Cerca nel blog

domenica 14 dicembre 2014

Filosofia delle scienze umane: il corpo e lo spazio nell'arte per Heidegger

Heidegger nel 1964 ha settantacinque anni. Ha già annunciato la svolta [Kehre] ed è caduto in disgrazia per i trascorsi nazionalsocialisti. Il suo pensiero è maturo e l'articolazione dura della sua prosa qui si ammorbidisce e trova un modo più delicato di liberare il manifesto. I testi presi nel corpo di questi appunti appartengono alle riflessioni e ad i discorsi che Heidegger tenne in occasione del vernissage di Berhnard Heiliger. La conferenza era intitolata Raum, Mansch und Sprache.
Il filosofo di Essere e Tempo si trova ad essere anziano e il suo pensiero subisce una seconda enigmatica svolta, tanto che queste poche pagine potrebbero essere un preludio di un'opera di totale ripensamento che non ha avuto mai modo di scrivere, Essere e Spazio. Heidegger, così, fa spazio ai posteri lasciando il testimone per la radicale materializzazione dei corpi che verrà.

Corpo e spazio

Nell'antica Grecia – dice il filosofo – non esisteva una letteratura sull'arte e le opere artistiche dicevano da sé e indicavano il luogo al quale l'uomo appartiene; consentivano di cogliere dove l'uomo riceve la sua determinazione. L'eco della voce dell'opera d'arte, che non è né situazione o esperienza vissuta, provocava nell'uomo greco quella disposizione d'animo che chiamavano αιδως, "pudore innanzi a ciò che è".
L'epoca moderna ha collegato l'opera d'arte all'architettura e all'urbanistica, come elemento estetico, e i critici d'arte cadono in un circolo vizioso quando affermano che l'arte è ciò che fa l'artista. L'unico modo per evitare questa circolarità è di domandarci prima cos'è lo spazio.
Una prima trattazione dello spazio la si trova nella Fisica di Aristotele. La Φυσις diverrà poi la natura latina. Gli enti fisici, per l'uomo greco, sono quelli che non sono prodotti dall'uomo. Per produrre dalla natura occorre un certo tipo di pensiero detto τεκνη, che è lo stesso con cui i greci chiamavano l'arte. A nostra differenza, la tecnica è per il greco un modo di conoscere e rendere manifesto disoccultando ciò che sta di fronte.
Quel che viene manifestato sono i corpi (σωματα) e lo spazio viene rappresentato in relazione ai corpi presenti. Questo modo di pensare lo spazio è sedimentato nella storia. Aristotele però aveva due modi per riferirsi allo spazio: τοπος e κωρα. Con topos Aristotele intende lo spazio che viene ottenuto e occupato immediatamente dai corpi, questo spazio sussiste solo grazie al corpo ed è il suo luogo. Il limite per i greci non è dove qualcosa termina, ma dove inizia, dove ha compimento. Con chora si indica lo spazio in quanto può accogliere (δεκεσθαι) e avvolgere, contenere (περιεκειν) tali luoghi. Perciò la chora è un accoglitore e un contenitore.
Lo spazio greco è considerato a partire dal corpo, come luogo, e come contenitori di luoghi. Ogni corpo ha un suo luogo ad esso conforme. Lo spazio ha così luoghi ben caratterizzati e διαστήματα [intervalli] e non così l'extensio.
Con l'inizio della fisica moderna (Galileo e Newton) lo spazio perde la caratterizzazione dei luoghi e diventa uniforme estensione tridimensionale per il movimento di punti-massa che non hanno alcun luogo proprio, ma possono trovarsi in qualsiasi punto dello spazio geometrico. Con Kant lo spazio giunge ad essere una forma pura soggettiva sintetica a priori dell'intuire che anticipa la rappresentazione di oggetti sensibilmente dati.
Malgrado le differenze tra pensieri lo spazio viene rappresentato allo stesso modo, cioè a partire dal corpo. Il greco στάδιον, l'andare a spasso, e l'intervallo di tempo in cui si passeggia si riferiscono alla stessa cosa che si riferisce la parola latina spatium. La extensio, l'estensione, offre la possibilità per lo spatium. Oppure dobbiamo dire che spatium ed extensio, con l'ausilio dell'aritmetica, rappresentano ciò che è di misurabile e calcolabile dello spazio, e lo spazio coincide con la sua calcolabilità? Cosa è in ciò che gli è proprio τοπος e κωρα, spatium ed extensio e il moderno campo di forze? Cosa è lo spazio pensato senza corpi?

