Cerca nel blog

lunedì 22 dicembre 2014

Antropologia sociale: influenza del cambio tonale in musica

1-2. Introduzione – Suoni che "parlano"
La musica fa da sfondo in modo sempre più diffuso alla vita quotidiana. La musica può essere considerata un linguaggio in grado di suscitare stati emotivi. Il significato affettivo della musica non è stabile, può mutare culturalmente, non è unitario ma è personale, può cambiare nella stessa persona a seconda del contesto.

3. Da dove viene il senso?
La musica è composta da suoni e da regole culturali. I primi – categorizzabili per altezza, intensità, timbro, ecc. - sono inopinabili, mentre le seconde sono relative a gruppi che hanno una memoria di come comporre ed ascoltare la musica. Gli accordi, ad esempio, non possono essere solamente considerati in base alla fisica del suono o dal rapporto formale dei suoni che li compongono. Possiamo dunque parlare di un pensiero musicale che non è direttamente verbalizzabile e che ha come elementi in relazione l'affettività e il suono.

4. Comprensione tonale
L'ordine con cui viene composta la maggior parte della musica è quello tonale, esiste perciò anche un ordine atonale che musicisti e non reputano più freddo, profondo, dissonante e pesante. Per tonalità si intende un insieme di suoni in relazione tra loro in modo che venga a formarsi un centro di gravitazione armonica e melodica sul primo grado di una scala detta tonica. Le proprietà tonali non sono nel suono, ma tra i suoni. Tanto che è possibile riconoscere la stessa melodia anche se trasposta di tono. L'orecchio relativo implica la capacità dell'ascoltatore di riconoscere i particolari rapporti che si instaurano tra le note. L'orecchio assoluto invece permette di riconoscere ogni nota anche se non inserita in nessun contesto.
In questo contesto, cioè quello della significazione e della comprensione, c'è chi dice che il significato è solo nei rapporti e chi, al contrario, suppone una significatività del suono in quanto tale.

Sociologia: la colonna sonora e il significato in musica

1. Premessa
L'impegno dell'Ottocento nella riproduzione della realtà parte dallo studio movimento, mentre solo nel secolo successivo, dopo che Edison inventa il fonografo nel 1877, la scienza si interroga sul problema del suono. L'immagine filmica parla solo dal 1928, ma anche quando il cinema era muto il cinema ha sempre mostrato la necessità di un accompagnamento sonoro. Nel 1916 lo piscologo Hugo Münstenberg suggerisce che l'impegno unilaterale dei sensi – nel caso del cinema sarebbe solo la vista – produce una intollerabile tensione. La musica non racconta la trama nè pernderebbe il posto delle immagini, ma semplicemente rafforzerebbe il contesto emotivo.

2. La musica nel cinema
Alla fine del XIX secolo il cinema è già un medium e non più una curiosità tecnologica. Le prime esigenze di un affiancamento musicale ponderato, perché un pianista era giò presente in sala con il proprio repertorio, sono di Winkler nel 1912. Il cinema muto conosce una svolta con partiture originali per le pellicole e ben presto non si potè più pensare alla cinematografia solamente visiva. La psicologia della Gestalt nel frattempo concepisce la percezione come un sistema formale con regole proprie; secondo l'approccio, la vista e l'udito giungono a rappresentare anche in sinergia un unico oggetto percettivo.
Il cinema hollywoodiano perfeziona le teorie e le tecniche per registrare e sincronizzare video e audio. King Kong di Steiner del 1933 segna la svolta e l'industria cinematogragica degli anni 40 non potrà più fare a meno di contattare compositori provenienti da tutte le scuole musicali. Solo durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale il cinema farà sempre più a meno delle pesanti orchestre sinfoniche a vantaggio dei jazzisti.
L'industria, intorno alla seconda metù degli anni 50, capì che il pubblico ormai associava i temi musicali ai film e sfruttò l'occorrenza per creare soundtrack composte di canzoni indipendenti da poter poi vendere nel mercato del disco.
Gli anni 70 e 80 sono dominati da nuovi registi come Lucas e Spielberg che immettono nell'immaginario fantasie di evasione. Le colonne sonore cominciano ad essere composte sempre di più attraverso l'uso del sintetizzatore, a volte anche per motivi di budget. È un momento in cui artisti come Vangelis, Hans Zimmer, Wendy Carlos, nati come compositori di musica per film, acquistano autonomia nel mercato discografico. Gli anni 90 invece sono gli anni in cui gli effetti speciali fanno da padroni.
La colonna sonora, e la musica in generale, è una forma artistica che per esprimersi ha bisogno del tempo. Wagner fu l'artista classico che più di ogni altro sfruttò l'effetto della musica di condurre e di impostare lo stato emotivo, a lui si deve il leitmotiv. Il leitmotiv nel cinema non è altro che il motivo musicale dominante, lo scopo è quello di ricordare e presentare.

2.1. I livelli della musica nel film
Per lo studio della musica nei film viene proposto un modello a tre livelli: esterno, interno e mediato.
Il livello esterno (extradiegetico) è un tacito accordo della comunicazione cinematografica. Nel film si sente della musica anche dove non sarebbe possibile che ci sia. Questo livello può a sua volta essere diviso in:
- livello acritico: dove un narratore onniscente impone la sua visioni dei fatti;
- livello critico: dove ribadisce uno stesso concetto espresso in immagine.
Il livello interno (diegetico) è quello in cui la musica fa parte dell'evento narrato, come ad esempio quando un personaggio ascolta l'autoradio o un disco. Questo immette ulteriori significati simbolici.
Il livello mediato è quello in cui c'è un rapporto di causa-conseguenza tra il livello interno e/o esterno, come ad esempio quando un personaggio si appropria di una musica e la ripete in momenti del film.

2.3. La popular music di Philip Tagg
Quando si parla di popular music (pop) non si intende una forma etnica di musica espressa da una parte di un particolare gruppo o classe. Ci si riferisce piuttosto alla musica diffusa dal sistema mediatico occidentale sottoforma di comunicazione di massa. La musica ha raggiunto un livello di pervasività che non era mai stato raggiunto nel passato, anche perché i media sono ovunque. Tagg propone tre livelli di fruizione musicale:
1. subconscio/neurologico: una fruizione inconsapevole come ad esempio il sottofondo al supermercato;
2. preconscio/affettivo: quando si associa un motivo ad un evento affettivo;
3. conscio/ cognitivo: quando l'ascoltatore è impegnato nell'ascolto e categorizza ciò che ascolta musicologicamente.
Lo studioso si concentra maggiormente sul livello preconscio/affettivo in cui la musica comunica mediante "affects", stati interiori. Ad esempio il rock è così rumoroso che ci si può far sentire solo se si alza lo voce, il cantante infatti deve urlare sopra gli altri rumori. Tagg definisce "associazioni extramusicali" i legami tra immagini e musiche. Tagg propone un'analisi strutturale musematica, ove il musema è la più piccola unità dotata di senso musicale.

Sociologia: circuiti locali e il pubblico dei teatri

Il teatro ha risentito dell'avvento di nuove forme di intrattenimento come il cinema e la televisione. Il teatro esiste solo nella percezione partecipata in cui lo spettatore mette in scena la sua comprensione. La caratteristica unica del teatro è la presenza contemporanea di attore e spettatore, nell'hic et nunc, mediante il canale scenico.
Non esiste infatti spettacolo senza spettatore che lo definisca, e viceversa. Da una parte c'è la produzione dello spettacolo e dall'altra il suo consumo. La mancanza del consumo fa sì che il teatro perda il suo valore di pratica comunicazionale, per collocarsi nel piano della lettura.
Molte sono le discipline che si occupano di teatro, ma in questa analisi ci si occuperà dello spettatore, per quanto concerne l'andare e lo stare al teatro. Gli elementi moderni del teatro sono le regole del silenzio e dell'attenzione. Altri elementi, come il buio in teatro, non sono patrimonio teatrale da sempre: ogni periodo storico si caratterizza per le norme di condotta.

1. La semiotica teatrale e lo spettatore modello
L'analisi semiotica del teatro si fa risalire al Circolo linguistico di Praga. Sulla base dello strutturalismo saussuriano, Elam (1980) parla di "performance text", De Marinis (1982) di "testo spettacolare".
Kowatz propone due requisiti basilari della comunicazione teatrale:
1. compresenza fisica reale di emittente e destinatario (di norma collettivo);
2. simultaneità di produzione e comunicazione.
Gli ambiti di studio della semiotica teatrale riguardano le regolarità interne del testo spettacolare (aspetti contestuali) e i rapporti con gli altri testi della cultura (contesto spettacolare), giungendo alla studio della relazione delle condizioni di produzione e ricezione (contesto spettacolare).
Lo "spettatore modello" è l'ideale recettore del testo spettacolare e vengono rilevate le  zone entro le quali il ricevente reale potrà costruire il proprio punto di vista. Si viene così a sapere che ogni spettacolo ha un proprio spettatore modello, e si potranno così avere "spettacoli chiusi" e "spettacoli aperti".

2. L'approccio sociologico al teatro
Esistono diversi approcci:
- una sociologia che si occupa delle connessioni fra teatro e vita quotidiana intesa come rappresentazione: il theatrical frame di Goffman (1969);
- una sociologia della produzione drammatica, del theatrum mundi (Duvignaud, 1969) che si occupa di attori e compagnie, contenuti drammatici e funzioni del teatro;
- una sociologia della comunicazione teatrale (Valli, 1982; De Marinis, 1988), che ha identificato i due poli della relazione teatrale: le strategie produttive e le strategie riproduttive.
La sociologia della ricezione teatrale (Meldolesi, 1986) si è occupata delle funzioni della comunicazione teatrale: la comunicazione linguistica può essere di tipo mediatrice o di tipo formale. Il primo tipo evoca con segni analogici percezioni, rappresentazioni e azioni, il secondo tipo è fruito di per se stesso come tale.
L'indagine delle strategie ricettive di De Marinis distingue al suo interno:
1. i processi che compongono l'atto ricettivo teatrale: percezione, interpretazione, emozione, valutazione, memoria;
2. i risultati di tale atto, intesi come la comprensione che lo spettatore ha di uno spettacolo;
3. i presupposti dell'atto ricettivo, come le conoscenze generali, teatrali ed extrateatrali, degli spettatori, scopi interessi, motivazioni, spazio fisico, qualità dei rapporti con gli altri.

3. La fruizione teatrale moderna
I rappresentati del "nuovo teatro" moderno del Novecento sono Antonin Artaud, Bertold Brecht e Jerzy Grotowsky.

3.1 Lo spettatore del teatro della crudeltà di Anonin Artaud
Il teatro di Artaud è un'esperienza di vita che deve cambiare gli attori e gli spettatori. Lo spettacolo artaudiano è altamente formalizzato e metafisico. Attraverso il teatro totale cercava di raggiungere l'uomo totale. Era molto difficile nel 1926-1928 trovare uno spettatore preparato, che fosse capace di comprendere e reagire ad una rappresentazione ridicola e insignificante. La sensibilità richiesta allo spettatore doveva portarli ad accettare un'avventura magica.
Artaud parla del teatro della crudeltà dove lo spettatore è al centro e lo spettacolo lo circonda. Attraverso forze irrazionali il corpo dell'attore è capace di penetrare l'inconscio del pubblico e costringerlo a partecipare attivamente ed emotivamente, così da innescare un processo catartico nei confronti di tutto ciò che è latente e di norma espresso con violenza. Il teatro della crudeltà dovrebbe essere come la peste, avere una funzione di contagio. L'attore è l'appestato che cerca di coinvolgere la collettività colpendola e facendola gridare, facendone una comunità di malattia, in cui la malattia ha una funzione liberatrice, come la morte e la rinascita. In questo teatro lo spettatore è un attore dello spettacolo abolendo il tradizione diaframma posto nel canale scenico.

3.2 Lo spettatore del teatro epico di Bertold Brecht
Per Brecht il teatro moderno è teatro epico. La lettura teatrologica della produzione brechtiana va collocata all'interno della teoria marxista del mondo, per cui il teatro è un propugnatore dell'idea di cambiamento sociale. Lo spettatore del teatro epico è un osservatore e l'attore è il mediatore tra lo spettatore e l'evento. Lo spettacolo brechtiano è frammentato, perciò non appartiene alla tradizione aristotelico-drammatica in cui lo spettacolo contiene scene interdipendenti che portano ad un finale. Ogni frammento chiama in causa la comprensione dell'osservatore che potrà scegliere e appropriarsi del comportamento e portarlo nella quotidianità. Il teatro epico di Brecht mostra eventi da contemplare in lontananza, distanza essenziale per rendere possibile il processo di conoscenza con distacco, appunto, e in modo critico.

