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lunedì 22 dicembre 2014

Antropologia sociale: i malintesi della decrescita

La decrescita è il ritorno alla candela
L'accusa più semplice da fare è quella di ritorno all'età della pietra o al Medioevo, immaginariamente lontane dalla società dell'abbondanza.
Latouche risponde alla provocazione dicendo di voler tornare ancora più indietro nel tempo, alla civiltà dei bonobo. La formula dell'anarchico Goodman calza a pennello, i decrescenti sono "conservatori neolitici". Così come presentata dal libro di Shalins Stone Age Economics (1972) l'età della pietra non era così male: poche attività obbligate, quella della sussistenza, e per il resto svago e giochi.
La critica dei progressisti, improvvisamente trovatisi conservatori, è di essere i decrescenti dei soldati della retroguardia. Il punto è che non potendo più andare avanti – pena la distruzione della società e del pianeta – la retroguardia diventa la prima linea. Tornare indietro non significa tornare alla "condizione di natura" hobbesiana, piuttosto allentare la morsa dello sfruttamento delle risorse, anche umane, per ripristinare l'equilibrio tra noi e l'ambiente e soprattutto tra noi. La pena è quella di diminuire il consumo e per forza di cose la produzione e quindi smantellare l'impanto industriale per, eventualmente, ricostruirlo, ove serve, tenendo conto dell'esperienza che abbiamo maturato nel Novecento.
Metà dell'umanità, nonostante questo, vive ancora secondo i "valori contadini". Sappiamo che sono i coltivatori a preservare la biodiversità, i suoli e le acque; sono sempre loro a mantenere le tradizioni e le conoscenze, ma soprattutto a mantenere rapporti sociali diversificati.
Oppure usando una retorica spaziale, non si tratta di fare un passo indietro, ma un passo di lato per prendere una strada diversa, dove alla fine non c'è la catastrofe del ragionamento quantitativo applicato alla produzione. Questa strada non porta ad un aumento del PIL, ma ad un aumento della qualità della vita e al progressismo per ciò che riguarda la bellezza e la cultura.
Da un punto di vista filosofico, e perciò fondamentale, occorre rivedere il piano di liberazione iniziato con l'Illuminismo. La libertà dell'uomo sta nel rimettersi alla propria forza rinnegando la tradizione e la rivelazione, colonne portanti del potere dell'Ancien Règime. Sapere aude! Però ora sappiamo di essere nelle mani di un altro dio capriccioso che si manifesta nei portafogli, il mercato. L'occidente moderno è la società più eteronoma della storia, in bilico tra la dittatura razionale dei mercati finanziari e la mano invisibile dell'economia, nonché alle leggi della tecnoscienza. Questa è la razionalità del controllo totale della natura, tanto che siamo arrivati al punto di mettere in dubbio l'identità stessa dell'umano con il transumanismo e il postumanismo.
La decrescita non vuole imporre un ritorno della tradizione e della trascendenza, da questo punto di vista. Anzi, si pone a continuare l'opera iniziata dai Lumi per liberare dalle catene del regime finanziario-industriale. La legge della giungla e l'esplosione delle passioni tristi (invidia, avidità, sete di ricchezza e di potere) dovute alla frustrazione dell'eterno bisogno dovrebbero essere allentate, se non epurate, dall'idea di convivialità. La convivialità, termine che Illich prende in prestito dal grande gastronomo francese del XVIII secolo Jeam Anthelme Brillat-Savarin, intende ricucire il legame sociale lacerato dall'orrore economico. La convivialità, il cui senso è in sintonia con l'agápe della teologia cristiana, reintroduce lo spirito del dono nel commercio sociale che si ricollega perciò alla philía (amicizia) che per Aristotele è necessaria all'esistenza della pólis.

