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lunedì 22 dicembre 2014

Antropologia sociale: fenomenologia dello sguardo

Merleau-Ponty si chiede nel suo Fenomenologia della percezione come sarebbe se tenesse conto contemporaneamente di come si vede lui e di come lo vedono gli altri e come gli altri si vedono. Sostiene che già il suo corpo è il regista della percezione e che ciò fa svanire l'illusione della coincidenza con le cose stesse. "Io, il vedente, sono anche visibile": in sostanza la percezione non è rinchiusa nel soggetto, privata, unidirezionale e passiva, ma pubblica, dialogica e responsabile.
Pubblica, la percezione non rimane solo mia, o tra me ed un oggetto, al contrario è disponibile all'altro anche se io non lo desidero. Perciò la percezione, essendo pubblica, è dialogica, e la visione è fisicamente un gioco di sguardi, di occhi in contatto con altri occhi. Essendo pubblica e dialogica, cioè costituente un discorso, la visione assume una rilevanza morale, quindi la percezione è responsabile, è l'aspetto riflessivo del mondo, dell'uomo nel suo mondo orientando il comportamento e condividendolo nella società. Essendo pubblica, dialogica e responsabile, la percezione è culturale, è un prodotto dell'attività umana e al contempo ne è la guida.
Régis Debray (1999) ha individuato tre età dello sguardo in corrispondenza ad altrettante mediasfere: alla logosfera corrisponde l'età degli idoli in senso lato, alla grafosfera l'età dell'arte e alla videosfera l'era del visivo. Ognuna disegna una stretta maglia di relazioni che formano un modo di vita e di pensiero, un ecosistema della visione e perciò un orizzonte di attesa dello sguardo. Ogni mediasfera sarebbe caratterizzata da un approccio all'immagine differente, una imagerie (iconografia) peculiare, sebbene la mediasfera più recente non impedisca l'approccio antecedente, nel senso che sebbene ci sia la televisione posso comunque andare alla mostra d'arte o in chiesa. Se nell'era degli idoli l'immagine era un essere, nell'era dell'arte l'immagine era una cosa, invece nell'era del video l'immagine è puro percetto.
Ogni età avrebbe una dimensione di riferimento e un relativo culto: nella logosfera la dimensione è magico-religiosa e il culto è del santo, nella grafosfera la dimensione la dimensione è il tempo lineare dell'uomo e il culto del bello, infine per la videosfera la dimensione è quella puntuale della tecnica e il culto è del nuovo. L'ecologia mediale avrebbe anche un continente di nascita spostandosi dall'est all'ovest, Asia, Europa e America; un modo tipico di rapporto sociale: intolleranza religiosa, rivalità personale, concorrenza economica.
Per fare una fenomenologia dello sguardo possiamo riferirci alle sfere debrayiane e, come l'autore dice, nella prima età l'uomo era non vedente, ma visto dallo sguardo degli dei o del dio. La costruzione o la pittura di idoli e la magia dell'antichità influenzava con il solo sguardo, oppure era lo sguardo, come quello dello jettatore napoletano, ad avere poteri magici. Il medioevo cattolico è un inseguimento alle immagini sacre per le loro funzioni taumaturgiche e la loro capacità di alterare lo stato di coscienza al fine di avere visioni mistiche.
L'occidentalizzazione del Nuovo Mondo è stata portata a compimento dai missionari e, data la lontananza culturale e soprattutto linguistica, dal potere dell'iconografia cristiana, di forte suggestione psicologica. Dell'immagine non c'è molto da capire, i semiologi dicono che l'icona ha un rapporto analogico con la cosa che rappresenta. Una guerra per immagini, dunque.
Nell'era della grafosfera il soggetto è il Principe e l'immagine lo tenta di rappresentare il più fedelmente possibile e l'artista adopera le leggi della prospettiva, da lui stesso inventate, dove posiziona il potente al centro della piramide visiva dove può rappresentare l'intero mondo. A differenza della sfera precedente, nella grafosfera non è il ricettacolo dello sguardo divino, ma è un demiurgo in grado di creare un mondo mentre vede un mondo.

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