3.3 Lo spettatore del teatro povero di Jerzy Grotowsky
Grotowsky, nel suo scritto Per un teatro povero, denuncia la sterilità del Teatro Ricco e espone come giunge a pensare ad un Teatro Povero. L'errore è per l'autore quello di cercare ad assomigliare ad una produzione cinematografica o televisiva, può esistere un teatro senza costumi e scenografie? Senza musica e commenti? Senza effetti di luce? Senza testo? Sì, il teatro non può fare a meno solamente del rapporto tra attore e spettatore.
Lo spettatore grotowskiano non è uno spettatore qualsiasi, ma uno che nutre autentiche esigenze spirituali e che desideri autenticamente auto-analizzarsi per mezzo del confronto diretto con la rappresentazione.
Se è necessario che il teatro diventi un incontro, allora la partecipazione deve essere autentica e profonda.

Sociologia: i giovani e l'arte contemporanea

1. La sociologia dell'arte
Le società occidentali sono state testimoni di cambiamenti radicali nelle forme e nei contenuti dell'arte, domande su cosa includere o escludere dalla categoria dell'arte sorgono con tale frequenza, che tali questioni si impongono in qualsiasi analisi dell'oggetto artistico.
L'opera d'arte non diviene opera solo da qualità estetiche intrinseche, ma anche dalle condizioni esogene. Questo approccio esogeno attira su di sé l'astio degli specialisti delle arti, in quanto mette in dubbio la legittimità della loro attività.
Per quanto riguarda il campo dell'arte in particolare, l'idea per cui essa rispecchia la società secondo l'applicazione "meccanica" di forze generalmente sociali assume il nome di "teoria del rispecchiamento", tesi nei confronti della quale gli studiosi di discipline umanistiche muovo spesso l'accusa di riduzionismo ideologico, attribuendo valore negativo per l'influenza del marxismo.
La grandezza di un'opera d'arte deriva, almeno in parte, dalle mutevoli opinioni di una mutevole casta di esperti. Questa è una delle sentenze possibili della sociologia dell'arte, sociologia nata però nell'ambito degli specialisti di estetica e di storia dell'arte, animati dalla volontà di rompere nettamente con la tradizione incentrata sul binomio artisti/opere. Dall'introduzione negli studi sull'arte di un terzo termine – la "società" – si sono aperte nuove prospettive e si formò una nuova disciplina.

1.1. L'arte contemporanea
Nonostante vi siano molte caratteristiche dell'arte che possono essere fatte risalire dal Settecento ad oggi, è possibile individuare numerosi aspetti sociali considerabili in modo unitario dalla rivoluzione industriale ai giorni nostri. Fra questi aspetti si trova l'arte, la cui continuità è costituita essenzialmente dalla concezione romantica dell'arte e dell'artista.
Il Novecento fu caratterizzato da mode artistiche che hanno accelerato il cambiamento degli stili. D'ora in poi ogni artista e ogni prodotto deve rifiutare la tradizione e i modelli precedenti e presentarsi come nuovo. Van Gogh è l'iniziatore forse dell'arte moderna ed è riuscito mantenendo la propria integrità a dispetto del ridicolo e, infine, ottenendo la fama.
Se le avanguardie del Novecento si presentano come l'evoluzione della controcultura romantica, è interessante analizzarne lo sviluppo in rapporto con il pubblico. All'improvviso il rapporto tra le avanguardie e la cultura dominante cambiò, tanto che la classe borghese-capitalista iniziò a vezzeggiare ed esaltare una forma di cultura che è in realtà intenta a disprezzare, attaccare, deridere, denunciare ed insultare il capitalismo. Gli artisti d'avanguardia sono figli ribelli, ma pur sempre figli della buona borghesia.
Dagli anni 50 agli anni 70 inizia la stagione che porterà alla post-modernità dopo la chiusura dell'esperienza delle avanguardie. Le neo-avanguardie sono spoglie di contenuto ed innovano per innovare, senza direzione e senza senso. Umberto Eco dice che ogni età abbia una sua "modernità" ed un suo "postmodernismo", tanto che viene da chiedersi se la postmodernità sia la versione moderna del modernismo.
L'arte fonda quindi il suo esserci sull'auto-riflessione e il suo segreto non sta nella bellezza della sua separatezza, o nella sua separata bellezza, quanto, semmai, nella separatezza della sua cornice di comprensione. Cornice entro la quale prende forma quella che Benjamin definisce "aura". Questa non è data in sorte costituzionalmente, ma avviene piuttosto una aurizzazione, problematico momento in cui si definisce cosa è arte e cosa non lo è. Il rapporto tra opera e spettatore diventa quindi un dialogo, non una autorità di uno sull'altro.

1.2. La società post-moderna
Tratti del post-moderno, inizialmente una corrente in architettura stanca dello stile razionale nelle costruzioni, sono il soggettivismo, l'irrazionalismo, l'irresponsabilità, la concezione insieme tragica e ludica del mondo, la trasgressione delle regole, la negazione dei confini e dei limiti, il rifiuto insieme dell'etica religiosa (cristiana) e di quella capitalista, l'esaltazione dell'originalità, dell'unicità e del mutamento, il giovanilismo, la sensualità, l'erotismo. In generale la società post-moderna segnerebbe il trionfo nell'intero tessuto sociale – salvo che nei sosttosistemi di produzione e controllo sociale – dei caratteri fondamentali del romanticismo.
Altro tratto fondamentale dell'arte post-moderna è l'assoggettazione dell'artista alle tecniche televisive, e molto spesso rappresentatore di contenuti mediali, poiché nella società dello spettacolo tutte le arti diventano spettacolo. Si dà quindi una visione del mondo totalmente basata sull'apparenza, tanto che Baudrillard evidenziava la scomparsa del fruitore a favore dell'utente-consumatore.
Dal momento che la società per funzionare deve essere ben strutturata, il soggetto viene abituato a condividere norme sociali istituzionalizzate, mettendo in atto meccanismo di tipizzazione e assunzione di ruolo. L'individuo riflette in sé il modello generale organizzato e lo esprime nel processo di vita sociale. La società tende quindi all'omologazione cercando di equilibrare le forze centrifughe che provengono dall'individuo e l'arte rappresenta l'aspetto creativo della società. L'artista (post)moderno è sempre un trasgressore rispetto a modelli collettivi, cosicché l'arte corrisponde a una graduale liberazione dalla dipendenza dei canoni collettivi.

1.3. La produzione
L'artista ha subito delle modificazioni sociali nella storia. L'artista fino all'Ottocento era considerato un lavoratore manuale, al massimo un artigiano. Dall'Ottocento in poi l'artista è un genio alienato, isolato, imprevedibile, indipendente e introspettivo. Vi sono naturalmente artisti tranquillamente integrati nella società, che hanno superato il bisogno di comportarsi in modo strano e originale per attirare l'attenzione su di sé o sulla propria diversità o sul proprio dissenso.

1.4. I mediatori
Esistono numerose categorie di "mediatori": un'opera trova il posto che le compete soltanto grazie ad una complessa rete di attori, strutture a altri mediatori "invisibili" (parole, rappresentazioni, discorsi, ecc.). Le istituzioni contribuiscono a determinare se l'opera andrà sul mercato nel museo.
Il museo è una espressione ottocentesca post-rivoluzionaria che ha consegnato l'arte al pubblico, con lo scopo fondamentale di conservazione ed esposizione delle opere.
Se accettiamo di trattare l'arte come società, rete di relazioni, gli "intermediari" sostituirebbero i "mediatori",  intermediari nel senso che si fanno carico della trasformazione – o traduzione – dell'arte nella sua totalità, mentre l'arte a sua volta fa esistere i suoi mediatori.

Sociologia: il consumo dell'arte da parte dei giovani

1. Premessa
L'arte è pensabile come un processo cognitivo e conoscitivo che può far emergere alcune dimensioni del sociale e una modalitò di pratiche sociali che in un contesto totalmente organizzato non trovano più visibilità e rappresentazione. L'arte diviene il luogo di rappresentazione della vitalità creativa di una società che va oltre ogni organizzazione burocratica e amministrativa.
Quindi arte come un "fatto sociale" che ci permette di avere una "coscienza storica", allontanandoci da quel torpore che caratterizza la quotidianità. Solo per questa sua caratteristica, quella di destare la mente intorpidita dalla ripetizione del banale consegnandola allo stupore del tempo, è una risorsa offerta alla psicologia.
L'arte ha una forte carica espressiva e comunicativa. L'espressione risiede nelle qualità percettive del pattern stimolante insito nella struttura. Le qualità dinamiche di forme, colori ed eventi costituiscono un aspetto inseparabile di tutta l'esperienza visiva, queste qualità sono mezzi di comunicazione che trasmettono espressione piuttosto che esattezza e completezza. Il simbolo artistico non possiede, a differenza della lingua, simboli composti di regole che ne spieghino la combinazione, mancando di referenza si presenta con un continuum problematico.

2. L'artista e il pubblico
L'artista comunica al pubblico mediante l'opera d'arte. È direttore di un'orchestra a sua insaputa di atti creativi, in apparenza singolari, che si esprimono in tutta la struttura della società. Nell'era contemporanea si delinea un pubblico che abitualmente elabora schemi appresi dai media per fruire gli eventi culturali e, al momento di elaborare il valore di un eventi, preferisce recitare un ruolo aperto alla "diplomazia sociale" che segue le opinioni, favorevoli alla circostanza piuttosto che interagire in modo problematico con essa.

3. I mass media rafforzano o impoveriscono l'arte?
I mass media potrebbero essere potenziali alleati dell'arte, ma usano questa soprattutto per scopi commerciali. I media contribuiscono a rinnovare l'interesse per rinnovare le vendite, escludono il decorativo, non producono né oggetti né immagini stabili nel tempo – gli artisti degli anni '50 intuirono già di dover rivoluzionare il sistema linguistico dell'arte. I media guidano, orientano ad un unico significato, e fanno esistere un fuori che poi è il mondo della massa.

4. L'arte e i giovani
I giovani si trovano ad usare l'arte in modi trasgressivi: sui muri privati e pubblici, sul proprio corpo con pearcing, tatuaggi, ecc.). Nonostante la trasgressione, non esiste nulla di più omologato e indifferenziato che un giovane. Ai giovani molto frequentemente manca una conoscenza dell'arte del passato e dei motivi che hanno guidato l'arte.

Sociologia: comunicazione delle politiche culturali locali e fruizione giovanile

1. Premessa
La comunicazione culturale ha sia il fine di creare consensi nel pubblico che di diffondere la conoscenza dell'arte antica e contemporanea. La società deve farsi carico e superare il dualismo tra chi sa e chi non sa. Se c'è un fine della società della conoscenza è quello di permettere di cedere liberamente il sapere al fine di metabolizzarlo nella propria pratica quotidiana.
Per diffondere l'informazione artistica occorrono comunicazioni mirate che mettano a conoscenza della iniziative presenti nel territorio e rendere queste appetibili. Il settore artistico ha sempre guardato con diffidenza il marketing per paura di "mercificare l'arte" e di manipolare il consumatore. Ma questo perché il settore artistico ignora i principi del marketing.

2. Comunicazione e marketing sociale
È importante che la cultura sia ad appannaggio della maggioranza della popolazione e non soltanto ad una élite. Il marketing può contribuire a questo scopo e a fidelizzare le nuove generazioni nel tempo. Perché la cultura sia effettivamente libera dovrebbe essere diffusa con una comunicazione di tipo push e che incontri i gusti e gli interessi del pubblico potenziale.
Le politiche culturali tendono a promuovere una cultura massificata mediante musei a entrata gratuita e non ne fanno adeguata pubblicità limitandosi all'informazione sugli orari e le date, trascurando il valore aggiunto che l'esperienza culturale porta con sé. In Italia le istituzioni culturali sono per l'80% guidate da istituzioni statali, mentre all'estero le fondazioni private sono in percentuale maggiore.
Si evidenzia la mancanza di campagne pubblicitarie e le ricerche dimostrano che l'impatto della promozione è un fattore che fa dipendere il consumo, oltre che alla qualità delle opere esposte.