La decrescita significa il ritorno a un ordine patriarcale comunitario
Nell'ambiente francese non c'è peggior accusa che quella di comunitarsimo. I critici spesso si scagliano contro la decrescita per il male che può fare alla società facendola ritornare un ordine comunitario, patriarcale e machista. Occorre analizzare meglio i tre concetti: locale, comunità e patriarcato.
La questione del locale
Si è comunque condannati ad una certa misura riterritorializzazione. La questione sta nel modo di conceprila. Il frame per deciderne la logica può essere quello dello spazio bioproduttivo: attualmente (2009) siamo al 50% oltre al potere di rinnovamento della biosfera. Un africano consuma meno del 10% della parte spettante ad ogni statunitense. Se oggi tutti perpetrassimo il consumo francese di 5,8 ettari di spazio produttivo caduno, sevirebbero tre pianeti. Nel 1960 il consumo era di 1,8 ettari che già da solo era l'intero pianeta. Ma questo significa che i francesi consumano tre volte tanto? No, e questo vuol dire che il consumo è indiretto ed è nei kilometri che la merce compie prima di essere venduta al consumatore.
L'obiettivo "chilomentri zero" nella filiera produttiva è irrinunciabile per ridurre il consumo indiretto e per questo è necessario rilocalizzare i sistemi di produzione delocalizzati. Bisogna reinventare tutta una nuova cultura del locale introducendo il concetto di bioregione, ossia un'area di territorio con un sistema di produzione-consumo coerente con il proprio milieu biologico.
Decrescita e comunitarismo
L'argomento comunità e comunitarismo è un argomento spinoso. Le destre e la Nuova Destra hanno un loro ideale immaginario di comunità molto simile al sogno e all'utopia, per loro. Una comunità chiusa sul modello del feudo medievale, gerarchicamente organizzata intorno ad una casta di governatori-guerrieri ed intollerante verso lo straniero. L'idea di bioregione non si fonda sulla razza o sul sangue, ma sull'adesione vissuta o scelta di un luogo di vita. Per continuare il progetto dei Lumi occorre implicare una visione orizzontale dei rapporti sociali, non una gerarchia verticale. E questo è possibile solamente mettendo in discussione l'imperante individualismo, che tra l'altro produce una società eteronoma.
Bisogna essere lucidi, l'uomo singolarmente è un individuo non una comunità, però è vero contemporaneamente che l'individuo moderno è la caricatura della personalizzazione e della libertà. È individuo massificato che è esattamento l'opposto della libertà personale. Costruire un modello persona vs individuo (Emmanuel Mounier) sembra il possibile superamento della manichea distinzione individualismo vs comunitarismo.

La decrescita è machista?
Casomai come hanno argomentato Fromm e Reich sono il capitalismo, l'economia e la crescita infinita ad essere patricentrici, fallocratici e, in una parola sola machisti. Nemmeno il PIL e la crescita sono neutri in fatto di genere. Entrambi hanno bisogno di volontà di potenza e la concorrenza è un modo moderno di intendere la guerra. Scendendo sui calcoli, nel PIL vengono rendicontati tutti i lavori (anche domestici) maschili. L'uomo che coltiva le patate produce, ma non la donna che le cucina!
Contratto, determinazione, ragione, calcolo, durezza con sé e con gli altri. Questi sono gli elementi collegati alla produzione di valore economico, e questi sono tutti elementi considerati maschili. Dolcezza, comprensione, emozione, dono, gratuità, sono invece tutti i "valori" che costruiscono la decrescita. Quindi la decrescità sarà femmina o non sarà!
Decrescita uguale disoccupazione
Per tutti i moderni l'occupazione è associata alla crescita. Questo malinteso deriva in gran parte dalla difficoltà di sottrarsi dal mindset della società della crescita. Non c'è peggio al mondo che una società della crescita senza crescita, lo sappiamo benissimo, però la società della decrescita adotta altri paradigmi. Innanzi tutto occorre ridimensionare le idee lavoriste, tutti lavoreranno di meno e consumeranno di meno. Occorre perciò mettere in discussione la centralità del lavoro nella vita e quindi crollerebbe il castello produttivista dell'economia della crescita.
Di lavoro, per partire ce n'è comunque. Occorre rilocalizzare e progettare tutte le strutture di produzione in chiave ecologica e, nondimeno, instaurare i circuiti bioregionali. Solo rinunciando all'agricoltura industriale –  dannosa per il suolo, l'acqua, l'aria e noi – e applicando le regole dell'agricoltura ecologica si creerebbero in Francia oltre un milione di posti di lavoro.
La deindustrializzazione creerebbe dei presupposti per la convivialità, la personalizzazione e l'ecologia – tramite il riciclo, la riparazione, la trasformazione. Ogni comunità avrebbe la propria autonomia e originalità avendo al contempo gli strumenti per rimanere aperta sul resto del mondo.
I capisaldi della decrescita sono:
1) riduzione della produttività globale e l'abbandono della termoindustria (industria basata sul consumo di carburanti fossili non rinnovabili) rifiutando l'uso sconsiderato di attrezzature energivore;
2) rilocalizzazione delle attività e la fine dello sfruttamento del Sud del Mondo;
3) creazione di posti di lavoro a contenuto ecologico in tutti i settori;
4) cambiamento degli stili di vita sopprimendo i bisogni inutili (dimagrimento della pubblicità, del turismo, dell'industria automobilistica, dell'agrobusiness, delle biotecnologie, ecc.).
Solo l'ultimo punto prevede diminuzione di occupazione.
La decrescita è incompatibile con la democrazia
Alcuni critici considerano la decrescita incompatibile con la democrazia altri addirittura la identificano con una sorta di ecoterrorismo, ossia di una strumentalizzazione della paura per la distruzione dell'ambiente a fini politici. Molti sostengono che la decrescita sia attuabile solamente con un sistema politico totalitario, altri usano chiamare i decrescenti "khmer verdi".
La teoria della decrescita vorrebbe una democrazia vera e propria, non la sua caricatura, la postdemocrazia del sistema mediatico-politico.
La pressione delle lobby che manipolano l'informazione mediatica di massa rende impossibile la trasmissione dei valori della decrescita. La democrazia sarebbe in realtà una oligarchia. L'economia politica ha trasformato i vizi privati in virtù pubbliche, ma le cose sono sfuggite di mano. Nella mitologia greca l'eroe aveva un perimetro entro il quale poteva esercitare la sua eroicità, uscendone entrava nel castigo divini della hýbris (la dismisura) ed era punito dal destino. La società serve a questo, a frenare il desiderio di onnipotenza dell'individuo.
La via della convivialità e della sobrietà non si afferma senza dolore. Qualcuno ipotizza un dittatura benevola per affrontare la sfida ecologica e ci si chiede se saremo disposti ad accettare un ecocrazia autoritaria e un ecototalitarismo. Mentre per ragioni di principio gli intellettuali cercano di evitare fascismi di ogni sorta, l'Impero non si fa di questi problemi e potrebbe, per salvare il sistema, incoraggiare l'assurrezione di un regime imposto ad una massa puerilizzata nascosto da pseudoconsultazioni che sono in realtà propaganda.

