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domenica 21 dicembre 2014

Psicologia politica: la comunicazione politica

Gli obiettivi del politico attraverso il discorso sono quattro: il consenso, presentare la posizione del gruppo di appartenenza, valorizzare la propria posizione a scapito di altre, essere efficace tenendo conto dei vincoli della mediatizzazione della politica. Tutti questi obiettivi si tentano di raggiungere attraverso il ricorso alle categorie sociali quando sappiamo che la categorizzazione è un processo dinamico. Quando il politico dice "noi" può riferirsi a diversi gruppi nell'arco dello stesso discorso. Reicher [2006] definisce il politico come l'imprenditore delle identità in quanto: definisce un "noi" inclusivo di tutti coloro che vuole mobilitare; seleziona le caratteristiche dell'ingroup consonanti con il progetto; confeziona l'immagine in modo che sia coerente con la declinazione del "noi" che ha plasmato.
L'identità non è qualcosa di astratto, ma acquisisce realtà in funzione del contesto del discorso come interazione conversazionale. L'identità non è un'etichetta passiva o latente, ma viene creata per se e per gli altri con fini differenti in modo flessibile e variabile.
A questo punto il politico può far ricorso a strategie retoriche per rendere l'identità evocata come punto di riferimento e modello stabile. Naturalizzazione: l'identità collettiva viene presentata come un risultato di evoluzione storica e inevitabile ("gli italiani sono per loro natura solidali"); eternalizzazione: l'identità viene presentata come permanente e immutabile nel tempo e le vicende storiche supportano la continuità ("gli italiani sono da sempre legati al senso della famiglia").
Il politico perciò crea una categoria identitaria verso la quale attiva i meccanismi di identificazione attraverso il consenso. Allo scopo di creare e rafforzare l'identità di gruppo, il consenso e la mobilitazione civile il politico fa leva sui valori.
Per creare una categoria di riferimento per sé e per l'uditorio il politico nel suo discorso fa appello ad una categoria il più possibile inclusiva e poi proietta su questa categoria i valori e la progettualità del proprio ingroup e lo rende prototipico. L'ingroup così viene posto al vertice di una categoria ampia e generale di cui diventa modello.
Questo evocare un "noi" (ingroup) crea all'istante un "loro" (outgroup) che viene accusato della mancanza dei veri valori. I valori dell'ingroup vengono presentati come universalmente accettati e positivi, mentre loro agiscono in nome di valori negativi, sia per contenuto che modalità di perseguimento perché guidati dalla sete di potere, perciò hanno visioni radicali e fanatiche, denotanti intolleranza e irrazionalità. Spesso si fa ricorso allo spettro di ideologie storiche ben conosciute per la ferocia e l'illibertà, quindi l'avversario diviene ideologico e politicizzato. Più le persone si sentono minacciate più il valore proposto si rende saliente e degno di essere desiderato.
Il politico può far ricorso alla criminalizzazione evocando un ordine morale e politico salvifico. Il nemico perciò trasgredisce le norme dell'ordine e il discorso tramite il lessico e l'elenco di azioni criminali rende il nemico un criminale.
Esiste un ordine superiore per rendere il nemico degno di odio. La demonizzazione bandisce il nemico dall'ordine morale e l'ingroup si erge ad alfiere del bene e l'outgroup diventa l'esercito del male. Questo tipo di strategia ha luogo nelle culture religiose ove poter semplificare in modo unidimensionale la lotta tra ingroup-outgroup. Il male porta facilmente ad una deumanizzazione dell'outgroup e quindi la lotta diviene tra esseri umani ed un'altra specie.
Non sempre però vengono perseguiti obiettivi di separazione dai politici, sempre più spesso si tenta anzi di far leva sul valore dell'universalismo per poter rappresentare categorie sociali potenzialmente contrapposte. L'universalismo per sua natura non accetta chiusure ma rimane aperto per fare entrare tutto ciò che esiste.

L'efficacia delle figure retoriche è risaputa sin dall'antichità. Aristotele la definiva come "la facoltà di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo ciascun soggetto" e la riteneva essenziale per i politici. Un modo importante per ottenere consenso è costruire una rappresentazione della realtà, presente, passata e futura che sia il più possibile condivisa ed emotivamente coinvolgente. Le figure retoriche della metafora e dell'analogia sono teniche semplici, mentre ad esempio la retorica del futuro è più articolata. La dote più grande del leader è quella di rappresentare non il presente ma gli eventi possibili. L'obiettivo è quello di rappresentare la possibilità come inevitabilità in modo da poter plasmare il corso degli eventi. È possibile distinguere due componenti del discorso politico che fa ricorso alla retorica del futuro:
1) componente epistemica: affermazioni e descrizione del futuro;
2) componente deontica: proposte relative al futuro, come e cosa di dovrebbe fare.
Questi discorsi sono efficaci in quanto fanno leva sulle ansie e le incertezze delle persone riguardo al futuro e l'indeterminatezza del futuro fa sì che si possa influenzarne la percezione. La forma del discorso spesso porta alla luce dei futuri più o meno gradevoli e in competizione tra loro, uno scenario viene preferito agli altri in modo da eliminare dei futuri e il pubblico viene coinvolto.