Sociologia: il ruolo dell'evento culturale

1. Introduzione
È attraverso la comunicazione (messa in comunione) che l'uomo ogni giorno costruisce e ricostruisce il mondo sociale. Le iniziative comunicative sono conosciute con il nome di eventi, o, più precisamente, eventi culturali.
Un evento culturale si propone come un momento intorno al quale gravita la produzione dei significati che il tema dell'evento veicola. La partecipazione ad un evento si presenta come un momento di aggregazione e perciò di socializzazione, ossia un momento di costruzione di conoscenza.
Un evento culturale si presenta come medium, ossia si pone-tra, congiunge, tra attori sociali ad altri, tra attori sociali e realtà. In questo modo l'evento veicola altre forme del reale in quanto le rende accessibili all'esperienza e allo stesso tempo vincola l'esperienza in un certo modo.
Parlare dell'ambiente sociale contemporaneo, specie quello delle metropoli, ed evento culturale significa parlare della ricerca d'identità di soggetti-attori guidati da interessi, dopo al crollo dei sistemi di riferimento forti. Interesse invece di stratificazione. Quest'ultima è assimilabile culturalmente allo stampo sociale durkheimiano, ovverosia una ripetizione di esperienze culturali formanti il soggetto che soggiorna in un determinato strato sociale. L'interesse, invece, è "una provincia di significato" che guida il muoversi dell'attore nel mondo.
Nella nostra cultura il consumo rappresenta il principale strumento di investimento esistenziale e la proposta di prodotti culturali diviene un servizio che porta con sé numerosi consumatori. Il prodotto culturale è lo strumento per raggiungere un benessere all'interno del sistema. In questo nostro sistema l'evento culturale è la risposta al bisogno di identità che porta alla condivisione di rituali collettivi e al senso di appartenenza ad una tribù sociale.

2. Questione di senso/i?
Il senso riduce l'infinita complessità del reale. Questa riduzione fa sì che la persona non venga immobilizzata, ma sia un attore di attuare e realizzare un progetto di vita. L'Evento è il luogo di rielaborazione di un apparato simbolico per la (ri)produzione di significati e senso per la mediazione del presente. Il senso di "senso" qui è definito come la base dell'intenzionalità della coscienza e produzione di significati.
Habermas (1986) percepisce l'agire dotato di senso come un'interazione linguistica e quindi dotata di razionalità comunicativa. Si può quindi considerare il senso come ogni forma determinata di definizione del reale che rende possibili comprensione e interpretazione della società.
La coscienza elabora le sue conoscenze ed esperienze andando a formare un proprio sistema di significati: quando la differenza tra particolari sistemi di significato è accettata si può affermare esista una relazione sociale.
La storicità del comprendere (Heidegger, 1959; Gadamer, 1989), ossia il considerare la mediazione nel presente dei significati comunicati come atto produttivo in cui la distanza tra autore e interprete non è un abisso da superare, ma una risorsa del comprendere da cui nascono insospettate connessioni di significato: gli orizzonti di senso si risolvono in una fusione di orizzonti. "Comprendere un pensiero significa comprenderlo come risposta a una domanda" (Gadamer, 1989), e nel dialogo le persone coinvolte fondono continuamente i propri orizzonti di comprensione.
Tra il domandare e il comprendere si apre la possibilità del senso, dando via ad un processo infinito di connessioni significative che altro non sono il continuo operare dell'uomo sulla realtà – e della realtà sull'uomo – da cui questa prende forma.

3. Localizzazione della fruizione
Giorgio Braga propone di individuare la posizione del fenomeno evento culturale all'interno del sistema delle comunicazioni. Si colloca tra il primo (interpersonale) e il secondo (culturale) livello comunicativo.
Secondo lo schema di Braga, la funzione di questa comunicazione è principalmente di "mediazione all'azione", ma anche di "consumo simbolico".
L'artista, come figura storica, fa parte del pubblico con il quale condivide, elabora e utilizza gli stessi processi simbolici, ma si pone al di sopra del pubblico quando mette in atto la sua capacità poietica. Tale messa in atto è spinta dall'esigenza di rendere visibile, di dare forma ai simboli condivisi socialmente.

Sociologia: perché le politiche culturali?

1. Le arti consistono in un sistema di relazioni che si realizzano tra uomini. Tra livelli espressivi e conoscenza; tra tecniche e forme; tra opere e modi di operare. Gli artisti crano nuove simbologie e nuovi mondi nei quali però la nostra immaginazione non abita ancora perché le forme, incarnando il sentire umano, precedono le interpretazione simboliche.
Se noi conoscessimo già tale sistema esso sarebbe incomunicabile: ciò che ci aspettiamo da un artista è che partecipi ad una esperienza, che ne rimanga coinvolto, e non solo che crei oggetti da museo.
La presenza del fruitore fa rientrare l'arte in un sistema comunicativo in cui esiste una precomprensione, un mondo sociale comune. Tuttavia il consumo individuale dell'arte anche se soggettivo può essere oggettivato mediante gli universali dell'affettività. L'opera d'arte ha sempre un intento sociale e quindi un suo pubblico. Infatti l'arte non serve per accompagnare la quotidianità, ma per interromperla: la struttura è il raggiungimento che deve essere continuamente riaffermato attraverso i processi di regolarizzazione. Oggi la situazione della sociologia dell'arte è confusa in quanto si assiste alla polverizzazione della cultura e perciò anche dell'arte.

2. Gli assessorati alla cultura si pre-occupano del cittadino cercando di inserirlo in un circuito internazionale di offerta culturale che si aggiunge alla pubblicizzazione delle proprie bellezze naturali e artistiche per sostenere il mercato del turismo.
Se fino a pochi anni fa la scelta di consumo artistico era determinata dalla cultura soggettiva (scolarizzazione, ceto, ecc.), oggi il marketing culturale ha escogitato dei "pacchetti" predeterminati in base alla nicchia. Questo tipo di offerta culturale è molto vicina a quella abituale della televisione.
Solo assoggettandosi alla società che la realizza, l'arte ha potuto diventare un "fatto sociale" ottenendo la legittimazione degli esponenti di una fascia culturale predominante sulle altre che controlla la conformità delle nuove creazioni rispetto ai modelli esistenti.
Ogni società e ogni epoca storica ha ed ha avuto una o più istituzioni, organizzazioni umane specifiche, che si sono incaricate di diffondere la cultura. I prodotti culturali non possono essere compresi separatamente dai contesti in cui vengono realizzati e consumati.
La situazione attuale, determinata da reti allargate e informatizzate, è soggetta a continui cambiamenti che sostengono l'azione del mercato. Si assiste perciò ad una frammentazione di tutti i settori della produzione di beni culturali e non. Anche l'arte e i suoi prodotti hanno dovuto adattarsi, tanto che la produzione artistica ha mutato la sua caratteristica di individualità in quella semi-collettiva di utenza. L'utente è tra il consumatore e il cliente: l'utente è in parte definito economicamente e in parte legato alla tecnologia.
Se la soggettività è il principio della modernità da cui il moderno trae la coscienza della propria libertà, allora la contemporaneità è caratterizzata dalla molteplicità dei punti di vista e perciò dalla multiculturalità, perciò dei sistemi di riferimento. Ma allo stesso tempo lo soggettività è costitutiva di una stessa cultura e di uno stesso sistema di rifermento.
La novità rispetto alla percezione tradizionale è rappresentata dal fatto che la tecnologia ha immaerso di arte la vita quotidiana, tanto che è difficile distanziarsi dall'esperienza estetica.
Nelle società si dà per scontato una consistente omogeneità culturale, ma l'analisi sociologica è stata molto spesso dominata dalla coscienza di non corrispondenza tra sistema e attore. Corrispondenza che senza la quale il cambiamento sociale, tema centrale della sociologia, diventa incomprensibile.

4. La partecipazione ad un evento culturale non è mai passiva, perché chi partecipa contribuisce attivamente a costruire ciò che vede. Affrontare il circuito comunicativo a partire dalla comprensione, quale processo selettivo di riduzione di incertezza, significa declinare l'idea di ricezione che connota la comunicazione, a livello di sistema vivente, come cognizione.
I contesti di fruizione non possono essere separati dai contesti di produzione culturale, tanto che lo stato sociale dell'artista e i suoi comportamenti sono determinati da quello che la società pensa debba essere.
Secondo Crane (1997) esistono quattro tipi di sostegno per le arti: patronato, mercanti, organizzazioni e agenzie governative. Il primo era il più frequente nel passato, l'ultimo nella contemporaneità. Ognuno di essi ha una idea di pubblico e di arte.

Analisi della conversazione: conversazioni speciali

Le istituzioni nel parlato

Uno degli scopi della ricerca in AC non è solo quello di analizzare l'istituzione del parlato, ma anche il ruolo delle istituzioni nel parlato. La spiegazione del comportamento comunicativo tra le persone in interazione tra loro non viene fatta risalire a variabili esogene, esterne alla situazione. L'attenzione dell'analista cade anche nel caso delle organizzazioni formali sull'incontro tra le persone, dove vigono forme speciali di regolazione all'accesso reciproco proprie dell'ordine dell'interazione e della comunicazione.
L'esempio della cerimonia religiosa, considerata la forma meno spontanea di conversazione, è considerato non dal punto del credere o meno a qualcosa, è considerata dal fatto che occorre fare qualcosa pubblicamente prescritto per la situazione. Non solo viene prestabilito il "quando", ma anche il "cosa".
A questo scopo possiamo immaginare la conversazione come un continuum, ove ad un estremo troviamo la conversazione informale e all'estremo opposto la cerimonia religiosa. Tra i due estremi esistono forme più o meno preallocate di conversazione, che mantengono elementi preallocati e allocazioni locali (es. riunione di lavoro, dibattito).

La definizione interazionale dell'identità dei partecipanti per gli scopi istituzionali dell'incontro

Nel caso dell'interazione medico-pazione, Parsons, il padre dell'interazionismo simbolico, definisce astrattamente le aspettative normative di ruolo legate alla malattia. L'AC studia invece in che modo concretamente vengono alla luce nella conversazione le identità di "medico" e "paziente".
Domandando in un modo e rispondendo in un altro, le persone in interazione si trovano "costituire" il frame interpretativo istituzionale di "medico" e "paziente".
Nella vita quotidiana e nella conversazione faccia a faccia, è la divisa a orientare il comportamento conversazionale. Ma cosa succede al telefono? Le trascrizioni riportano che la routine di apertura dura solamente un coppia e qui vengono definite le identità.

Determinare chi parla: l'organizzazione speciale della presa del turno

Tornando la continuum, nel polo centrale avvengono conversazioni che non hanno una rigida preallocazione, ma una "orchestrazione". In questo caso solo un partecipante, o un party, ha il diritto di determinare quando, cosa e quanto gli altri partecipanti possono parlare e ricevere attenzione. Un incontro di tal genere è meno legato a regole procedurali esplicite.
L'interazione in classe è un caso di conversazione istituzionale orchestrata in cui è l'insegnate a dirigere l'orchestra della conversazione. Si parla se selezionati e in caso di autoselezione vige la regola dell'alzata di mano per avere diritto di parola, occorre essere cioè autorizzati. Raramente gli studenti possono interpellare un altro studente. Se l'ordine viene infranto, l'insegnante ha alcuni strumenti di riparazione. L'alzata di mano, ad esempio, è un meccanismo preventivo. Se il fatto è già accaduto – gli studenti parlano non autorizzati e contemporaneamente – può invocare il rispetto alle regole esclamando "un momento!", "uno alla volta!".

Gli effetti del sistema speciale della presa del turno nell'interazione istituzionale: quanto può parlare una persona?

L'esempio dell'intervista giornalistica, una conversazione orchestrata dal giornalista, è un particolare caso in cui i turni sono composti di più unità costitutive. Il giornalista spesso costruisce una narrazione che fa da frame contestuale alla domanda che seguirà. Durante questo turno l'ascoltatore, l'intervistato, evita di intervenire e al massimo emette dei continuer nei punti di possibile completamento.
Una volta presa la parola, l'intervistato può rispondere e se la risposta è troppo breve, il giornalista può evitare di rispondere dimostrandosi in attesa di una risposta più elaborata. Questo non intervenire è lo strumento, è un preciso segnale, con cui regolare il quanto della conversazione.
Al versante opposto si trova l'interruzione, ossia un atto unidirezionale di negazione del diritto di parola per cui chi sta parlando deve smettere di parlare. La drammaticità dell'interruzione può essere rimediata smettendo di parlare e ripristinando il diritto del turno al parlante sospeso. Il medico usa spesso l'interruzione per gestire la conversazione, sia dal punto tematico che da quello organizzativo.

Domande e risposte: l'organizzazione della forma della partecipazione

Dunque nelle conversazioni speciali vi è un meccanismo speciale di presa del turno, in cui un parlante ha il diritto di selezionare e interrompere. Vi è anche un ordine prestabilito del tipo di turni. Molto spesso queste sono coppie di domanda e risposta.
La conversazione medico-paziente offre l'opportunità di notare come il medico, in posizione superordinata, può decide quali domande del paziente sono rilevanti e quali non lo sono esercitando il privilegio di non rispondere. Le domande dei pazienti spesso si trovano dopo la domanda del medico e sono una forma di repair nel caso in cui il paziente non abbia capito la domanda del medico (contenente spesso tecnicismi specialistici). L'altra occasione la dà il medico stesso sollecitando il paziente con "ci sono domande?", "tutto chiaro?". Se il paziente decide di domandare qualcosa spesso introduce una richiesta "vorrei chiederle..." o lo fa con forme deboli "mi pare...", "forse...", ecc. Quando un paziente fa domande al medico spontaneamente, si nota come la voce e l'organizzazione dell'eloquio rappresentino segni di ansia e di timidezza (difficoltà di pronuncia, ripetizioni, pause, ecc.). Si può desumere che la caratteristica stessa del setting medico, indipendentemente dalle caratteristiche psicologiche del paziente, sia intimiditoria.