La decrescita è compatibile con il capitalismo?
Nei dibattiti pubblici è frequente la domanda se si possa decrescere senza uscire dal capitalismo. Gli obiettori di crescita non sono sempre espliciti su questo punto, perché non basta mettere solo in discussione il capitalismo, ma l'intera società della crescita. Quindi anche il socialismo è sotto accusa, le idee di Marx hanno sempre al centro dell'ideologia il concetto di lavoro e di sviluppo industriale infinito, anche se con una organizzazione diversa. Significa depauperare l'ambiente comunque. Il fine della decrescita è la distruzione della società industriale per rompere il meccanismo produttivista e consumista. La decrescita è decrescita del capitalismo, dell'accumulazione e del saccheggio. Non si può convincere il capitalismo a decrescere come non si può chiedere ad un uomo di smettere di respirare.
L'eliminazione dei capitalisti, della moneta, della proprietà privata, del rapporto subordinato ecc. non servirebbe a cancellare l'immaginario capitalistico, anzi lo rafforzerebbe perché la società verrebbe gettata nel caos. Prima di tutto il capitalismo è una struttura di semplificazione della realtà presente nella testa delle masse e non solo.
Eliminare il capitalismo non vuol dire privare dalla realtà tutte quei modi e istituzioni che fanno parte del capitalismo. I modi e le istituzioni formano il sistema capitalismo, ma in forme diverse darebbero altri sistemi. Perciò occorre stare attenti a non buttare via bambino ed acqua sporca. La moneta è una di quelle istituzioni che assume tratti sinistri solamente in relazione ai modi con cui viene usata. Qui i teorici si dividono. È molto più semplice inizialmente riformare le istituzioni in un inquadramento che segue una logica differente. Si tratta di far riappropriare le istituzioni economiche agli utilizzatori delle stesse (compreso anche il lavoro, s'intende). L'uscita dall'economia sarebbe una Aufhebung, nel senso hegeliano di abolizione/superamento, ma questa rinuncia segna anche la fine dell'idea di una scienza economica indipendente e formalizzata.
La decrescita potrebbe essere definita anche ecosocialismo, se con "socialismo" intendiamo con Gorz "la risposta positiva alla disintegrazione dei legami sociali sotto l'effetto dei rapporti mercantili e di concorrenza, caratteristici del capitalismo".
La decrescita è di destra o di sinistra?
La decrescita non può essere che di sinistra, anzi è rilancio della sinistra. Però questo messaggio riscontra una forte resistenza. La decrescita è un progetto politico di sinistra che è una critica radicale al liberismo, è un progetto industrioclasta, è un progetto che mette in discussione il capitalismo secondo la più stretta esegesi dei testi marxisti.
1. critica radicale al liberismo, inteso come valori che stanno alla base della società dei consumi. L'utopia della decrescita può essere espressa in otto "R": rivalutare (i valori), riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire (la ricchezza), ridurre (le produzioni e i consumi), riutilizzare, riciclare.
2. critica socialista all'industria: elogio della qualità e non della quantità, rifiuto del brutto, visione poetica dell'esistenza per ridare un senso al progetto comunista.
3. critica al capitalismo: rivitalizzare il progetto marxista laddove anche Marx stesso si è tradito.

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