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domenica 14 dicembre 2014

Filosofia delle scienze umane: l'implesso percettivo di Jacques Paliard

L'analogia strutturale

Synthesis situs: la profondità anticipa e riassume in sé tutte le relazioni di distanza ed evoca la diversità dei punti di vista. La profondità fa di sé una sorta di synthesis situs.
Quando diciamo "punto di vista" possiamo riferirci a due cose: [α] a cosa stiamo guardando (punto di vista-sguardo); [β] al punto dal quale guardiamo (punto di vista-situazione o situs). Ovviamente entrambi i significati di "punto di vista" co-partecipano alla visione, si condizionano reciprocamente pur appartenendo a due ontologie diverse, uno è uno "spettacolo" l'altro è una posizione spaziale. Tra punto di vista-sguardo e punto di vista-situazione però vi è una faglia.
Cos'è la distanza se non una forma dell'effettivo rapporto (spaziale) tra situs [β] e oggetto? E cos'è l'idea di distanza se non la coscienza del percepiente di essere situato (di avere un punto di vista)? Centrale è così l'idea del corpo, per cui l'idea di distanza diviene distanza: il pensiero cade nell'evento (per esserci) e lo spirito nel corpo (per poter guardare).
La relazione di distanza, ossia in questa corrispondenza tra la distanza (percepita) e l'idea di distanza (misura approssimata della distanza), fa sì che l'una tenda a compensare e a neutralizzare l'influenza dell'altra in modo più concreto nella visione da vicino e più "astratto" nella visione delle cose lontane. L'idea di distanza è la negazione di ciò di cui afferma.

P=SD: S rappresenta il datum visivo [grandezza sensibile], D rappresenta l'idea di distanza (la condizione) e P l'affermazione di presenza (presenza di grandezza) [grandezza apparente]. La presenza è data dal datum visivo [grandezza sensibile] moltiplicato per l'idea di distanza.
La relazione è valida nell'esteriorità per esprimere la situazione oggettiva in cui noi percepiamo. Mostra che c'è nella sensazione una capacità di presenza che cresce con la distanza. È valida nell'interiorità per esprime la connessione degli elementi costitutivi del percetto.
Con ciò emerge l'ambiguità per cui un oggetto di grandi dimensioni a lunga distanza e un oggetto di piccole dimensione a corta distanza dà la stessa presenza [grandezza apparente] e mi appare alla stessa maniera.

Considerazioni intorno all'equazione P=SD

1) con che diritto si passa da sensibile ad apparente (metabasis)?
La percezione si giustifica da sé poiché l'istante percettivo è superato dalla percezione stessa e richiede verifica.
2) occorre mettere delle unità di misura nei fattori dell'equazione?
La coscienza percettiva non si basa su misure, piuttosto valuta (vicino, lontano, grande, piccolo, ecc.). Fuori dal percetto iniziano le misure. P=SD è più una uguaglianza mnemotecnica.

Esempio del cerchio in rotazione sul suo asse: L'ottica fisiologica fa intervenire nelle sue spiegazioni tre piani retinici: orizzonte retinico, mediano e frontale. L'orizzonte retinico è un piano che attraversa gli occhi. Il piano mediano attraversa perpendicolarmente l'orizzonte retinico attraversando il naso. Il piano frontale attraversa perpendicolarmente entrambi i piani ed ciò che ci sta di fronte.
Se faccio ruotare un cerchio sul suo asse, percepirò una ellisse [grandezza apparente P]. Se si riduce la lateralità, cioè la relazione dx-sx, e si avvicina S al piano mediano, l'idea di movimento rotatorio del cerchio controbilancia la riduzione e si vede un cerchio. Da grande distanza o in posizioni [punti di vista-situs] avremmo una percezione equivoca e potremmo prendere S per un'ellisse reale.

Conclusione pratica: la condizione ideale o l'idea di distanza (D) esiste e consiste nell'accorgimento della convergenza che incarna il giudizio di distanza.