L'organizzazione delle sequenze I: dalla "coppia" alla "tripletta"

Quando nella conversazione i parlanti commentano la risposta ricevuta non inizia una nuova coppia, bensì siamo in presenza di una tripletta. Turni di questo tipo in genere sono tipici in cui c'è una assimetria, ossia solo un partecipante della conversazione ha il diritto di commentare la risposta data nel secondo turno. Assolutamente tipica nella conversazione tra insegnante e allievo, tanto che se l'insegnante sta in silenzio questo silenzio non è neutro, ma è un commento sulla risposta. Gli studenti sentono che manca qualcosa e sanno di aver sbagliato a rispondere o che la risposta è incompleta. La valutazione costituisce un vero e proprio frame che inquadra tutte le attività in classe. La pervasività dell'ombra giudicante dell'insegnante fa sì che se non viene utilizzato il "terzo turno di valutazione" lo studente prolunga il suo turno.

L'organizzazione delle sequenze II: la "coppia" di "coppie"

Esistono alcune situazioni istituzionali in cui il terzo turno contiene elementi del secondo turno riformulati e un quarto di conferma di avvenuta interpretazione. Questo schema è utile in quelle interazione ove è necessaria la puntualità e che i partecipanti comprendano perfettamente il contenuto della risposta. Nelle comunicazioni operative è spesso presente questa forma laddove corrisponde ad una sequenza di operazioni pratiche.
A c'è da portare il sangue mi pare
B il sangue c'è già, è a posto
A è a posto?
B sì e a posto

Le formulazioni

Il terzo turno può essere occupato da riformulazioni del secondo turno ufficialmente considerate corrette e definitive. Dal punto linguistico questo è un tipico atto metacomunicativo.
L'uso della formulazione è frequente nelle comunicazioni istituzionali in cui è opportuno usare un certo tipo di lingua e nel dialogo terapeutico dove è necessario rendere chiaro il senso e la direzione di un'osservazione vaga da parte del terapista. Nelle trasmissioni televisive o radiofoniche il presentatore o lo speaker fa uso della formulazione per ricostruire un racconto tendenzioso, spesso in funzione polemica. È presente nelle negoziazioni per fare il punto sullo stato degli accordi e delle concessioni.
Può essere presentata come dichiarazione o interrogazione.

L'organizzazione complessiva dell'incontro

Nelle conversazioni spontanee non c'è una struttura tipica riconoscibile e ricorsiva, al contrario nelle interazioni istituzionali l'incontro può essere descritto in modo più specifico. Non solo l'apertura e la chiusura sono tipici, ma anche il corpo centrale. Nelle chiamate d'emergenza del 118 è emerso:
1. apertura e identificazione
2. richiesta di intervento
3. serie di interrogazioni da parte dell'operatore
4. risposta alla richiesta di emergenza
5. chiusura

Si nota come le conversazioni istituzionali siano riposizionamenti di elementi della conversazione canonica.
Anche il dialogo con il medico di famiglia può essere prevedibile. Subito dopo l'apertura avviene l'esposizione del problema. Segue l'intervista del medico e l'ispezione fisica. Segue la diagnosi e la prescrizione di una cura. Alla fine medico e paziente si salutano e si ha la chiusura.

Conclusioni

La rinuncia all'asimmetria nella conversazione non rende la comunicazione più democratica, ma solo più confusa. Emerge che l'asimmetria è costruita dalla cooperazione delle parti. Senza cercare variabili esogene l'AC mette in evidenza come sia la pratica del parlare a produrre e riprodurre localmente le strutture sociali senza determinazioni esterne. Dunque secondo l'approccio sfata l'idea di una struttura sociale imposta dall'esterno, dimostra come sia la realizzazione pratica dei membri della società ottenuta attreverso le pratiche interattive.

Analisi della conversazione: aperture e chiusure

Raccontare una storia

La narrazione è un caso particolare delle sequenze estere o espanse e offre un esempio di coerenza discorsiva che attraversa più di due o tre turni adiacenti. Una narrazione in una conversazione è una produzione interazionale che richiede la collaborazione delle parti per essere dispiegato. Quindi, in primo luogo, la narrazione ha una collocazione sequenziale: le storie sono articolate rispetto a ciò che le precede, che entra poi nella storia stessa e a quello che segue. In secondo luogo la narrazione può essere analizzata in tre parti costitutive. 1. sequenza di prefazione; 2. narrazione vera e propria; 3. sequenza di risposta.
La sequenza di prefazione ha diverse funzioni. La prima è di attrarre la curiosità dell'altro e la seconda di garantire al narratore un "diritto narrativo" che permetta di avere dei turni più lunghi, ossia giunto ad un punto di rilevanza transizionale, continuerà a parlare. I riceventi della storia in genere producono segnali minimi che testimoniano l'attenzione e l'interesse come suoni vocali (uh huh), detti continuer.
Se i riceventi parlano all'interno della narrazione interrompono la stessa. Questo è il caso di problemi di comprensione, la quale deve essere incorporata perché la narrazione abbia efficacia.

Aperture

Le aperture sono un luogo interazionale denso in cui le persone devono posizionarsi nella conversazione nel giro di poche battute, il "problema del posizionamento". Specialmente al telefono le persone non hanno le risorse visive per riconoscere qualcuno e per predisporsi di conseguenza. Nel caso telefonico viene realizzata una routine che permette di verificare l'identità solo attraverso le parole e la voce che può essere definita una sequenza tipica estesa. Questa procedura si compone di 3 o 4 sequenze oltre le quali è legittimo iniziare il corpo della conversazione vera e propria.

1. La sequenza "chiamata/risposta"
Lo squillo del telefono è già il primo turno ed è la "chiamata". Quando l'interlocutore risponde con "Pronto", "Sì?", "Casa Tal dei Tali", ecc. si è conclusa la prima coppia di elementi adiacenti con due azioni normativamente collegate. La "chiamata/risposta" è soggetta a due regole: la regola di distribuzione – chi risponde parla per primo – e la regola di non-conclusione – la sequenza non è l'ultima della conversazione. Esiste una preferenza per chi risponde, cioè quella di far squillare il telefono nè troppo poco nè troppo, per evitare che l'interlocutore all'altro capo faccia commenti o domande ("Eri proprio vicino, eh?", "Pensavo non ci fosse nessuno") in modo poi da non dover fornire spiegazioni o scuse. La risposta è standardizzata e permette all'interlocutore di comprendere dalla voce e dallo stile della risposta se chi ha risposto è effettivamente chi cercava. Il rispondente mette tra parentesi le attività che stava producendo e risponde con un tono che ricorda una firma.

2. La sequenza di identificazione
Il chiamante ha a disposizione un set di possibili risposte che tutelano le identità in gioco. La telefonata può finire poco dopo senza che nessuno dei due conosca l'interlocutore nel caso fosse stato un errore di chiamata. Il chiamante può rispondere semplicemente con un saluto scelto a seconda della relazione, oppure unire al saluto il nome della persona cercata (es. "Ciao Maria"). In questo caso si offre all'interlocutore uno scampolo di voce e non si procede con l'autoidentificazione per proteggere la propria identità. Oppure il chiamante può dire "Maria?". Anche in questo caso viene a configurarsi una preferenza al riconoscimento invece che all'autoidentificazione.
Usare "Ciao Maria" o "Maria?" ha delle implicazioni conversazionali. Nel primo caso se il rispondente non è Maria, il chiamante può perdere la faccia e si può creare imbarazzo, mentre la domanda "Maria?" lascia aperta una possibilità di errore. Se il rispondente risponde "Sì?" - sottinteso "chi parla?" - allora può esserci nel terzo turno l'autoidentificazione ("ciao sono Giorgio") e nel quarto quello Schegloff chiama big hello ("Giorgio!, chi si sente!"). La sequenza potrebbe continuare se il rispondente non comprende l'identità e ponga domande o neghi di riconoscere. Il chiamante aggiunge sempre più dati alla propria idenità e sulla relazione tra i due.

3. La sequenza dei saluti
I saluti iniziali rappresentano un rituale di accesso che marcano l'avvio dell'interazione. La scelta del saluto determina il tipo di rapporto che lega gli interlocutori e produce un graduale avvicinamento tra gli interlocutori. Se due persone sono in stretto contatto quotidiano la telefonata potrebbe procedere così
A chiamata
B pronto?
C ciao!
D ciao!
Quindi i saluti fungerebbero direttamente da identificazione.

4. La sequenza della "salute": "primo argomento" o "comunione fàtica"?
È comune che appena dopo la fase dell'identificazione e dei saluti avvenga la sequenza della "salute" in cui il chiamante chiede "come stai?" o "come va?" che può essere un gesto generico di riguardo nei confronti dell'interlocutore. Questo non implica che il chiamante voglia conoscere veramente lo stato di salute, allo stesso modo il rispondente dà una risposta convenzionale "bene, grazie" o simili, ossia una risposta neutrale. Sebbene una finzione gli interlocutori hanno dimostrato interesse e cortesia nei confronti dell'altro.
Possono avvenire due traiettorie in questa sequenza. Se il chiamante ha interesse veramente allo stato di salute, può ripetere la domanda nuovamente. Se il rispondente invece risponde non con la formula di rito, ma con una informazione fattuale la conversazione virerà verso una "sequenza diagnostica".

Chiusure

Il silenzio durante la conversazione può essere l'inizio della fine. La conversazione telefonica conclude con una coppia di coppie. La pre-chiusura, che segue i saluti di commiato, è il luogo in cui si decide se la conversazione continuerà o meno. Dopo "allora...", "va bene...", che seguono il silenzio, la conversazione può essere espansa tramite "a proposito..." o "un'altra cosa..." per introdurre un argomento che non avrebbe trovato una cittadinanza naturale nella conversazione finora avvenuta (unmentioned mentionable). Se ciò non avviene i parlanti si coordinano per chiudere la telefonata, tanto che è raro sentire il clic dell'altro capo telefonico.

Analisi della conversazione: l'organizzazione delle azioni nella conversazioni

L'organizzazione delle azioni avviene attraverso il legame tra le due azioni adiacenti. Al prodursi di un primo elemento, un secondo è sempre atteso ma non è univoco. La scelta generalmente ricade sulla preference, ossia una struttura convenzionale dell'interazione verbale. I complementi non preferenziali sono generalmente "marcati", ossia appaiono in strutture più articolate per giustificare la scelta attuata nel turno.

Asserzioni, valutazioni, giudizi

Quando un parlante esprime asserzioni, valutazioni o giudizi, l'interlocutore può mostrare la sua affiliazione essendo d'accordo o non essendo d'accordo. In alcune costruzioni la preference è un accordo e in altre un disaccordo. Possiamo perciò dire che esistono turni successivi in cui a) l'accordo è preferito o b) l'accordo è non-preferito.
L'accordo è ottenibile in tre modi:
1. Intensificazione
   a. usando una forma più forte (A: bello; B: magnifico),
   b. intensificando la forma precedente (A: bello; B: molto bello)
2. La stessa valutazione (A: bello; B: anche per me)
3. Valutazione più debole (A: bello; B: non male)
Se si ricorre al disaccordo quando non è preferito l'interlocutore
i. può trattenerlo e avviene una pausa;
ii. può dilazionarlo attraverso riparazioni, ripetizioni, prefazioni, ecc.
iii. può produrre una forma debole con "sì, ma...".

In caso di autovalutazione negativa del parlante è preferito un disaccordo:
I. Ripetizione parziale (A: sono vecchio; B: vecchio? Piuttosto...)
II. Negazione (A: sono vecchio; B: non sei vecchio)
III. Complimenti espliciti (A: non sono mai stato un gran giocatore...; B: ma sei un grande giocatore!)
IV. Dissociazioni (A: non sono mai stato un gran giocatore...; B: è ridicolo)
V. Ricategorizzazione (A: non sono mai stato un gran giocatore...; B: meglio!)

Mostrare accordo ad un autovalutazione negativa confermandola, rimanendo in silenzio o con semplici segni di ricezione significa criticare o biasimare.

