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domenica 14 dicembre 2014

Filosofia delle scienze umane: l'implesso percettivo di Jacques Paliard

Psicografia: i momenti del giudizio visivo e la loro con-implicazione

Grandezza sensibile: grandezza delle immagini che riempiono il nostro campo visivo. La grandezza sensibile è un "dato superato" e il "superamento" [dépassement] è la percezione stessa. Nessuno può vedere l'immagine visiva: percepiamo gli oggetti dell'immagine visiva.  La grandezza sensibile sarebbe una pura qualità estensiva dell'immagine visiva (che si deve ancora fare oggetto) ed è impredicabile poiché inafferrabile. Ad es. l'estensione del rosso del tetto prima che possa ancora dire "rosso" e "tetto" è la grandezza sensibile.

Grandezza reale: grandezza solamente pensata sulla scorta dei sistemi di misura convenzionali. Ad es. affermare che qualcosa è alto 2 metri o molto largo. È già un dato inferenziale "post-percettivo", confrontato e misurato, e ovviamente predicativo. L'idea della misura e della persistenza geometrica ha già guidato il percetto sulla base della constatazione della confrontabilità geometrica degli oggetti, indipendentemente della mia prospettiva.

Grandezza apparente: grandezza del giudizio percettivo in quanto tale. Ad es. Affermare che qualcosa è grande o piccolo, appunto per come ci appare. Se dovessi vedere una torre a un chilometro di distanza questa sarebbe piccola nell'ordine della grandezza apparente.

Equilibri e implicazioni fra le tre grandezze
: abbiamo a questo punto due possibili posizioni per l'oggetto: lontano e vicino. Il giudizio di grandezza apparente però non è lo stesso per il medesimo oggetto in caso di vicinanza o lontananza dell'oggetto in quanto muta il rapporto tra grandezza sensibile e grandezza reale.
La grandezza sensibile di un oggetto vicino è interpretata dalle circostanze concomitanti al fine di mantenere una persistenza della grandezza reale: un uomo non sembra più piccolo se visto da 3 metri o ad un passo; un soprammobile non mi sembra più piccolo se è ad un metro da noi o ad un centimetro. Questa "interpretazione" è la grandezza apparente8. Il visibile da vicino è reale e tangibile.
L'oggetto lontano non attiva la mia motricità, sfuggendo così dall'azione. Paliard qui chiama l'attivazione motoria "esperienza dinamica" e presiede l'"elemento attivo" della rappresentazione visiva. Se devo esprimere un giudizio su un oggetto lontano tendo a far combaciare le tre grandezze. Questo accade per un'"idea di grandezza" che guida il mio giudizio, però sono pronto ad ammettere che si tratti di apparenza nel caso di un oggetto lontano: non posso inferire distanze basate sul mio muovermi-verso e così tutto il giudizio pesa sul solo dato visivo.
Da lontano così ho così due oggetti invece che uno, l'oggetto visibile – che chiama "miniatura" – e l'oggetto reale. Questi oggetti hanno due grandezze differenti, così mi si presentano dissociate la grandezza apparente e la grandezza reale. L'autore fa un esempio di una torre [oggetto reale] che in distanza è una piccola immagine [oggetto visibile] che non può essere sonsorialmente – cioè dalla variazione della stimolazione retinica – essere considerata una torre. È l'intuizione del pensiero implicito della percezione visiva che trasforma la sensazione "presa in prestito", la sensazione da sola non basta.
L'autore a questo punto isola due momenti della percezione visiva: l'elemento intuitivo e l'elemento attivo [tattile e cinetico].

Simbolismo visivo: da lontano non cessiamo di identificare l'oggetto visibile con l'oggetto reale, per questo Paliard parla di "simbolismo". La 'coscienza percettiva' non ignora che il quadro visivo delle cose lontane è una rappresentazione in miniatura dell'universo reale. Con ciò la coscienza percettiva considera ad un tempo "stessa cosa" e "altra cosa" lo spettacolo delle cose lontane rispetto alla realtà: è e non è reale. In questo la percezione visiva simboleggia una legge fondamentale della conoscenza. La piccola immagine della torre è sia la piccola immagine [oggetto visibile] che la torre [oggetto reale].