Il rilievo e la verità della percezione

Rilievo e illusioni anaglifiche: l'"apparire in rilievo" è un caratteristico modo di presentarsi delle cose per via della profondità. È dovuto ad una sintesi mentale? È già un lavoro dell'ottica fisiologica dato dalla fusione binoculare? In questo capitolo Paliard cerca di inventariare i rilievi e metterli à la tortùre.
Anzitutto il rilievo può essere reale – se l'esperienza tattile lo conferma – o artificiale – se prodotto per mezzo di due cartoni stereoscopici o anaglifi – o illusorio – se non ve n'è alcuno, come nei trompe-l'oeil. Messe da parte le illusioni dobbiamo capire se esiste davvero una sensazione specifica di rilievo nell'ordine della sintesi biologica e non della sintesi mentale.
L'anaglifo è composto di due disegni sovrapposti e si vedono alcune parti coincidere e altre debordare provocando la percezione di immagini doppie – come se costruite su linee prospettiche diverse. Il vedere immagini doppie è detto diplopia. Il rilievo dell'anaglifo si sente come rilievo fuorché non si può toccare. Lo spostamento laterale (destra-sinistra) porta a nuove sintesi dei punti di vista.
Occorre dunque cercare le illusioni anaglifiche che chiariscano se l'origine del rilievo è mentale o fisiologico. Le due illusioni sono quella della crescita del rilievo e quella del movimento laterale. Con il movimento laterale l'immagine non cambia prospettiva ma segue il movimento laterale. Se l'anaglifo rappresentasse un solido si assisterebbe anche ad una distorsione della forma, ma come già detto in una scena complessa è la prospettiva il tratto saliente del quadro visivo.
L'illusione della crescita del rilievo invece consiste nell'ingrandimento del rilievo in proporzione alla distanza dall'anaglifo. In questa illusione Paliard deduce che è disimplicabile, ossia non ha a che fare con l'ottica psicologica e dunque deriva dalla sintesi biologica.
Tutt'altro si può dire dell'illusione del movimento laterale. Se fossi en plen air e davanti avessi una casa ed un albero, se andassi a destra dell'albero l'albero mi sarebbe sulla sinistra. Se fossi davanti ad un quadro e mi muovessi lateralmente l'ordine del quadro non muterebbe. Di fronte – e di lato – ad un anaglifo la sensazione del rilievo provocherebbe l'illusione in virtù della profondità evocata dal rilievo. L'albero rimane lì dov'è come in un quadro e questo determinerebbe l'illusione.


Il rilievo come noema

Sia A l'apparenza e X l'oggetto che essa afferma, dire X determina A è non corretto. Non è corretto nemmeno dire che A determina X. Questo perchè il verbo della percezione non si esprime così. Bisogna dire: A determina X come determinante [di A] e, ancora più in generale, il reale è posto come presupposto.
Quando l'oggetto è prossimo non abbiamo né bisogno del confronto di aspetti [fenomenologia], né dell'esperienza mentale [intellettualismo], né della verifica esplicita [empirismo], né dei segni della prospettiva [geometria], perché abbiamo il rilievo. Di che c'è bisogno? Di due punti di vista in uno, un aiuto, una verifica reciproca, due cammini verso la stessa X [percezione stereoscopica binoculare] e l'affermazione di X non è più indotta, non più costruita, ma sentita e immediatamente evidente.
L'illusione può essere un luogo in cui la vita intellettuale – il verbo esplicito – e quella percettiva – verbo percettivo – si incontrano e si lasciano conoscere. Quando mi accorgo che il mulino in controluce può essere altrimenti da come lo percepisco, la percezione rimane implicita e verifica all'istante i punti di vista modificati.
Il percetto simbolizza l'essere ma non lo possiede. La sintesi [percettiva] si costituisce sull'oggetto e lo realizza: non c'è attuale se non è visibile e "di fronte". Il simbolizzare è già questo realizzare, come può essere la profondità che si realizza oggettivamente attraverso il verbo della percezione.

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