Gli elogi e complimenti mettono in una condizione molto delicata in cui non si può essere né d'accordo (mancanza di umiltà) né in disaccordo. L'elogiato perciò può:
I. Moderare l'elogio (A: è meraviglioso!; B: non è male)
II. Un disaccordo discreto (A: molto bene!; B: insomma)
III. Spostare il referente dell'elogio
  i. attraverso una riassegnazione (A: ottimo lavoro; B: merito degli strumenti)
  ii. attraverso la restituzione (A: complimenti!; B: merito tuo)

Rispondere ad un'accusa

La preferenza in caso di accusa è quella di ribaltare l'attribuzione morale negativa. Dinieghi, difese/giustificazioni, controaccuse, sono perciò preferite, mentre ammissioni e scuse non sono preferite: le prime respingono o sfidano l'ascrizione di biasimo, mentre le seconde accettano l'imputazione.
La struttura ternaria accusa/rimprovero, difesa, rifiuto/accettazione non è solo presente nelle cosiddette conversazioni speciali, come ad esempio un tribunale, ma anche nella vita quotidiana. Il silenzio nel secondo turno viene considerato un'ammissione di colpa, mentre la preferenza è quella di interrompere l'accusa fornendo una spiegazione/giustificazione che sollevi dal biasimo. Il terzo turno è invece quello in cui l'accusatore procede rigettando la difesa e questa è l'azione preferita.

Rispondere alle richieste

Quando viene mossa una richiesta la risposta preferita è un'accettazione, mentre il rifiuto mette in difficoltà entrambi i parlanti. Nel caso di rifiuto la conversazione potrebbe configurarsi come dilazionamento.
1. Il parlante in seconda posizione precede il rifiuto con understandig checks, formule che ripetono la richiesta per un controllo della comprensione.
2. Chi vuole rifiutare può evita segnali espliciti dicendo "non ora" o "non ancora", ecc. producendo un rifiuto debole che rinvia ad un futuro non definito.
3. Si può usare un vocativo benevolo, ad esempio "caro", "cucciolo", ecc. prima di rifiutare.
4. Si può dilazionare.
5. Si può giustificarsi o chiedere scusa, ma questa è la formula più rara.
Al terzo turno, in caso di rifiuto, il richiedente può cercare di incalzare o cambiare rapidamente tema; frequente l'uso in questa posizione di "dispositivi non verbali", come alzarsi e andarsene o rivolgersi verso qualcun altro.
Esistono perciò due figure nel rifiuto: tipo A) sequenzialmente dopo altre forme di rifiuto; tipo B) immediato dopo la richiesta. Il tipo A risulta incerto e dà spazio per ulteriori insistenza, mentre il tipo B, generalmente, interrompe la conversazione.
IV. L'organizzazione delle sequenze conversazionali
Quando facciamo una domanda "costringiamo" l'interlocutore ad una risposta e sembrerebbe che la conversazione sia tutta qui, ma in realtà si possono verificare nella conversazione delle sottostrutture sequenziali coerenti che possono essere più estese della coppia adiacente. La sequenza può essere espansa non solo "verso il basso", cioè verso il progredire della conversazione, ma anche "verso l'alto", ossia prima della coppia. Ad esempio se durante una telefonata ci venisse chiesto "cosa fai stasera?" possiamo sapere che avverà una richiesta di invito. Gli inviti diretti sono azioni rischiose che espongono all'azione non-preferita del rifiuto e della giustificazione, per cui tastare il terreno costituisce il precedente ad un'azione prossima a venire.
Attraverso questa procedura evitiamo di cogliere l'interlocutore alla sprovvista, che già ha avuto tempo per pensare ad una giustificazione, possiamo anche non produrre la richiesta d'invito. Questa strategia permette di salvare la relazione ed è al contempo un istituto della conversazione in quanto l'interlocutore, pur non leggendo il pensiero, sa che la conversazione sarà virata verso l'invito.

Analisi della conversazione: la presa del turno nella conversazione

La conversazione consiste nell'alternarsi nel parlare di due parti, parlano cioè uno alla volta ad eccezione delle sovrapposizioni che sono comunque fenomeni di breve durata. Durante la conversazione non esiste nessun meccanismo prestabilito che prescriva l'ordine e il contenuto dei turni, o la loro distribuzione. Non esiste un termine preciso e stabilito in anticipo dopo il quale l'altro ha diritto di parola.
Gli autori spiegano che in una conversazione:
1. il cambiamento dei parlanti si ripete almeno una volta;
2. i parlanti si alternano e parlano uno alla volta;
3. se avviene una sovrapposizione i tempi sono brevi;
4. il passaggio di turno avviene senza pause e sovrapposizioni comunemente;
5. l'ordine della successione dei turni non è stabile, ma varia;
6. la dimensione dei turni non è stabile, ma varia;
7. la lunghezza della conversazione non è data in anticipo;
8. il numero dei partecipanti non è stabilito;
9. la distribuzione dei turni non è specificata in anticipo;
10. il numero dei parlanti può variare;
11. il flusso può essere continuo o discontinuo;
12. il parlante può scegliere chi avrà il prossimo turno o il partecipante può autoselezionarsi;
13. i turni hanno una composizione che varia da una parola o intere frasi;
14. esistono meccanismi di riparazione (repair) per violazioni o errori nella presa del turno.

Le unità di base della conversazione

La conversazione dalla prospettiva dell'AC è un sistema di gestione locale dei turni (local management) gestito intenzionalmente (intentionally managed). Il turno è l'unità dell'analisi e per questo si parla di "componenti del turno" (Turn Construction Unit, TCU) per intendere il contenuto del turno. La distanza dalla sociolinguistica e dalla linguistica in generale, sta nel fatto che un turno può essere composto da forme grammaticalmente non complete e ciò non è indice di un errore di forma in quanto la completezza è decisa dagli interlocutori. Il turno perciò è una realizzazione contingente di quello che fanno i parlanti mentre parlano in una conversazione. La costituzione del turno non prevede un limite del confine del turno, i partecipanti hanno il compito di riconoscerli e perciò il turno è determinato interattivamente.

Il sistema della presa del turno

Il parlante ha diritto di parlare fino al raggiungimento di un "primo possibile completamento" dell'unità del suo turno. Il luogo del possibile completamento è il luogo di rilevanza transizionale (transition-relevance place) che legittima la presa di parola dell'interlocutore.
L'allocazione avviene in due modi ordinati e ricorsivi: il parlante seleziona il parlante successivo (current speaker selects next) e questo deve parlare; il parlante successivo si autoseleziona. Se non avviene nessuna delle due possibilità allora il parlante corrente può continuare a parlare.
Se non avviene nessuna delle possibilità si ha un "silenzio rumoroso" in cui il meccanismo della presa del turno continua ad essere operativo e non si blocca finché nessuno prende parola.

Cosa fanno le persone quando qualcosa va storto nella conversazione

Quando i partecipanti incontrano dei problemi di comprensione o di produzione hanno a disposizione un set di possibili modi per ripristinare la conversazione per quello che è il senso che si vuole trasmettere. Questo set è detto riparazione (repair) ed è una categoria più ampia di 'correzione'. La classe dei riparabili è pressoché infinita.
La maggior parte delle volte si dimostra di aver capito en passant (anche se esistono forme specifiche come "ho capito") come effetto secondario di qualche azione (come valutare, rispondere, ecc.).
 Con la nozione di riparazione è in gioco l'esistenza di un meccanismo procedurale e non di una conoscenza sostanziale che deve essere condivisa, per spiegare come arriviamo a comprenderci nell'interazione.
La riparazione può essere cominciata e finita in momenti diversi: vale a dire inizio (initiation) e completamento (outcome) possono non coincidere.
Il completamento può consistere in un cambiamento di un elemento problematico (il riparabile) o in una sua riproposizione inalterata. L'elemento è detto trouble source e può essere riparato nello stesso turno dal parlante (autoinizio di riparazione) oppure dal suo interlocutore (eteroinizio di riparazione). Nel primo caso si dice autoriparazione, nell'altro eteroriparazione.
La riparazione per avere successo può avvenire entro quattro turni (oltre diventa molto difficile) seguendo lo schema:
parlante A: posizione 1
parlante B: posizione 2
parlante A: posizione 3
parlante B: posizione 4
Nella posizione 4 l'interlocutore, se non è avvenuta nessuna autoriparazione, può dare un segnale di cambiamento di stato, ossia segnalare che il senso è diverso da quello che l'interlocutore vorrebbe dare nella conversazione. Generalmente l'interlocutore non interviene subito, ma aspetta che sia il parlante ad accorgersi. Una eterocorrezione in posizione 2 (guess as intended meaning) è generalmente effettuata in casi di asimmetria (madre-figlio, insegnante-allievo, ecc.) o tra due parlanti di cui il parlante A è uno straniero. Tra pari è eccezionalmente rara e può essere il segno di una provocazione per cominciare una sfida o litigare.


Analisi della conversazione: introduzione

Approccio teso ad analizzare l'organizzazione temporale e locale delle pratiche conversazionali teorizzato da Harvey Sacks nei primi anni Sessanta in seno all'etnometodologia. I collaboratori di Sacks sono Emanuel Schlegoff e Gail Jefferson. La conversazione è vista come una interazione sociale sui generis dal carattere emergente.
I. Principi dell'analisi della conversazione
1 Naturalismo
L'apparato analitico deve tener conto di quello che le persone effettivamente dicono. L'analisi perciò si svolge su documenti in cui sono registrate conversazioni realmente avvenute e le analizza in fluxu.

Sequenzialità

La conversazione è vista come un processo ed un fenomeno emergente di cui la temporalità è una caratteristica endogena. L'interazione è perciò fondamentalmente costituita sulla sequenzialità temporale. Ogni azione acquista senso all'interno di una sequenza interconnessa di azioni. La posizione relazionale di un elemento della conversazione influenza la percezione e l'interpretazione degli elementi precedenti e successivi, ossia stabilisce una aspettativa, crea cioè una mancanza (slot). Una volta che l'azione è apparsa recede nello sfondo e si crea una mancanza che dirige l'aspettativa della conversazione. La caratteristica prospettiva e retrospettiva di ogni elemento, ovvero la specificità della struttura sequenziale della conversazione nella temporalità, è perciò quella di creare aspettative riguardo alla conferma (o disconferma) di un elemento.
Nell'AC si ritiene questo principio sequenziale come una risorsa fondamentale della comprensione e dell'intellegibilità reciproca dei parlanti mentre parlano.

Adiacenza

Da un punto di vista spaziale, la conversazione è guidata dall'adiacenza, ossia dal fatto che le interazioni conversazionali sono vicine. L'adiacenza ha cioè un ruolo attivo nella produzione e interpretazione delle relazioni sociali, i ruoli, gli ambiti normativi di comportamento appropriato date le circostanze, il senso delle strutture sociali.
La vicinanza delle azioni nella conversazione è il luogo in cui si dimostra una "architettura dell'intersoggettività". L'adiacenza permette di comprendere a due persone impegnate in una attività significativa che la loro attività ha luogo in un quadro di intellegibilità reciproca. Il puro e semplice meccanismo dell'adiacenza delle azioni è in breve la forma base della struttura interpretativa e di attribuzione di senso al comportamento dell'altro.
Il legame tra gli elementi della sequenza viene a essere governato dall'elemento iniziale che "prefigura" la rilevanza di un limitato e prevedibile ventaglio di accadimenti. Si parla in questo caso di "implicatività sequenziale". Ad esempio le domande e le risposte, i saluti, l'offerta e l'accettazione/rifiuto, sono organizzazioni sequenziali chiamate coppie di elementi adiacenti (adjacent pair).
Le caratteristiche che identificano le coppie di elementi adiacenti sono:
1. due turni,
2. posizionamento adiacente degli enunciati che compongono i turni,
3. la presenza di parlanti diversi per ciascun enunciato,
4. l'ordine relativo delle parti,
5. la presenza di relazioni discriminanti.
Nel caso delle coppie di elementi adiacenti, è importante il concetto di rilevanza condizionale: dato l'occorrere di un primo elemento, il secondo è atteso.
Questo approccio mostra come l'intenzionalità e il significato non sono la causa dell'interazione conversazionale, ma sono il prodotto dell'interazione dei partecipanti impegnati a monitorare i turni propri e dell'interlocutore.

Il punto di vista dei partecipanti

Il compito dell'analista è quello di rendere conto della collocazione entro una sequenza dei particolari elementi lessicali, vale a dire analizzare sia la posizione che la composizione dei turni della conversazione. Ciò che interessa è "Why that now", perché una persona dice proprio quello in quel momento?
L'approccio dell'analisi è emico, ossia non è interessato all'astrazione e alla generalizzazione nomotetica, ma segue un recipient design, ossia si rivolge al come tale azione sia stata eseguita in una costruzione che avviene tra particolari attori sociali. Agli analisti non interessa come una certa azione verbale assuma un significato in un contesto, interessa la procedural consequentiality, la consequenzialità procedurale, cioè in quale modo un contesto è proceduralmente consequenziale per il parlato. In che modo il parlato è influenzato dalle costrizioni istituzionali?

Il contesto

Il contesto, per la prospettiva dell'AC, è un mondo che il parlante ha di fronte e utilizza in un punto specifico in cui si trova nella sequenza interazionale. Il contesto non determina solamente la conversazione, ma la conversazione determina il contesto in un moto circolare.

