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domenica 14 dicembre 2014

Filosofia delle scienze umane: il corpo in Merleau-Ponty

La percezione mette a capo a oggetti, e una volta costituito, l'oggetto appare come la ragione di tutte le esperienze che ne abbiamo avuto e che ne avremmo. La "cosa stessa" non è nessuna delle apparizioni ma è il geometrale di tutte le prospettive. Il geometrale di tutte le prospettive non è una prospettiva, per cui potrebbe sembrare che non abbiamo posizione e assisteremmo alla cosa stessa in nessun luogo. Il che equivale a dire che la cosa stessa è invisibile.
La visione è un atto a due facce. Quando guardo un oggetto esso si fissa in un orizzonte interno e il resto che si presenta al campo visivo si ritira in un orizzonte esterno. L'orizzonte assicura l'oggetto durante l'esplorazione e io mi immergo nell'oggetto. La struttura oggetto-orizzonte è ciò che chiamiamo prospettiva ed è il mezzo che hanno gli oggetti per manifestarsi o per nascondersi. Ogni oggetto del mondo è colto dalla visione come coesistente.
Vedere un oggetto (Wesenschau) non significa vederlo da nessun luogo, ma vederlo da tutti i luoghi. Quanto detto per la prospettiva spaziale è valido anche per la prospettiva temporale. Vedere un oggetto significa assistervi da tutti i tempi. In questo caso i momenti della struttura dell'orizzonte si chiamano ritenzione e protensione.
Vedere significa entrare in universo di esseri che si mostrano e con la nozione di universo, come totalità compiuta ed esplicita, in cui i rapporti sono di determinazione reciproca. La nozione di universo eccede quella di mondo, cioè una molteplicità aperta e indefinita in cui i rapporti sono di implicazione reciproca. Io abbandono l'esperienza e passo all'idea. Come l'oggetto l'idea pretende di essere la medesima per tutti, valida per tutti i tempi e tutti i luoghi.

I. Il corpo come oggetto e la fisiologia meccanicista

La definizione di corpo (Körper) nella fisiologia meccanicistica è la stessa di tutti gli oggetti, partes extra partes: le relazioni interiori si separano dalle esteriori e la comunicazione agirebbe per via meccanica, ossia in una forma puramente causale.
Le lesioni dei centri e dei conduttori non si manifestano nella perdita di certe qualità sensibili, ma con una perdita di differenziazione da parte della funzione. Ciò che succede nel progredire della lesione è la più incerta differenziazione e l'aumento della cronassia (tempo di reazione). L'organizzazione del senso (la qualità) dipende meno per lo strumento materiale di cui si serve che dall'organizzazione spontanea dello stimolo. Dunque non ci sarebbero centri gnosici dell'interpretazione delle qualità. Un eccitamento non è percepito quando raggiunge un organo sensoriale che non è "accordato" con esso.

Anosognosia e arto fantasma

L'anosognosia e l'arto fantasma offrono l'opportunità per mostrare l'ambiguità del corpo proprio. Le scienze propongono una "teoria periferica" e una "teoria centrale". La prima è di tipo fisiologico e spiega la quasi-presenza dell'arto fantasma – che esperisco ma che non c'è oggettivamente – con l'afferenza nervosa del moncherino, di fatto all'ablazione dei nervi l'arto fantasma sparirebbe, ma l'anestesia con la cocaina non lo sopprime. Ciò non è così lineare con l'anosognosia, per cui un paralizzato nega l'arto paralizzato e spiega che al posto dell'arto c'è un "serpente lungo e freddo".
Una teoria fisiologica interpreta questi fenomeni come la semplice presenza e persistenza delle stimolazioni enterocettive. Una teoria psicologica interpreta come il ricordo, il giudizio positivo, il giudizio positivo l'arto fantasma, mentre l'anosognosia una dimenticanza, un giudizio negativo o una impercezione. In entrambi i casi non usciamo dalle categorie del mondo oggetivo ove non c'è una via di mezzo tra presenza e assenza. Eppure l'anosognosico può distogliersi dalla deficienza perché, come un nevrotico, sa dove trovarla. Ne ha un sapere precosciente. Però occorre una strana miscela di fatti fisiologici in sé e fatti psicologici per sé che contraddice l'ideale separazione tra res cogitans e res extensa, servirebbe una teoria mista.
La "rimozione organica" anzitutto si rifarebbe ad un "pensiero organico" che è per sua natura inconciliabile con il cartesianesimo. Di fatto in entrambi i casi c'è un rifiuto che non appartiene all'ordine dell'"io penso che...", dell'ordine tetico, ma appartiene ad una veduta preoggettiva, che è l'essere al mondo. La volontà di avere un corpo sano e non un corpo malato non sono formulati di per se stessi, sono nello sfondo dell'essere al mondo. Come per i "fenomeni di sostituzione" degli insetti, per cui l'arto danneggiato viene sostituito senza una precisa volontà e senza un dispositivo di soccorso, anche per l'anosognosia e l'arto fantasma il rifiuto della menomazione avviene per l'opera di un Io impegnato in un certo mondo fisico che continua a protendersi in un certo mondo nonostante le deficienze. In questo modo non le riconosce de jure.