Transimplicito e subimplicito: l'evocazione dell'esperienza dinamica nel quadro visivo, e quindi dell'elemento attivo, con la distanza decresce, non mi viene spontaneo manipolare oggetti lontani. Dunque deduciamo che ogni percetto visivo ha un "contenuto dinamico" avvolto [enveloppé] e di conseguenza le grandezze costitutive (sensibile, reale, apparente) possono essere racchiuse [enveloppés] o dischiuse [développés]. L'autore individua due modi del pensiero implicito: il pensiero transimplicito ha racchiusi entrambi i momenti della percezione. Il pensiero transimplicito, scivolando sullo sfondo, diventa subimplicito, perciò "contemplativo". Il pensiero subimplicito è composto del solo elemento intuitivo ma non smette di governare la percezione.

Giudizio di distanza: il giudizio di distanza influenza l'equilibrio tra le tre grandezze. Ciò che è giudicato vicino è in balia del pensiero transinplicito che costituisce l'oggetto visibile – e la grandezza apparente – sull'oggetto reale – e  la grandezza reale –, per garantire l'esperienza dinamica. Superata una certa distanza cessiamo di "graduare gli oggetti", così la percezione di distanza affievolisce la sua intensità man mano che scende in profondità [funzione riduttrice]. Il mezzo chilometro che c'è da qui a un chilometro, e il mezzo chilometro a due chilometri di distanza, mi sembra "meno lungo" nella seconda situazione.
Il giudizio di distanza è incarnato nella convergenza (oculare). Se proiettiamo un'immagine su uno schermo a corta distanza e manteniamo le proporzione allontanando lo schermo, la grandezza sensibile rimane la stessa (è occupata la stessa proporzione retinica) ma muta la grandezza apparente (l'oggetto lontano sembra più grande).
Paliard afferma che la distanza non è la causa ma è bensì la ragione del percepire come percepiam. La relazione tra grandezza e distanza costituisce l'ossatura della percezione.

Inferenza fondamentale di persistenza ontica in relazione alla possibilità stessa della percezione di grandezza e di distanza: prima di dire che le cose allontanandosi si rimpiccioliscono diciamo che ci sono, esistono, delle cose. L'idea di persistenza ontica precede la percezione: non supponiamo dalla nostra esperienza percettiva che le cose continuino a mutare poiché è implicito che venga mantenuta l'"identità temporale" delle stesse da tutte le prospettive [diversità sensibile]. Il nostro poterci allontanare e approssimare dalle cose, la motricità, sorregge questo postulato implicito. La distanza è distanza in virtù della persistenza ontica, altrimenti crederemmo che al nostro muoverci si modifichi l'intero universo invece crediamo che si modifichi solo la nostra percezione dell'universo [la coscienza pone una distinzione molto netta tra l'oggetto della percezione e la percezione dell'oggetto].

Idee di grandezza e distanza date dall'assunto di persistenza ontica
: la percezione della distanza a questo punto pare avere un primato nella determinazione della grandezza [apparente] basandosi sul postulato implicito di persistenza ontica. La determinazione della grandezza apparente è mediata dalla grandezza sensibile e la grandezza reale per mezzo del giudizio di distanza. Attraverso l'idea di grandezza noi crediamo che le cose siano in se stesse; attraverso l'idea di distanza pensiamo che esse sono in rapporto a noi. Se non ci fosse percezione di distanza tutto sembrerebbe un insieme di immagini di estensione indeterminata, perciò una distanza quantitativa, sebbene approssimata, trasforma l'immagine in grandezza. L'idea di distanza permette di far dipendere l'universo percettivo al nostro situs.
Il cambiamento di prospettiva e la persistenza ontica sono per la coscienza l'equivalente della realtà.
A questo punto sorge un problema: come fa la distanza a determinare la grandezza se è condizionata dallo spettacolo che essa condiziona? Come è possibile questa circolarità?
L'idea di distanza si realizza essa stessa in un genere di grandezza apparente (di distanza) che non può confondersi con quella degli altri oggetti.

Psicografie della percezione di distanza e  relativo isolamento
: Paliard elenca dei casi reali in cui possiamo estrapolare la distanza dalla grandezza e in cui emergono particolari funzioni dell'implesso percettivo. Elabora con ciò delle psicografie isolando, non solo la percezione di distanza, ma ulteriori momenti della sintesi visiva.

a) Il caso ambientale (ovvero psicografia del contrasto di grandezze in funzione alla determinazione della profondità) è il più semplice: cerchiamo di giudicare la distanza a partire dalla piccolezza di una immagine. In questo caso la percezione corrisponde alla diottrica ma non ne ha i dati quantitativi per produrre un giudizio esatto. Piuttosto avviene per confronto con altre immagini presenti nel quadro visivo. Questo confronto determina [incarna] la profondità del campo visivo che dà la possibilità di giudicare le distanze.