Lo spazio fa spazio. Fare spazio significa sfoltire e render libero, liberare un che di libero, un che di aperto. Solo quando lo spazio fa spazio e rende libero un che di libero, lo spazio accorda, grazie a questo libero, la possibilità di contrade, di vicinanze e lontananze, di direzioni e limiti, le possiblità di distanze e di grandezze.
Si tratta ora di capire come l'uomo è nello spazio e non è nello spazio come un corpo. L'uomo dispone dello spazio. Diciamo infatti "fare spazio" per lasciare libero e, cedendo del proprio spazio, facciamo essere qualcun'altro. L'uomo non ha un corpo e non è un corpo, bensì vive il suo corpo vivente. L'uomo vive, vivendo come-corpo, e così è ammesso all'aperto dello spazio e da lì soggiorna in una relazione col prossimo e le cose.
L'uomo non è limitato dalla superficie del suo presunto corpo. Se io sto qui, in quanto uomo sto qui a condizione che nel contempo sto già là accanto alla finestra. Cioè fuori per strada e in questa città; in breve, sono in un mondo. Se vado alla porta, non trasporto il mio corpo alla porta, bensì muto il mio soggiorno [Aufenthalt] (il mio corpo come proprio [Leiben]), muta la vicinanza e muta la lontananza rispetto alle cose; mutano l'ampiezza e la ristrettezza in cui si manifestano.
L'esistenzialismo pone l'uomo nello spazio come l'acqua è nel bicchiere e la sedia nella stanza tralasciando l'essere-nel-mondo. Le cose non stanno affatto così. Una testa non è un corpo dotato di occhi e orecchie, bensì è un fenomeno del corpo-vivente, contrassegnato dall'essere-nel-mondo che guarda e ascolta. Quando l'artista modella una testa, sembra solo riprodurre la superficie visibile; in verità, raffigura quel che è propriamente invisibile, ossia il modo in cui questa testa guarda nel mondo, soggiorna nell'aperto dello spazio, viene coinvolta da uomini e cose.
L'artista traspone in un'immagine quel che essenzialmente è invisibile e, se corrisponde all'essenza dell'arte, ogni volta fa vedere qualcosa che non era stato ancora visto.
Un corpo non può mai essere di buon umore (ben disposto) e non è riferibile la serenità. L'uomo non fa lo spazio, lo spazio non è neanche un modo soggettivo dell'intuire; non è però neanche alcunché di oggetti come un oggetto. Piuttosto lo spazio, per fare spazio come spazio, necessita dell'uomo.
In questo misterioso girarsi intorno di uomo e spazio viene in mente ancora il circolo vizioso di arte ed artista. Aristotele caratterizza l'arte con la parola ποιησις che da vocabolario significa "l'arte del comporre, il fare, il confezionare". Pensando in modo non greco, questa parola vuol dire portare-fuori-da, e "fuori" sta per il non-nascosto e "da" a partire dal nascosto. E infatti nel nono capitolo Aristotele dice che "l'arte è più filosofica e rigorosa, a differenza della storia". Con ιστορια si può intendere l'esplorazione, per esempio le usanze e le condizioni popoli diversi, che l'ufficio di raccogliere elementi di fatto in vista di un'udienza giudiziaria. La storia è rivolta ai fatti singoli, l'arte è filosofica in quanto porta a mostrarsi l'essenziale. L'arte è vicina alla cosa stessa.