Parlare come azione

L'azione svolta attraverso il parlare non è solo la trasmissione di informazioni, ma il parlare è un'azione già in sé e l'analista è interessato non tanto al contenuto, ma al ruolo che svolge nell'interazione.
II. La presa del turno e la correzione
L'apparato dell'AC cerca di rendere conto a quattro aspetti fondamentali dell'interazione:
1. sistema di presa del turno,
2. meccanismi di riparazione,
3. organizzazione delle azioni,
4. organizzazione delle sequenze di azioni.
Questi aspetti sono intrecciati nell'analisi, ma verranno esposti separatamente.

Antropologia sociale: le controversie della decrescita

La crescita è necessaria per eliminare la povertà al Nord
Questa critica è tipica della destra e anche della sinistra, sia quella radical-chic che dimentica il popolo, che quella tradizionale che ha fatto della condizione operaia il suo fondo di magazzino.
1. Storicamente la crescita ha permesso ai Paesi occidentali di non subire una rivoluzione in chiave socialista (partiti comunisti compresi), in quanto sarebbe stato l'unico modo per strappare il proletariato dalla miseria. Oggi ci troviamo di fronte di nuovo allo stesso problema per cui la torta non può e non deve essere più ingrandita. Occorre ridistribuire le fette e decidere quanti possono accedervi.
2. La crescita del PIL degli ultimi trent'anni – i "Trenta Pietosi", come dicono gli economisti della regolazione – non ha creato né maggior occupazione né dato maggior benessere. Fatta eccezione della rivoluzione informatica, il sistema basa la propria crescita sulle proprie contraddizioni e disfunzioni (disoccupazione, inquinamento, dipendenze patologiche, dissesti ecologici, ecc.).
L'economia va bene, ma i cittadini stanno male. La globalizzazione rende tutto questo elevato all'ennesima potenza, dato che il famoso effetto trickle-down, o effetto di percolazione, si è trasformato in trickle-up, cioè l'aprirsi della forbice di Gini.
3. La logica della società della crescita è quindi doppiamente tragica. Si assisterebbe ad una crescita senza crescita, accompagnata da cortei di disoccupati e di infelici, e alla distruzione del pianeta. I critici della decrescita insistono ad applicare vecchie soluzioni non più perseguibili e accusano i decrescenti di fare aumentare le disuguaglianze e destinare alla morte una quantità maggiore di persone. È vero però, come stiamo assistendo, assecondare un sistema di crescita senza crescita condanna all'austerità in un ambiente dominato contemporaneamente da spreco e penuria.
L'86% delle risorse è in mano al 20% della popolazione, la disuguaglianza è a livelli medioevali. Il credo dello sviluppo ci rende tossicodipendenti da crescita. Ripartire equamente le ricchezze materiali non significa austerità, ma frugalità. I nostri bisogni non sono tutti bisogni materiali, per cui occorre iniziare a concepire una ricchezza diversa da quella materiale. La nostra vita può diventare tanto più ricca tanto più limitiamo i nostri bisogni.

Come risolvere con la decrescita il problema della miseria nei paesi del Sud?
L'obiezione per cui occorre aumentare il PIL per risolvere i problemi del Sud viene dagli stessi che auspicano l'aumento del magico indice per eliminare la povertà del Nord. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sono i primi propugnatori dell'effetto trickle-down, cioè quello per cui all'aumento della ricchezza del Nord corrisponde un aumento delle condizioni di vita del Sud. E sembra veramente paradossale perché il Nord basa la propria ricchezza sull'impoverimento del Sud, mediante l'estrazione e il prelevamento delle risorse e il mantenimento della popolazione nell'ignoranza e nella guerra, ecc.
1. Ha senso di parlare di decrescita del Sud, quando il Sud ha appena iniziato o non ha ancora iniziato a crescere? Più il loro PIL aumento, più viene devastata l'ecologia, gli uomini alienati, tecniche ancestrali che hanno permesso a terre di essere fertili per 4000 anni – senza l'industria chimica – dimenticate.
2. Illich scriveva che è vero che i poveri hanno più soldi, ma con il loro poco denaro possono fare di meno. La povertà si modernizza perché i prodotti industriali diventano necessari per la cittadinanza moderna e divengono inacessibili ai più. La povertà è caratterizzata dall'assenza del superfluo: la povertà moderna è l'impossibilità di procurarsi il necessario.
3. Per quanto riguarda l'Africa lo slogan "decrescita" non è pertinente, ma per questo non occorre spingere l'Africa verso una società della crescita.
E i nuovi paesi industrializzati, la Cina, il Brasile, l'India?
Realizzare la decrescita è ancora più difficile che costruire un socialismo nazionale. L'utopia dell'abbondanza frugale dovrebbe funzionare da esempio perché tutte le società lo seguano. Purtroppo abbiamo fatto di tutto perché il virus della crescita – ossia l'adottare una visione dell'economia – si propaghi nel resto del mondo e ora che il capitalismo è diventato la realtà cinese, dopo aver spinto perché succedesse, stiamo diperando. La colonizzazione dell'immaginario è stata la più grande catastrofe che l'Occidente abbia prodotto. Ogni passo verso il "sogno americano" segna un passo in più verso il tracollo ecologico imminente. Le classi dirigenti cinesi, ora che la Cina è il colosso della manifattura, è composta da 100 o 200 milioni di persone. Questi, come è facile immaginare, aspirano all'opulenza americana e come successe qui il secolo scorso, la massa non starà ad aspettare per imitarli. L'America e l'Europa, come non bastasse, sta facendo investimenti giganteschi per motorizzare la Cina. La condizione cinese è la situazione inglese del XIX secolo portata all'estremo: milioni di contadini abbandonano le campagne ogni anno per abbassare la loro qualità della vita, stipandosi in bidonville nei quartieri più inquinati delle grandi città industriali. Ogni anno sono censiti circa 2 milioni di suicidi tentati e 300 mila suicidi riusciti, di cui la metà suicidi di donne. Praticamente un cinese si suicida ogni due minuti, soprattutto nelle campagne. Il 20% della popolazione soffre di depressione e 100 milioni di cinesi rientrano nella categoria di depressi profondi. L'India è nella stessa condizione. Eppure sembra più facile riuscire ad intervenire in Oriente che è portatore di millenni di saggezza, quanto mai lontana dalla razionalità occidentale. I fondamentali del taoismo, buddhismo ed induismo sono più vicini alla decrescita di quanto lo siano i fondamentali monoteistici e la volontà di potenza occidentale.

Quale "soggetto" sarà portare e realizzatore del progetto?
Non c'è un soggetto storico-messianico portatore della decrescita. Abbiamo ereditato dal marxismo la concezione escatologica associata all'idea di un soggetto storico ripreso da Hegel. Il proletariato da classe in sé diventerebbe classe per sé per portare a termine il mandato storico del comunismo. Dopo il fallimento del socialismo concreto diversi intellettuali hanno perseguito la stessa strada: per i terzomondisti sono le "nazioni proletarie", per Marcuse gli emarginati e gli esclusi, "portatori del negativo". Per Karl Mannheim l'intellettuale senza legami; per il sociologo Ray i "creativi culturali" che abbracciano idee femministe e aborrano la globalizzazione. Oggi ci sentiamo meno messianisti e romantici. Tutta la popolazione, escluso quel 3-5% inconvertibile, dovrebbe accettare la visione di un nuovo ordine mondiale.
D'altro canto l'umanità non è mai stata così tanto frammentata, complice la globalizzazione, e variegata che è difficile parlare di "popolazione", ma di varietà etniche portatrici di una visione storica. Nel Sud America esistono delle autonomie politiche già molto vicine alla visione decrescente. Condannano la logica di mercato allargata a tutti gli aspetti della vita e il passaggio da "divenir-mondo della merce" al "divenir-merce del mondo". I neozapatisti si sono trovati rappresentati di una "comunità planetaria" di un soggetto non universale, ma pluriversale, o un diversale, ovverosia un soggetto irrimediabilmente plurale e non omologato.
La decrescita non è un paradigma, ma una matrice di possibilità che contestano il modello neoliberista e la società della crescita. Quindi non c'è un soggetto storico: chiunque può rappresentare la decrescita e realizzarla. Non è un cambiamento di paradigma, ma una necessità storica.

Il cambiamento avverrà dall'alto o dal basso?
Data la posta in gioco occorre evitare limitare i mezzi da prendere in pratica. In Europa i cambiamenti dal basso sono promettenti e la creazione di un partito che, attraverso le elezioni democratiche, promuova la decrescita rischia di cadere nella trappola della politica politicante. Nelle nostre postdemocrazie la politica ha invero poca presa sulla realtà, ne è rimasto solo l'involucro e la politica di mestiere è appunto un mestiere e non una vocazione. Sappiamo che esiste una oligarchia mondiale che svuota le politiche nazionali da ogni sostanza e impone la propria volontà. Tutti i governi, lo vogliano o meno, sono funzionari del capitale dei nuovi padroni del mondo e i politici nazionali, sfuggendo anche alla seduzione di una professione generosamente retribuita, non possono sfuggire alla trappola della politica-spettacolo.
In Sud America, l'Ecuador e la Bolivia, con la propria tradizione indigena, si sta facendo esempio per una costituzionalizzazione della natura (Pachamama)  – considerata un soggetto giuridico a tutti gli effetti – e della "buona vita" (sumak kawsay) e non della felicità.

Antropologia sociale: le controversie della decrescita

La decrescita ha un fondamento scientifico erroneo
Alcuni sostengono che la finitezza del pianeta, così come teorizzata da Nicholas Georgescu-Roegen, non sarebbe scientificamente provata. La seconda legge della termodinamica, la legge dell'entropia, varrebbe per i sistemi chiusi, mentre il pianeta Terra è un sistema aperto che riceve energia dal Sole. Lo studioso rumeno non si riferisce solamente all'energia, ma anche alla materia, come le energie fossili e le risorse minerarie. Il processo per la riformazione della materia non è così veloce, per alcune risorse il tempo può essere di milioni se non miliardi di anni, cioè incompatibili con lo sviluppo storico dell'umanità.
La crescita rimane sempre possibile, se sostenuta dalla produzione immateriale
Alcuni salvano la crescita del PIL argomentando che registra anche la produzione di servizi immateriali. Quindi sarebbe compatibile con la diminuzione, se non l'arresto, della produzione di beni materiali.
Astrattamente è vero, però nella realtà della "società dell'informazione", dell''"economia della conoscenza" e del "capitalismo cognitivo" poggia su una infrastruttura altamente costosa in termini di materia. Ad esempio, per produrre un computer occorrono 1,8 tonnellate di materiali, tra cui 240 kg di energia fossile. Il fatto è che l'economia dei servizi non sostituisce l'industria, ma la completa. Per ogni punto di PIL serve il 30% in meno di risorse, nonostante l'estrazione di materie prime sia aumentata.
Questo fenomeno è stato chiamato "effetto rimbalzo" o paradosso di Jevons. L'economista neoclassico osservò che le caldaie consumavano sempre meno carbone, ma il consumo globale di carbone continuava a crescere in seguito alla diffusione delle caldaie rese più economiche. L'effetto rimbalzo può essere definito come l'aumento del consumo legato alla riduzione dei limiti all'utilizzazione di una tecnologia, limiti che possono essere energetici, temporali, sociali, monetari, ecc. Questo nella quotidianità può essere rappresentato dal comportamento di comprare un'altra automobile dopo avere coibentato la casa, quindi risparmiato sui consumi.

La crescita del valore mercantile è compatibile con una riduzione del contenuto materiale
Questa separazione tra valore di scambio e valore d'uso, con il primo che continuerebbe ad aumentare mentre il secondo calerebbe, permetterebbe per un certo tempo la sopravvivenza di un capitalismo e di una società della crescita, ma con un razionamento drastico e penurie spaventose per i beni di prima necessità. In sostanza si entrerebbe in una società dell'opulenza per élites ristrette. In questo caso non sarebbe l'aumento di produzione immateriale a gonfiare il PIL, ma soltanto l'aumento delle rendite dovute dalle vendite di beni sempre più rari.