Una strategia retorica detta reificazione della minaccia permette di nominalizzare verbi che portano una connotazione negativa ("l'uragano ha devastato la costa", "la costa è stata raggiunta dalla devastazione"), questa strategia oscura gli agenti dell'azione che vengono dati per scontati e comunicati come facessero parte di un patrimonio di conoscenze comuni. Come tutte le strategie che evocano la paura in genere risulta efficace e pare lo sia al massimo con il tipo autoritario, che come detto è più incline a percepire la minaccia.

Presentare se stessi come fonte autorevole e credibile è un punto di partenza importante perché il discorso sia coinvolgente e convincente. Fonti esperte sono più persuasive di fonti inesperte. Un'euristica di giudizio fa sì che noi percepiamo un discorso non per il suo contenuto ma per la competenza di chi lo pronuncia. L'eloquio spedito e veloce, diretto e senza esitazioni sono gli indici automatici per giudicare la competenza del parlante.
È stato inoltre osservato che numeri, grafici ed equazioni creano un'atmosfera di obiettività scientifica ed hanno un buon effetto persuasivo.
Anche citare in un discorso indiretto fa sembrare che la propria opinione sia condivisa.
I proverbi rappresenteno l'essenza del senso comune (doxa), introducendoli nel discorso il parlante non parla a titolo personale ma attraverso la saggezza popolare di intere generazioni. I proverbi risultano difficili da confutare, semplici da ricordare e affermano una appartenenza nel gruppo degli ascoltatori.
Quando il politico riesce a suscitare l'applauso il giudizio positivo nei suoi confronti aumenta. Pare che alcuni dispositivi retorici vengano applauditi più di altri. Spesso i politici ricorrono ad una dialettica tra posizioni opposte, facendo emergere un contrasto. È possibile convincere più a fondo qualora venga proposta la tesi che poi viene premiata dalla dialettica. Le liste tripartite avvengono invece quando nel discorso vengono elencati tre argomenti a supporto della propria tesi dando l'idea di completezza.
Nella relazione con l'interlocutore fare ricorso all'umorismo e all'ironia può essere molto vantaggioso. Ridere insieme crea sintonia e fare battute e ironia crea compliticità con chi ascolta, inoltre umorismo e ironia sono ottime strategie per metter sé in buona luce a scapito di altri. Al contempo però sono molto difficili da usare e un fallimento si ritorce contro chi li ha usati.
Quando le persone sono di buon umore vengono persuase più facilmente.

La psicologia ha messo in luce come la parte non-verbale della comunicazione giochi un ruolo determinante nelle relazioni interpersonali. Gli studi in ambito politico hanno portato alla luce degli importanti aspetti dei dibattiti televisivi. Si è visto che vi sono dei gradi di differenza nella dominanza della voce, nella frequenza fondamentale. Il candidato meno dominante tenderà nel corso del dibattito ad imitare la voce del più dominante. Si è notato che chi aveva la voce più dominante poi avrebbe vinto le elezioni con più probabilità. I movimenti del corpo (spalle, braccia, busto) sono altri segnali di dominanza. La percezione della dominanza del candidato è segnale di leadership e come sappiamo è uno dei tratti principali con la quale viene valutata la sua personalità.
I gesti delle mani accompagnano il discorso politico per dare enfasi alle parole (gesti ritmici, deittici, embelematici, metaforici), ma anche per scaricare ansia e agitazione (gesti oggetto-adattatori, gesti autoadattatori). I primi suggeriscono la personalità del politico, mentre i secondi la specificatamente la sua dominanza. Toccare oggetti per scaricare ansia è meno penalizzante che toccarsi.

La dimensione del conflitto è la dimensione principale della politica. Non v'è uomo politico senza avversario. La mediatizzazione della politica, alla ricerca della spettacolarità, non dà molto spazio al conflitto come scontro dialettico di idee, ma allo scontro diretto tra i protagonisti. La politica mediatizzata ha delle regole che non aveva ai comizi, ma che vanno per forza rispettati. Il conduttore degli scontri tra politici ha lo scopo di semplificare e dicotomizzare il discorso politico e può farlo attraverso: a) interruzioni; b) disconferma delle intenzioni comunicative (come fare domande secche). Il politico può ribellarsi con le così dette insubordinazioni, come chiamare l'attenzione o chiedere di continuare a parlare.
Distinguendo le due funzioni della comunicazione politica possiamo individuare due tipi di conflitto inter pares. Nell'ambito proposizionale abbiamo il conflitto ad rem, che riguarda ai contenut, e nell'ambito relazionale il conflitto ad personam e riguarda la relazione dei parlanti.
Nel caso della distribuzione mediatica gli indici di ascolti sono molto più alti durante i conflitti ad personam.

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