Arte e spazio

L'arte che produce corpi è la scultura. Il corpo scolpito incorpora qualcosa. Incorpora lo spazio? La scultura è una presa di possesso dello spazio? Un dominio tecnico-scientifico dello spazio?
Lo spazio uniforme e calcolabile, lo spazio cosmico oggettivo [objektiven kosmiche Raumes], è l'unico vero spazio e lo spazio dell'arte e del quotidiano sono soltanto pre-forme e modificazioni soggettive dello spazio della tecnica moderna?
Lo spazio entro cui la figura è scolpita, lo spazio che i volumi della figura racchiudono, lo spazio vuoto tra i volumi, sono tre volumi derivati dalle misurazioni tecnico-fisiche?
Il formare i corpi della scultura avviene per la circoscrizione, ossia l'includere e l'escludere entro un certo limite. Entra così in gioco lo spazio, che riceve la scultura come volume pieno, volume che include zone vuote e volumi totalmente vuoti.
Il vuoto è ciò che è più affratellato al luogo e per questo motivo non è una mancanza, ma un portare allo scoperto. Vuotare il bicchiere significa: raccoglierlo in quanto contenente nel suo esser diventato libero [es als das Fassende in sein Freigewordenes versammeln]. Vuotare una cesta di frutta significa: preparare per loro questo luogo.
Il vuoto non è niente e neppure una mancanza. Nel farsi corpo proprio della scultura [plastischen Verkörperung, "incarnazione plastica" da πλαςτική], il vuoto entra in gioco nel modo dell'instaurare luoghi di cui si arrischia e progetta l'apertura [in der Weise des suchend-entwerfenden Stiftens von Orten].
Come accade il fare-spazio? È il disporre [Einräumen] nel duplice modo di accordare l'accesso [Zulassens] e posizionare/installare [Einrichtens]?

1. Innanzitutto il disporre accorda [Zugaben] qualcosa. Lascia dominare/regolare [walten] l'aperto, che dona apparenza alle cose presenti e a cui il soggiorno umano si vede assegnato.
2. E poi il disporre prepara la possibilità [Möglichkeit bereiten] delle cose di appartenere a qualche luogo e, partire da questo, di mettersi in relazione tra loro (co-appartenersi).
Questo duplice momento (accordo e permesso) del disporre è la garanzia [Gewährnis] dei luoghi. Il disporre è un accordare
Ma cosa è il luogo [Ort] se ciò che gli è proprio è determinato dalla donazione del disporre?
Il luogo apre di volta in volta una contrada [Gegend] mentre raccoglie le cose nel loro reciproco con-appartenere ad essa. Nel luogo il raccogliere  ha il ruolo di custodire [Verwahren] le cose nella loro contrada. E la contrada? La forma più antica della parola è Gegnet. Questo termine indica la libera vastità. Grazie ad essa l'aperto è libero di far sorgere ogni cosa  nel suo riposar in se stessa. E ciò significa custodire e il raccogliersi delle cose nel loro reciproco co-appartenersi. È inquietante sapere che il luogo precede il progetto tecnico-fisico, piuttosto lo spazio tecnico-fisico si dispiega per predominare i luoghi di una contrada.
Se è così dovremmo cercare ciò che è proprio del fare e lasciare spazio nella fondazione di località, dovremmo meditare la località [Ortschaft] come gioco insieme di luoghi.
Il fare-spazio porta il libero, l'aperto per un insediarsi e un soggiornare dell'uomo; il fare-spazio è libera donazione di luoghi in cui i destini si realizzano nella felicità del possesso di un posto-proprio [Heimat] o nell'infelicità dell'esserne privi o nell'indifferenza dell'una e l'altra.
Il fare-spazio è la libera donazione del luogo dove si manifesta Dio, da dove gli dei sono scappati,  luogo in cui il manifestarsi del divino a lungo ritarda. In ogni caso gli spazi profani sorgono sullo sfondo di spazi sacri.
Il gioco di rapporti di arte e spazio dovrebbe essere pensato a partire dall'esperienza di luogo e contrada. L'arte come scultura: non già una presa di possesso dello spazio [come la tecno-scienza].  La scultura non sarebbe affatto un confronto con lo spazio. La scultura sarebbe il farsi-corpo di luoghi che, aprendo una contrada e custodendola, tengono raccolto intorno a sé un che di libero che accorda una dimora [Wohnen] a tutte le cose e accorda agli uomini un soggiornare in mezzo alle cose. Allora i caratteri dell'incorporarsi scultoreo che consistono nel cercare luoghi e formare luoghi sono destinati a restare senza nome.
La scultura è il farsi corpo della verità dell'essere nella sua opera instaurante luoghi; la verità, in quanto non-ascosità, è destinata [angewiesen sein] a farsi corpo.

1 commento: