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lunedì 22 dicembre 2014

Antropologia sociale: fenomenologia dello sguardo

L'era visiva in cui siamo da pochi entrati, l'immagine è stata soppiantata dal segno, il bisogno dal desiderio e il mondo è simulato e virtuale. La comunicazione digitale non fa vedere le cose ma le riduce a semplici grafismi convenzionali. Le persone in video non son persone, ma rappresentazioni di organismi più grandi di cui sono il riferimento metonimico, ne sono il logo. L'era del video è l'era in cui un mondo fatto di segni sorge e nasconde il mondo fisico, tanto che una rappresentazione del mondo visivo può essere modificata senza alterare l'ordine del mondo fisico. Debray dice che "è la rivoluzione dello sguardo. La simulazione abolisce il simulacro, togliendo così l'immemorabile maledizione che accoppiava immagine e imitazione. La prima era incatenata al suo statuto speculare di riflesso, calco o illusione. Sarebbe allora la fine del millenario processo delle ombre, la riabilitazione dello sguardo nel campo del sapere platonico. Con il concepimento assistito al computer, l'immagine prodotta non è più copia seconda di un oggetto anteriore, ma l'inverso".
Donald Lowe (1982) ha proposto una fenomenologia della percezione fondando la sua analisi su tre fattori che strutturano il contesto "immanente ed ermeneutico": mezzi di comunicazione che organizzano e facilitano l'atto percettivo, la gerarchia dei sensi che strutturano il soggetto come corpo percettivo, i principi epistemici che danno ordine al contenuto di ciò che viene percepito. Tra i principi epistemici sono inclusi i concetti di spazio e di tempo come griglia assoluta della percezione. L'autore spiega che lo spazio ed il tempo della percezione borghese del mondo sono stati piegati da un modo sistematico e sincronico della globalizzazione. Il capitalismo avanzato non vede più un tempo lineare, ma "un sistema sincronico di opposizioni binarie e di differenze senza identità". Secondo Lowe non siamo ancora entrati esclusivamente nel nuovo ordine epistemico, ma fluttiamo tra il modo borghese e il modo della globalizzazione interpretando in ambedue i modi.
Gli ordini epistemici si sono succeduti in base alla disposizione dei mezzi di comunicazione. La cultura orale e chirografica del Medioevo si sarebbe organizzata intorno alle regole epistemiche dell'anagogia che metterebbe in comunicazione con il mondo soprannaturale che è l'ipostasi che spiega il mondo sensibile che non sarebbe altro che una illusione. Invece alle millenarie radici della cultura indiana è posto il pensiero dei Veda, che letteralmente richiamano la visione, tanto che si dice che i bardi udivano e vedevano le divinità. I testi propongono una riflessione metafisica svincolata da ogni concretezza pratica e sociale che risponde alle domande ultime dell'esistenza.
L'iconoclastia è sempre in agguato e questo perché le immagini irretiscono i sensi, si pongono come feticci e non è un caso che si dica che la fede va seguita ciecamente. Tornando all'inizio, l'uomo laico contemporaneo è un vedente e non solo un oggetto osservabile, è quindi responsabile della sua visione e del dialogo sul senso del mondo. Ad ogni tipo di immagine corrisponde perciò un iconoclasta – religioso, scientifico, sociopolitico – tutti uniti da un proprio rigorismo morale.
La globalizzazione porta con sé uno scenario nuovo per le relazioni sociali, persone fisicamente e culturalmente lontane diventano i nostri vicini e in contatto prossemico attraverso i mezzi di comunicazione elettronica quando da sempre siamo abituati a muoverci all'interno di gruppi chiusi. Come direbbe Lowe, vi è una sedimentazione dei campi percettivi e le persone sono immerse in una realtà multivariata che percepiscono ancora in modo unilineare e autoreferenziale. Oppure, persino lo spazio ed il tempo, capisaldi della classicità e del Medioevo, diventano variabili di un sistema relativistico.
Passando dalla prossemica all'oralità, dall'oralità alla scrittura, la comunicazione umana ha conosciuto diverse modalità di esercitare lo sguardo e perciò nemmeno i segni sono rimasti uguali. Lowe dice che siamo passati dalla comunicazione dei segni alla meta-comunicazione delle immagini intendendo che il segno grafico sta cedendo il posto all'immagine, perciò è più semplice trovarsi di fronte al disegno di una mela che alla parola 'mela'. Questo passaggio permette un accesso diretto alla forma da rappresentare e questa ha un alone semantico più incline all'associazioe perché più ricco di riferimenti. La mela è verde, è attaccata all'albero, è tonda. La parola, orale o scritta, non lo è.

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