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sabato 13 dicembre 2014

Psicologia dell'apprendimento: meccanismi cognitivi dell'intelligenza

Dal punto di vista cognitivo l’intelligenza è una struttura di processi. Lo psicologo cognitivo considera la velocità di elaborazione (speed), la memoria di lavoro, l’attenzione controllata come fondamenti dell’intelligenza. Sternberg ha proposto una teoria in cui le operazioni mentali possono essere di base o controllate. La teoria è stata ricondotta recentemente al ruolo dei processi esecutivi della corteccia prefrontale. La velocità di esecuzione fu già citata come fondamentale da Galton e successivamente gli psicologi di orientamento cognitivista hanno proposto ulteriori ricerche. Hunt ha messo in relazione l’abilità verbale con la velocità di esecuzione di operazioni elementari coinvolte. Nella ricerca di Hunt venivano misurati i rallentamenti dovuti nel tenere a mente un numero crescente di cifre (compito di Sternberg), il rallentamento dovuto al giudizio di identità tra due stimoli nominalmente identici (compito di Posner). Per Hunt sarebbe più dotato intellettualmente chi è più rapido in questi compiti. Una mole di risultati propendono a spiegare il fattore speed come cruciale. D’altro canto la velocità non spiega la varianza intellettiva individuale, non è importante in compiti di problem solving dove il tempo non è un fattore differenziale. Di solito il fattore speed è calcolato come la media di prestazioni in prove di laboratorio. Ma cosa è veloce? Dalle ricerche emerge che la memoria di lavoro rinfrescata tra ricordi di diverse informazioni dopo ogni compito aumenti le prestazioni complessive.
Sappiamo che i lobi frontali siano più grandi nell’uomo che in tutte le altre specie e si sviluppino completamente nella tarda adolescenza. Le funzioni esecutive, cioè il controllo del comportamento e delle attività cognitive, vengono assegnate ai lobi frontali. Ma quali sono le funzioni esecutive? Lo shifting, ovvero la capacità di passare da un compito all’altro, l’inibizione delle informazioni superflue, memoria di lavoro, capacità di svolgere due compiti contemporaneamente, problem solving, aggiornamento delle rappresentazioni. Non occorre però identificare l’intelligenza con i lobi prefrontali, a quanto pare le operazioni svolte sono molto differenziate dal minimo comun determinatore molto vago e i processi esecutivi non correlano immediatamente con il QI.
La memoria dichiarativa a lungo termine spesso è considerata in relazione con l’intelligenza. Sappiamo che chi apprende ricorda più cose e chi ricorda più cose è in grado di apprenderne altre, perciò tra apprendimento e memoria c’è una relazione biunivoca. Però questa forma di intelligenza è quella che Horn e Cattel hanno definito cristallizzata. Perciò la memoria a lungo termine è in relazione con l’intelligenza, ma non diretta.
Per quanto riguarda la memoria di lavoro e la memoria a breve termine si è iniziato a considerarla centrale nei processi intellettivi nel 1990, constatando che la relazione tra prove intellettive e prove di memoria di lavoro è altissima (.90). Si sa che in età evolutiva fino all’età adulta gli individui ci sono delle differenze nella quantità di dati memorizzabili in memoria di lavoro. Ma la memoria di lavoro non è solo un volume ma è anche un luogo mentale deputato all’elaborazione dei dati. Dunque per quanto concerne la memoria di lavoro non è solamente un magazzino di informazioni, ma più che altro di sub risultati di operazioni di problem solving.
Il modello di memoria di lavoro più diffuso è quello proposta da Baddeley composto di quattro componenti. Il modello proposto da Cornoldi e Vecchi è a forma di cono e costituisce una rappresentazione  tra memoria di lavoro e intelligenza che si dispone in un continuum di dimensioni. Il continuum verticale può essere suddiviso in sezioni che rappresentano il deficit intellettivo, alla base è un problema specifico, intermedio un deficit di apprendimento, alla sommità un ritardo mentale. Il piano orizzontale invece rappresenta il tipo di informazione sottoposto alla memoria di lavoro. La teoria del controllo della memoria di lavoro sembra spiegare deficit di apprendimento e ritardi mentali con un unico modello che pone a diversi livelli la difficoltà incontrata dall’individuo nell’elaborazione dei dati.

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