La decrescita implica una drastica riduzione della popolazione
Secondo alcuni la crisi è dovuta alla sovrappopolazione del pianeta. La decrescita quindi dovrebbe essere innanzi tutto demografica. Gli argomenti sono tetri e richiamano un darwinismo razionale se non vera e propria eugenetica.
1. la soluzione pigra sarebbe quella di ridurre il numero degli aventi diritto all'accesso alla biosfera. Questa logica è una delle preferite dai grandi della Terra perché non metterebbe in crisi il sistema che governano e da cui traggono tutti i loro privilegi. L'avvento dell'era termoindustriale, osservata da Malthus, ha permesso da passare dalla popolazione di 600 milioni di persone del XVIII secolo ai 7 miliardi di oggi. Le stime parlano di 9 miliardi entro il 2050. Il "sinistro pastore" però era ottimista e prevedeva una progressione aritmetica infinita delle risorse, cosa che sappiamo non può che essere una approssimazione fantasiosa per un pianeta che è finito.
Dato lo scenario, ogni individuo che non può apportare benefici alla società perché vecchio, malato, handicappato dovrebbe essere epurato. La migrazione dovrebbe essere proibita e la carcerazione solo in casi rari, verrà sostituita da punizioni corporali e dalla pena capitale.
Come sappiamo fu la lettura di Malthus ad ispirare Darwin, ma il darwinismo è solo un argomento che viene usato dai potenti per ritagliare aree di popolazione con cui non desiderano avere a che fare. Chiaramente non è questa la posizione dei decrescenti.
2. Una visione più ottimista ma sempre meccanicistica sostiene che la popolazione si è moltiplicata con coefficiente 6 e le forze produttive di centinaia di volte. Statisticamente ogni individuo odierno è centinaia di volte più ricco dei propri antenati del 1700. Questa però è solo una statistica, ma questo Malthus non lo aveva preso in considerazione.
3. Il pianeta conta 55 miliardi di ettari e non può sopportare un numero illimitato di abitanti. I sostenitori della decrescita impugnano questo argomento, ma non sono difensori del sistema. È innegabile la messa in relazione i problemi ambientali con l'esplosione demografica, tuttavia gli autori decrescenti non accusano la sovrappopolazione come i difensori della crescita industriale. L'argomento centrale nella tesi dei decrescenti è quello per cui non è la crescita della popolazione a determinare da sola il disastro ecologico. La popolazione potrebbe anche diminuire, ma se il sistema industriale vive sull'aumento infinito dei bisogni l'ambiente rimarrà sempre ostaggio del sistema.
Se tutti gli abitanti della Terra vivessero come gli australiani il pianeta sarebbe già sovrappopolato e sarebbe necessario eliminare i nove decimi della popolazione. Lo stile di vita australiano è compatibile con una popolazione mondiale di 500 milioni di abitanti. La letteratura degli anni 70 sulla decrescita (Georgescu-Roegen, Dumont) già premoniva la sovrappopolazione e metteva in programma la progressiva diminuzione della popolazione fino il livello di autosostenimento mediante l'agricoltura biologica.
Come decidere la soglia di sovrappopolazione? Dipende dallo stile di vita ovviamente. Un mondo completamente americano è compatibile con un miliardo di individui, un mondo che segue la dieta bukinabé potrebbe contare 23 miliardi di individui. Siamo seri, la produzione alimentare supera ampiamente i nostri bisogni e una quota consistente, più del 20%, viene sprecata.
In sostanza il problema della sovrappopolazione è relativo alla logica redistributiva e al tipo di stile di vita che si vuole mantenere. Se come vuole Kissinger lo stile di vita americano non è negoziabile saremo costretti ad assistere a mezzi coercitivi di riduzione della popolazione.
Gli studi dimostrano che se lo stile di vita fosse occidentale, ma modesto e basato su energie rinnovabili, sarebbero necessari 1,8 pianeti per soddisfare i consumi di 6 miliardi di abitanti. I decrescenti di formazione scientifica tendono ad approcciarsi al problema in modo meccanicistico "ecocentrico" e sottovalutando il possibile (un sistema diverso). In ogni caso dovrà quasi sicuramente esserci – non possiamo contare su rivoluzioni verdi improvvise – una politica demografica che assicuri il controllo delle nascite al fine di ridurre la popolazione.

Antropologia sociale: i malintesi della decrescita

La decrescita è il ritorno alla candela
L'accusa più semplice da fare è quella di ritorno all'età della pietra o al Medioevo, immaginariamente lontane dalla società dell'abbondanza.
Latouche risponde alla provocazione dicendo di voler tornare ancora più indietro nel tempo, alla civiltà dei bonobo. La formula dell'anarchico Goodman calza a pennello, i decrescenti sono "conservatori neolitici". Così come presentata dal libro di Shalins Stone Age Economics (1972) l'età della pietra non era così male: poche attività obbligate, quella della sussistenza, e per il resto svago e giochi.
La critica dei progressisti, improvvisamente trovatisi conservatori, è di essere i decrescenti dei soldati della retroguardia. Il punto è che non potendo più andare avanti – pena la distruzione della società e del pianeta – la retroguardia diventa la prima linea. Tornare indietro non significa tornare alla "condizione di natura" hobbesiana, piuttosto allentare la morsa dello sfruttamento delle risorse, anche umane, per ripristinare l'equilibrio tra noi e l'ambiente e soprattutto tra noi. La pena è quella di diminuire il consumo e per forza di cose la produzione e quindi smantellare l'impanto industriale per, eventualmente, ricostruirlo, ove serve, tenendo conto dell'esperienza che abbiamo maturato nel Novecento.
Metà dell'umanità, nonostante questo, vive ancora secondo i "valori contadini". Sappiamo che sono i coltivatori a preservare la biodiversità, i suoli e le acque; sono sempre loro a mantenere le tradizioni e le conoscenze, ma soprattutto a mantenere rapporti sociali diversificati.
Oppure usando una retorica spaziale, non si tratta di fare un passo indietro, ma un passo di lato per prendere una strada diversa, dove alla fine non c'è la catastrofe del ragionamento quantitativo applicato alla produzione. Questa strada non porta ad un aumento del PIL, ma ad un aumento della qualità della vita e al progressismo per ciò che riguarda la bellezza e la cultura.
Da un punto di vista filosofico, e perciò fondamentale, occorre rivedere il piano di liberazione iniziato con l'Illuminismo. La libertà dell'uomo sta nel rimettersi alla propria forza rinnegando la tradizione e la rivelazione, colonne portanti del potere dell'Ancien Règime. Sapere aude! Però ora sappiamo di essere nelle mani di un altro dio capriccioso che si manifesta nei portafogli, il mercato. L'occidente moderno è la società più eteronoma della storia, in bilico tra la dittatura razionale dei mercati finanziari e la mano invisibile dell'economia, nonché alle leggi della tecnoscienza. Questa è la razionalità del controllo totale della natura, tanto che siamo arrivati al punto di mettere in dubbio l'identità stessa dell'umano con il transumanismo e il postumanismo.
La decrescita non vuole imporre un ritorno della tradizione e della trascendenza, da questo punto di vista. Anzi, si pone a continuare l'opera iniziata dai Lumi per liberare dalle catene del regime finanziario-industriale. La legge della giungla e l'esplosione delle passioni tristi (invidia, avidità, sete di ricchezza e di potere) dovute alla frustrazione dell'eterno bisogno dovrebbero essere allentate, se non epurate, dall'idea di convivialità. La convivialità, termine che Illich prende in prestito dal grande gastronomo francese del XVIII secolo Jeam Anthelme Brillat-Savarin, intende ricucire il legame sociale lacerato dall'orrore economico. La convivialità, il cui senso è in sintonia con l'agápe della teologia cristiana, reintroduce lo spirito del dono nel commercio sociale che si ricollega perciò alla philía (amicizia) che per Aristotele è necessaria all'esistenza della pólis.

La decrescita significa il ritorno a un ordine patriarcale comunitario
Nell'ambiente francese non c'è peggior accusa che quella di comunitarsimo. I critici spesso si scagliano contro la decrescita per il male che può fare alla società facendola ritornare un ordine comunitario, patriarcale e machista. Occorre analizzare meglio i tre concetti: locale, comunità e patriarcato.
La questione del locale
Si è comunque condannati ad una certa misura riterritorializzazione. La questione sta nel modo di conceprila. Il frame per deciderne la logica può essere quello dello spazio bioproduttivo: attualmente (2009) siamo al 50% oltre al potere di rinnovamento della biosfera. Un africano consuma meno del 10% della parte spettante ad ogni statunitense. Se oggi tutti perpetrassimo il consumo francese di 5,8 ettari di spazio produttivo caduno, sevirebbero tre pianeti. Nel 1960 il consumo era di 1,8 ettari che già da solo era l'intero pianeta. Ma questo significa che i francesi consumano tre volte tanto? No, e questo vuol dire che il consumo è indiretto ed è nei kilometri che la merce compie prima di essere venduta al consumatore.
L'obiettivo "chilomentri zero" nella filiera produttiva è irrinunciabile per ridurre il consumo indiretto e per questo è necessario rilocalizzare i sistemi di produzione delocalizzati. Bisogna reinventare tutta una nuova cultura del locale introducendo il concetto di bioregione, ossia un'area di territorio con un sistema di produzione-consumo coerente con il proprio milieu biologico.
Decrescita e comunitarismo
L'argomento comunità e comunitarismo è un argomento spinoso. Le destre e la Nuova Destra hanno un loro ideale immaginario di comunità molto simile al sogno e all'utopia, per loro. Una comunità chiusa sul modello del feudo medievale, gerarchicamente organizzata intorno ad una casta di governatori-guerrieri ed intollerante verso lo straniero. L'idea di bioregione non si fonda sulla razza o sul sangue, ma sull'adesione vissuta o scelta di un luogo di vita. Per continuare il progetto dei Lumi occorre implicare una visione orizzontale dei rapporti sociali, non una gerarchia verticale. E questo è possibile solamente mettendo in discussione l'imperante individualismo, che tra l'altro produce una società eteronoma.
Bisogna essere lucidi, l'uomo singolarmente è un individuo non una comunità, però è vero contemporaneamente che l'individuo moderno è la caricatura della personalizzazione e della libertà. È individuo massificato che è esattamento l'opposto della libertà personale. Costruire un modello persona vs individuo (Emmanuel Mounier) sembra il possibile superamento della manichea distinzione individualismo vs comunitarismo.

La decrescita è machista?
Casomai come hanno argomentato Fromm e Reich sono il capitalismo, l'economia e la crescita infinita ad essere patricentrici, fallocratici e, in una parola sola machisti. Nemmeno il PIL e la crescita sono neutri in fatto di genere. Entrambi hanno bisogno di volontà di potenza e la concorrenza è un modo moderno di intendere la guerra. Scendendo sui calcoli, nel PIL vengono rendicontati tutti i lavori (anche domestici) maschili. L'uomo che coltiva le patate produce, ma non la donna che le cucina!
Contratto, determinazione, ragione, calcolo, durezza con sé e con gli altri. Questi sono gli elementi collegati alla produzione di valore economico, e questi sono tutti elementi considerati maschili. Dolcezza, comprensione, emozione, dono, gratuità, sono invece tutti i "valori" che costruiscono la decrescita. Quindi la decrescità sarà femmina o non sarà!
Decrescita uguale disoccupazione
Per tutti i moderni l'occupazione è associata alla crescita. Questo malinteso deriva in gran parte dalla difficoltà di sottrarsi dal mindset della società della crescita. Non c'è peggio al mondo che una società della crescita senza crescita, lo sappiamo benissimo, però la società della decrescita adotta altri paradigmi. Innanzi tutto occorre ridimensionare le idee lavoriste, tutti lavoreranno di meno e consumeranno di meno. Occorre perciò mettere in discussione la centralità del lavoro nella vita e quindi crollerebbe il castello produttivista dell'economia della crescita.
Di lavoro, per partire ce n'è comunque. Occorre rilocalizzare e progettare tutte le strutture di produzione in chiave ecologica e, nondimeno, instaurare i circuiti bioregionali. Solo rinunciando all'agricoltura industriale –  dannosa per il suolo, l'acqua, l'aria e noi – e applicando le regole dell'agricoltura ecologica si creerebbero in Francia oltre un milione di posti di lavoro.
La deindustrializzazione creerebbe dei presupposti per la convivialità, la personalizzazione e l'ecologia – tramite il riciclo, la riparazione, la trasformazione. Ogni comunità avrebbe la propria autonomia e originalità avendo al contempo gli strumenti per rimanere aperta sul resto del mondo.
I capisaldi della decrescita sono:
1) riduzione della produttività globale e l'abbandono della termoindustria (industria basata sul consumo di carburanti fossili non rinnovabili) rifiutando l'uso sconsiderato di attrezzature energivore;
2) rilocalizzazione delle attività e la fine dello sfruttamento del Sud del Mondo;
3) creazione di posti di lavoro a contenuto ecologico in tutti i settori;
4) cambiamento degli stili di vita sopprimendo i bisogni inutili (dimagrimento della pubblicità, del turismo, dell'industria automobilistica, dell'agrobusiness, delle biotecnologie, ecc.).
Solo l'ultimo punto prevede diminuzione di occupazione.
La decrescita è incompatibile con la democrazia
Alcuni critici considerano la decrescita incompatibile con la democrazia altri addirittura la identificano con una sorta di ecoterrorismo, ossia di una strumentalizzazione della paura per la distruzione dell'ambiente a fini politici. Molti sostengono che la decrescita sia attuabile solamente con un sistema politico totalitario, altri usano chiamare i decrescenti "khmer verdi".
La teoria della decrescita vorrebbe una democrazia vera e propria, non la sua caricatura, la postdemocrazia del sistema mediatico-politico.
La pressione delle lobby che manipolano l'informazione mediatica di massa rende impossibile la trasmissione dei valori della decrescita. La democrazia sarebbe in realtà una oligarchia. L'economia politica ha trasformato i vizi privati in virtù pubbliche, ma le cose sono sfuggite di mano. Nella mitologia greca l'eroe aveva un perimetro entro il quale poteva esercitare la sua eroicità, uscendone entrava nel castigo divini della hýbris (la dismisura) ed era punito dal destino. La società serve a questo, a frenare il desiderio di onnipotenza dell'individuo.
La via della convivialità e della sobrietà non si afferma senza dolore. Qualcuno ipotizza un dittatura benevola per affrontare la sfida ecologica e ci si chiede se saremo disposti ad accettare un ecocrazia autoritaria e un ecototalitarismo. Mentre per ragioni di principio gli intellettuali cercano di evitare fascismi di ogni sorta, l'Impero non si fa di questi problemi e potrebbe, per salvare il sistema, incoraggiare l'assurrezione di un regime imposto ad una massa puerilizzata nascosto da pseudoconsultazioni che sono in realtà propaganda.

