans 1993]. Ancora oggi l'identificazione viene visto come un elemento predittivo del voto.

Gli anni 70 fanno emergere un nuovo tipo di spiegazione sul voto basato sui temi politici. Nel volume The changing American voter [Nie, Verba e Petrocik 1976]. L'elettore diventa più sofisticato rispetto agli anni precedenti e meno incline a sviluppare legami affettivi o identificativi con i partiti. Si assiste, secondo gli studiosi, a un processo di "disallineamento", nel senso che gli elettori si emancipano dalla copertura ideologica del partito. Ora sarebbero le misure prese in alcuni temi della vita sociale a influenzare l'adesione dell'elettore verso la campagna del partito politico. Questo tipo di voto viene definito voto prospettico, ossia un voto che si fonda su una valutazione probabilistica relativa all'operato di una parte politica. Ma può derivare anche dalla conoscenza delle performance del partito nel passato e perciò si parla di voto retrospettico. Rientra in questa categoria il voto economico basato sulla performance del governo uscente.
Per inferire razionalmente le prestazioni dei partiti l'elettore si affiderebbe a intermediari culturali come possono essere esperti e politici.

Questa teoria si basa sul concetto di homo economicus che già nel 1957 Downs applicò al contesto politico. La teoria della scelta razionale sviluppata inizialmente in ambito economico nell'ambito politico prevede che l'elettore dia il suo voto in base al calcolo dei costi e benefici e collezionando tutte le informazioni necessarie per poter esprimere una scelta elettiva. Come è facile immaginare, in questo momento storico la quantità di informazioni necessarie, pure essendo motivati, per poter effettuare una scelta di tal fatta sono difficili o quasi impossibili da ottenere. Downs spiega che la statistica e la probabilità possono essere utilizzate per predire l'esito di un voto.
Un'indicazione chiara sul percorso da seguire in caso di informazione incompleta proviene anche dalla teoria dell'utilità attesa soggettiva [Edwards 1954]. In questa teoria la decisione viene scomposta in termini di valori o utilità che il soggetto attribuisce a ciascuno dei possibili esiti della decisione, e di probabilità soggettiva che ciascuno di questi esiti possa effettivamente verificarsi.
Le applicazioni al contesto politico non fanno eccezione in questo senso, e di solito assumono implicitamente che:
a) lo scopo dei governi sia quello di massimizzare il loro potere politico;
b) lo scopo dei politici sia quello di massimizzare la loro possibilità di rimanere in carica;
c) lo scopo degli elettori sia quello di massimizzare il loro benessere economico.

Con il graduale diffondersi della psicologia cognitivista e delle sue applicazioni ai contesti sociali e politci emersero diverse critiche verso l'homo economicus e venne proposta l'alternativa dell'homo psicologicus [Simon 1983]. La razionalità del primo tende a prendere la miglior decisione possibile in base a tutte le informazioni necessarie, la razionalità limitata del secondo lo porta a considerare solo le informazioni di cui dispone e a far leva su una serie di euristiche che produrranno la scelta più soddisfacente. L'interesse dell'homo economicus persegue l'utilità economica e il potere, mentre quella dell'homo psicologicus è legata in parte a desideri egoistici e strumentali, altre volte esprime altruismo e persegue i valori in cui crede.


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