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lunedì 22 dicembre 2014

Antropologia sociale: non è bello ciò che è bello...

Estetica, in greco antico, significa "riguardante la percezione dei sensi". Questa definizione avvicina l'estetica al visivo e la distanzia dal significato moderno di studio della categoria del bello. Approntando così il discorso si tenterà di passare tra gli scogli del bello, reso sublime dalla riflessione romantica, e le secche del relativismo. Lo strumento per non incagliarsi e non arenarsi sarà il simbolo.
Poniamo l'esempio di un turista in un museo d'arte occidentale, contenitore di opere e significati formalmente interessanti per noi già di per sé, e  lo stesso turista in un museo etnografico, contenitore di oggetti esotici di cui non si conosce l'uso. Nel secondo caso, il turista, affermerà tranquillamente di "non capire" pur vedendo l'opera d'arte. Non è comprensibile al turista nemmeno con una scheda storica, con data di costruzione e luogo di prelevazione, le indicazioni sul soggetto rappresentato: il turista non conosce il rimando simbolico che ispirò l'artista.
Questo fatto corrobora la teoria relativista, per cui ogni cultura è un regno chiuso e per utilizzare strumenti di un'altra cultura sia necessaria una mediazione, cioè un ponte umano che fa da medium tra i due mondi. Però questo fenomeno fa contento l'universalista che crede di una unità del cuore umano, indipendente dal contesto, capace di emozionarsi di fronte a cose diverse e sconosciute alla ratio delle strutture apprese. Eppure il simbolo non è un segno: fare dell'arte una questione di comunicazione in cui l'opera e le sue parti sono parole e narrazioni non coglie appieno l'essenza dell'arte.
Mentre l'universalismo è tale pro domo sua e considera l'arte occidentale superiore alle altre, il tono empirista del relativismo può essere di "destra" – che, supponendo l'incomunicabilità transculturale, fa della propria arte la fattispecie su cui desumere la propria superiorità artistica –, o di "sinistra" –  che salvaguarda le pari dignità di tutte le arti e suppone l'impossibilità di un loro corretto apprezzamento dall'esterno.
William Fogg, mitica figura di curatore del Museum of Mankind di Londra, criticò di filisteismo i critici d'arte che si rassegnarono a non dare giudizi di valore all'arte "primitiva" sulla scorta della giustificazione che i "primitivi" non conoscono il concetto di Arte. L'argomento fogghiano è eloquente: i popoli tribali esprimono il loro concetto di arte non con il linguaggio ma nell'arte stessa. Le parole di Boas sono utili per inquadrare nella categoria dell'Arte degli enti e non altri. Tutto può dare godimento estetico, ma si parla d'Arte quando l'oggetto è prodotto dalla trasformazione artificiale.
Il simbolo, che è il portatore dei significati, mette in contatto la nostra esperienza estetica con l'opera d'arte, ma a sua volta il simbolo è mediato culturalmente, cioè non è un archetipo junghiano universalmente organizzatore dell'esperienza dell'uomo. Il simbolo perciò può mettere in discussione ciò che passivamente applichiamo nel processo di interpretazione.
Geertz si fa pioniere dell'uso della semiotica nell'analisi antropologica dell'arte ed egli la chiama "etnografia dei veicoli di significato". Questo approccio si allontana dall'imperante funzionalismo nell'analisi e libera l'artista dalla sua funzione sociale, così come nel considerare l'arte una sorta di artigianato. Però quando si parla di semiotica non si è osservatori del momento della produzione del significato; si è invece allo studio sul codice di trasmissione. Si è, perciò, di nuovo interessati alla comunicazione. È quindi importante cercare di delineare cosa è la comunicazione in ambito semiologico. Possiamo considerarla l'utilizzo strumentale di codici altamente formalizzati, messi a punto da una società, sul modello della lingua. Senza avere a disposizione il codice i segni sono indecifrabili e non avrebbero nessuna forza per trasmettere significati.
Gli studi occidentali sulle rappresentazioni visive sembrano risentire dello stesso manicheismo presente in diversi contesti della nostra vita. Da un lato ci sono i diversi modi di mettere in forma organizzata elementi immaginari o percepiti, dall'altro le suggestioni inconsce, le allegorie, le metafore e le metonimie. Vi è sempre la tendenza a rappresentarci la stessa cosa divisa in forma (geometria, stile, ecc.) e sostanza (idea, emozione, significato, ecc.).

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