La decrescita è compatibile con il capitalismo?
Nei dibattiti pubblici è frequente la domanda se si possa decrescere senza uscire dal capitalismo. Gli obiettori di crescita non sono sempre espliciti su questo punto, perché non basta mettere solo in discussione il capitalismo, ma l'intera società della crescita. Quindi anche il socialismo è sotto accusa, le idee di Marx hanno sempre al centro dell'ideologia il concetto di lavoro e di sviluppo industriale infinito, anche se con una organizzazione diversa. Significa depauperare l'ambiente comunque. Il fine della decrescita è la distruzione della società industriale per rompere il meccanismo produttivista e consumista. La decrescita è decrescita del capitalismo, dell'accumulazione e del saccheggio. Non si può convincere il capitalismo a decrescere come non si può chiedere ad un uomo di smettere di respirare.
L'eliminazione dei capitalisti, della moneta, della proprietà privata, del rapporto subordinato ecc. non servirebbe a cancellare l'immaginario capitalistico, anzi lo rafforzerebbe perché la società verrebbe gettata nel caos. Prima di tutto il capitalismo è una struttura di semplificazione della realtà presente nella testa delle masse e non solo.
Eliminare il capitalismo non vuol dire privare dalla realtà tutte quei modi e istituzioni che fanno parte del capitalismo. I modi e le istituzioni formano il sistema capitalismo, ma in forme diverse darebbero altri sistemi. Perciò occorre stare attenti a non buttare via bambino ed acqua sporca. La moneta è una di quelle istituzioni che assume tratti sinistri solamente in relazione ai modi con cui viene usata. Qui i teorici si dividono. È molto più semplice inizialmente riformare le istituzioni in un inquadramento che segue una logica differente. Si tratta di far riappropriare le istituzioni economiche agli utilizzatori delle stesse (compreso anche il lavoro, s'intende). L'uscita dall'economia sarebbe una Aufhebung, nel senso hegeliano di abolizione/superamento, ma questa rinuncia segna anche la fine dell'idea di una scienza economica indipendente e formalizzata.
La decrescita potrebbe essere definita anche ecosocialismo, se con "socialismo" intendiamo con Gorz "la risposta positiva alla disintegrazione dei legami sociali sotto l'effetto dei rapporti mercantili e di concorrenza, caratteristici del capitalismo".
La decrescita è di destra o di sinistra?
La decrescita non può essere che di sinistra, anzi è rilancio della sinistra. Però questo messaggio riscontra una forte resistenza. La decrescita è un progetto politico di sinistra che è una critica radicale al liberismo, è un progetto industrioclasta, è un progetto che mette in discussione il capitalismo secondo la più stretta esegesi dei testi marxisti.
1. critica radicale al liberismo, inteso come valori che stanno alla base della società dei consumi. L'utopia della decrescita può essere espressa in otto "R": rivalutare (i valori), riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire (la ricchezza), ridurre (le produzioni e i consumi), riutilizzare, riciclare.
2. critica socialista all'industria: elogio della qualità e non della quantità, rifiuto del brutto, visione poetica dell'esistenza per ridare un senso al progetto comunista.
3. critica al capitalismo: rivitalizzare il progetto marxista laddove anche Marx stesso si è tradito.

Antropologia sociale: i malintesi della decrescita

Confusione, volontaria o involontaria, tra crescita negativa e progetto della decrescita
Il partigiano della crescita risponde "Volete la decrescita, ma siamo in crisi e la decrescita c'è già!". Questo argomento può essere utilizzato da avversari quanto da simpatizzanti ma mal informati.
La parola "decresita" non sta a signifcare crescita negativa. La "crescita negativa" è una ipocrita formula del gergo economico. Essenzialmente la "crescita negativa" sarebbe il decremento dell'indice feticcio del Prodotto Interno Lordo (PIL), si tratta cioè di una recessione o di una depressione.

La decrescita è lo stato stazionario e/o la crescita zero
Già nei pensatori classici si trova una visione dello stato stazionario. John Stuart Mill (1806-1873) abbozza già lo stato stazionario redivivo nel Club di Roma come economia a crescita zero. La differenza tra stato stazionario o crescita zero e decrescita è l'approccio. Nei primi due casi è l'imperio della sovranità sul sistema economico, mentre per la decrescita è la scelta di una civiltà con un altro paradigma alternativo.
Stato stazionario, rendimenti decrescenti e società della decrescita
È veramente necessario uscire dall'economia? Gli economisti classici non avevano progettato un sistema dipendente dalla crescita, anzi pensavano che ad un certo punto sarebbe avvenuto il blocco dell'accomulazione e l'evento di uno stato stazionario. Questo vale Adam Smith, David Ricardo, Thomas Robert Malthus e John Stuar Mill. Tuttavia la loro visione dell'economia è impostata sul meccanicismo newtoniano che corrisponde interamente ad un logica della crescita.
Per Smith lo sviluppo dei capitali combinato ad un aumento della concorrenza parta ad una riduzione dei tassi di profitto fino all'arresto di qualsiasi accumulazione netta. Per Malthus e Ricardo i rendimenti decrescenti in agricoltura portano ad un aumento della rendita fondiaria e a una inevitabile riduzione del tasso di profitto, che porta a sua volta ad uno stato stazionario. I due autori vedono questa come una situazione fosca in cui la popolazione di lavoratori è condannata alla pura sopravvivenza e ogni eccedenza di popolazione è motivo di miseria e violenza.
Mill, al contrario, pur condividendo la tesi dei rendimenti decrescenti dell'industria, presenta lo stato stazionario in modo più roseo. La società, liberata dall'ossessione della crescita e del rischio – e quindi stress – che questa comporta, potrebbe dedicarsi all'educazione delle masse e darebbe più tempo libero per dedicarsi alla cultura. Lo stato stazionario – scrive Mill – non è lo stato stazionario del progresso umano, ma dell'economia capitalistica. Finita la gara per l'arricchimento industriale, l'industria non sarebbe soppiantata, ma perfezionata per quello per cui è essenziale, abbreviare il tempo di lavoro.
Come si può intuire gli obiettori di crescita sono vicini alla tesi di Mill, per cui il tempo non destinato al lavoro sarebbe speso per avere una vita più ricca. Per fare questo occorre un'etica dello stato stazionario accompagnata da istituzioni la cui guida porti a raggiungere il traguardo della "frugalità gioiosa" proposta da Illich e Gorz. La controrivoluzione neoliberista invece ha portato un sistema che non abbandona la vecchia logica della crescita, ma che sarebbe una crescita paradossale: il sistema si rigenererebbe invecchiando! Però è facile immaginare il capitalismo  come una macchina, d'altronde è stato progettato così: sarebbe una bicicletta che rimarrebbe in equilibrio solamente pedalando.
Di fatto lo stato stazionario non è compatibile con il capitalismo. Dopo l'evidenza storica dei rendimenti decrescenti, quanto meno nell'industria e su un periodo di lunga durata (2-3 secoli), ha permesso a gli economisti neoclassici di lanciare l'equivalenza tra capitale naturale e capitale artificiale. Però è assurdo pensare che l'economia possa fare a meno delle risorse naturali e possa far leva solamente sul capitale finanziario e tecnologico.

La crescita zero e la decrescita
La richiesta di un sistema che non usi più risorse di quante non se ne rigenerino e che non produca più rifiuti di quanti ne riesca a smaltirne è sostanzialmente incompatibile con l'economia mercantile capitalistica. Secondo Daly, la teoria dello sviluppo durevole, se preso come sinonimo di crescita durevole, è così pericolosa che se venisse veramente applicata segnerebbe la fine del pianeta. L'unico sviluppo durevole possibile è quello che cerca di mettere l'industria in pace con l'ecosistema, cioè uno sviluppo senza crescita.
La decrescita sarebbe contro la scienza e quindi tecnofoba
Gli obiettori di crescita non mettono in croce la scienza, ma la pretesa di onnipotenza della tenica e lo scientismo. Per un sillogismo dalle premesse non corrette (tutti gli scienziati sono portatori di sviluppo) attaccare la scienza fa accusare di oscurantismo. Gli arogmenti delle autorità tecnoscientifiche che si interessano di economia in genere sono pro domo sua: 1) non esistono evidenze scientifiche che il disastro x esista o sia dovuto a y; b) comunque la scienza soccorrerà il pianeta da tutti i problemi. Come spesso accade in questo periodo, gli stessi mezzi che hanno causato un disastro vengono usati per rimediare.
La fiducia nella scienza e l'ottimismo di questi scienziati è senza autocritica. Molto spesso fanno parte di comitati che si occupano dello studio di un problema ecologico specifico e di proporre soluzioni. E altrettanto spesso sono al soldo delle multinazionali che hanno in qualche modo diretto o indiretto provocato un dissesto ecologico o lo vogliono provocare. Nel primo caso possono sfoggiare un inquietante "negazionismo", nel secondo caso avallare una soluzione gradita ai finanziatori.
Il caso del nucleare è attualità. Le riserve di idrocarburi stanno esaurendosi e le potenze economiche emergenti (Cina, India) affacciatesi al mercato globale preterrebbero di vivere all'occidentale dopo secoli di sfruttamento. Il pianeta non può reggere ad un tale spreco ed inquinamento, ma si fanno lo stesso i conti con la richiesta elettrica che tende a crescere a tassi vertiginosi, un fattore 10 ogni 100 anni. Le proiezioni sono allucinanti: per garantire il fabbisogno umano di elettricità tra mille anni servirebbe tutta l'energia della galassia. 13000 reattori nucleari disposti su tutto il pianeta dovrebbero bastare ad accendere ora le luci in tutte le case: abbiamo uranio naturale e torio – distruggendo piane di scisto argilloso – per 32000 centrali. Per non parlare che abbiamo ad esempio i disastri nucleari occorsi nella nostra storia recente.
La folie della scienza applicata al capitalismo aggressivo non solo ha devastato il pianeta, si permette di disegnare la forma d'uomo adatta a vivere nel nuovo ecosistema degradato dalle imprese industriali. Transumanismo che venera il super uomo resistente all'inquinamento, uomini anfibi creati sinteticamente per vivere sotto l'oceano, uomini cibernetici, terraformazione di pianeti destinati ad élites spaziali e via dicendo ricordano più gli incubi che i sogni di sviluppo che ci eravamo posti.
Se vogliamo essere lucidi, la scienza vive di finanziamenti in parte provenienti dal pubblico e in parte dal privato, non è veramente autonoma quanto potrebbe sembrare. Potremmo essere ancora più lucidi affermando che il settore pubblico è in mano al privato o è stato privatizzato. Alla fine chi finanzia indica direttamente o indirettamente la direzione da prendere e rende possibile la ricerca e lo sviluppo. Le scelte private, in genere finalizzate alla ricerca dell'utile, assorbono tutte o quasi le competenze e le reti disponibili per ridurre gli ostacoli secondari che interrompono uno specifico processo di produzione del complesso industriale.
Difficilmente verrà incoraggiata a queste condizioni la "chimica verde", la medicina ambientale, l'ecotossicologia, l'agrobiologia e l'agroecologia, ma si tenterà di seguire la modificazione genetica ad ogni costo. Si tende a preferire ciò che provocherà i nuovi problemi del futuro, dove verrà di nuovo applicata la stessa logica, cioè quella dell'utile per l'utile. Non tutti i problemi lasciano però quei margini di tempo per essere presi al volo o all'ultimo, alcuni possono essere imprevedibili e portare l'intero ecosistema al collasso.