b) Il caso dell'oggetto isolato (ovvero psicografia dell'idea di grandezza in relazione al puro dato sensibile e ruolo della convergenza): se mi trovassi in un ambiente completamente buio e di fronte a me ci fosse una linea luminosa non potrei mai passare dalla grandezza sensibile alla grandezza apparente. Se qualcuno mi dicesse che è a un chilometro allora si realizzerebbe come "grande linea luminosa", se mi dicesse che è a qualche metro direi "piccola linea luminosa". Se la linea fosse molto vicina la convergenza risolverebbe l'ambiguità altrimenti la percezione non può risolversi se non prendendo disposizioni da elementi discorsivi.

c) Il caso della disposizione in scala reale e continua di oggetti visibili (ovvero psicografia della prospettiva e terzo momento della visione) è quello in cui mi trovo di fronte due filari di alberi tutti uguali ai lati della strada. Questo caso particolare mi mette di fronte alla profondità come una grandezza sensibile. Se fossi di fronte al mare, senza riferimenti, l'impressione sarebbe di immensità e non di profondità. La percezione in questo caso si rivela molto più complessa del solito, non ci sono grandezze isolate ma tutto l'insieme di grandezze e intervalli dati dagli alberi si fa unità. Lo spettacolo si compone di quattro piani obliqui (la terra, i due filari, il cielo) che si muovono lungo le linee di fuga. Data la regolarità, ogni paio di alberi controlaterali costituisce un piano verticale e man mano si accorciano le distanze tra il precedente e il successivo. La sguardo procede in un percorso a tappe, per prese successive e ritmiche.
Qui avviene chiaramente qualcosa di insolito, l'immaginazione trasforma ogni volume tra un piano all'altro in una configurazione dinamica che si ripete, anche nei volumi lontani. Abbiamo perciò un terzo momento che si presenta dall'associazione tra sensazioni visive e sensazioni motorie – e se è un'associazione allora stiamo parlando di memoria. Però pare che sia ancora riduttivo e insufficiente parlare di associazione e memoria perché l'immaginazione è un'attività spirituale. L'immaginazione subentra nella sintesi visiva dopo la motricità e insieme al dato visivo, al dato dinamico giunge a comporre una complessità di ordine superiore, una funzione superiore.
L'immaginazione può introdurre in scene lontane elementi delle scene vicine. Essere di fronte a tale spettacolo mette in luce una funzione riduttrice [della percezione di distanza che riduce le distanze a seconda della profondità] che stimola la funzione amplificatrice dell'immaginazione [in base alla distanza e al ripetersi delle stesse immagini omotetiche in scala ridotta]. Le distanze vengono sempre inferite dal pensiero transplicito che emerge da un pensiero più denso, la cui profondità costituisce un legame a un tempo visibile e subimplicito.

d) Il caso di scala reale e discontinua di oggetti visibili (ovvero psicografia della frattura del vicino e del lontano come cornice contra quadro)  è il caso per cui, ad esempio, mi si pongono di fronte il mare, degli alberi in primo piano, poco distante una barca da pesca, più lontano un veliero e ancora più in là un faro. Già dire "primo piano" implica che si è formata una inquadratura che spezza in due sensibilmente il vicino e il lontano un quadro visivo altrimenti completamente frontale. Questa sensazione non è data in sé, ma colta dalle due qualità della sintesi visiva.
La cornice – il primo piano – e il quadro – gli oggetti in lontananza – hanno regole di percezione diverse. Il primo piano è brillante e in rilievo, mentre gli oggetti sullo sfondo non permettono di dedurne la distanza in base ai loro rapporti di grandezza apparente poiché viene inferita in rapporto alla posizione della distesa del mare. Il ruolo di questi oggetti è piuttosto quello di scandire la profondità e ogni tentativo di determinazione di grandezza reale avviene attraverso la memoria degli oggetti, ossia dal verbo esplicito e non dalla percezione. La funzione riduttrice viene anche qui compensata dalla funzione amplificatrice dell'immaginazione prolungando l'intervallo invisibile della cornice.

e) Il caso di equivalente immaginativo della scala reale (ovvero psicografia delle abitudini percettive nella determinazione della grandezza degli oggetti sullo sfondo). L'esempio di Paliard è quello del contadino che, abituato alla vastità della pianura, inferirebbe erroneamente la distanza della montagna sullo sfondo. La montagna, a cui non è abituato, al massimo potrebbe essere alta come una collina. La farebbe perciò più vicina e più bassa di quello che è. Emerge di nuovo l'elemento della memoria e nella fattispecie una scala di grandezze immaginarie che verrebbe usata dal contadino per esprimere giudizi di grandezza reale e distanza erronee.

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