Struttura del tempo del corpo proprio

Questa ambiguità porta in luce un doppio corpo: un corpo abituale e un corpo attuale. Nel primo figurano i gesti che sono scomparsi nel secondo. La deficienza interessa solo il contenuto della nostra esperienza e non la sua struttura: il tempo impersonale continua a fluire ma il tempo personale ne è imbrigliato. L'ambiguità dell'essere al mondo si manifesta con l'ambiguità del corpo e quest'ultima si comprende solo mediante il tempo.
Ogni rimozione quindi è il passaggio dalla prima persona ad una scolastica dell'esperienza, all'esistenza viene consegnata una forma tipica. La rimozione diviene quindi un fenomeno universale dell'essere al mondo come soggetti incarnati. Un braccio fantasma è un quasi-presente, un presente che non si decide a diventare passato mentre il soggetto manda in frantumi il mondo oggettivo piuttosto che accettare il vicolo cieco esistenziale. L'arto mancante, presente come sensazione, piegato o danneggiato come prima dell'incidente partecipa nel circuito dell'esistenza piegato e danneggiato com'era. L'amputato che si alza e cade, dispone della gamba, la possiede in modo non articolato, poiché il soggetto non ha bisogno di una conoscenza esatta per mettersi in cammino.
Di fronte a situazioni tipiche si prendono decisioni tipiche. Ogni ricordo riapre il tempo perduto e ci invita a riprendere la situazione che evoca. Lo stesso oggetto legato dai fili intenzionali all'orizzonte passato vissuto lo ritroveremo immergendoci in tali orizzonti riaprendo il tempo.
Il riflesso non risulta dagli stimoli oggettivi ma si volge verso di essi, li investe di un senso che non hanno assuto a uno a uno come agenti fisici, ma che hanno solo in quanto situazione. Il riflesso (come aprirsi al senso della situazione) e la percezione (in quanto ponente preliminarmente un oggetto di conoscenza ed è una intenzione del nostro essere totale) sono modalità di una veduta preoggettiva.
Un essere umano non ha solo un mondo circostante (Umwelt), ma ha anche un mondo (Welt). Darsi un corpo abituale è una necessità per l'esistenza integrata e l'in sé del fisiologo e il per sé dello psicologo si uniscono qualora entrambi siano orientati verso un mondo.

II. L'esperienza del corpo e la psicologia classica

La psicologia ha sempre dato caratteri al corpo che non appartengono all'oggetto. In primis il corpo è il sempre-presente, l'oggetto non lo è. Il corpo non mi abbandona e non può essere allontanato. È di una permanenza assoluta in relazione alla permanenza relativa degli oggetti.
Al contempo il corpo proprio è il "non completamente costituito", proprio perché è grazie a ciò che ci possono essere gli oggetti. La psicologia classica avrebbe già potuto considerare il corpo come orizzonte latente della nostra esperienza, continuamente presente prima di ogni pensiero determinante. La presentazione prospettica non è comprensibile se non per mezzo della resistenza del mio corpo alla variazione prospettica.
Il mio corpo è riconoscibile per via delle "sensazioni doppie", le due mani sono l'una nei confronti dell'altra taccate e toccanti.
Il corpo è un oggetto affettivo: quando dico che un piede mi fa male, questo dolore non fa capo ad un "io penso che..." ma il mio piede è una voluminosità primitiva del dolore, uno spazio dolorante.
La "sensazione cinestesica", usata nel gergo degli psicologi, è un concetto espresso male: ciò a cui si riferiscono è l'originalità dei movimenti che io eseguo con il corpo. Questi movimenti anticipano la situazione finale, vi è un germe di movimento che anticipa un percorso oggettivo. I rapporti tra la mia decisione e il mio corpo sono rapporti magici. Muovo il mio corpo, non lo trovo da qualche parte e lo porto da qualche altra.
Le azioni che svolgo abitualmente, nelle quali mi impegno con l'abitudine, partecipano alla struttura origninale del corpo proprio, che é una abitudine primordiale.
Nonostante tutto questo il corpo e la sua esperienza si degradava a "rappresentazione" del corpo, non era un fenomeno ma un fatto psichico.

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