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domenica 14 dicembre 2014

Psicologia sociale cognitiva: il funzionamento degli schemi

Lo schema è una struttura cognitiva che rappresenta la conoscenza a proposito di un concetto e di un particolare stimolo; esso prevede sia gli attributi che lo caratterizzano, sia le relazioni tra questi. Gli schemi facilitano l'attivazione di processi chiamati concettualmente guidati, ossia percorsi di elaborazione che partono dai nuclei concettuali di ordine superiore per prendere in carico i dati provenienti dall'ambiente (top down).

Una possibile tipologia degli schemi sociali

Possiamo dividere gli schemi in quattro tipologie (Taylor e Crocker, 1981).
a) Schemi di persona: comprensione del significato psicologico associato alla combinazione di particolari tratti di personalità.
b) Schema di sé: comprensione della propria personalità. Si dicono schematiche quelle concezioni di sé precise e definite, aschematiche quelle indefinite ed ambigue.
c) Schemi di ruolo: insiemi di comportamenti attesi da una persona che occupa una posizione nella struttura sociale. La distinzione è quella tra ruoli di tipo acquisito, ossia raggiunti sulla base di un impegno e di uno sforzo realizzato, e ruoli di tipo ascritto, ossia sulla base di un destino biologicamente determinato.
d) Schemi di eventi (script): hanno la funzione di rappresentare le sequenze di eventi che si succedono nelle situazioni sociali basate su routines di tipo comportamentale.

Gli schemi e la codifica delle informazioni sociali

Il ruolo dello schema nella cognizione influenza la codifica di nuove informazioni, la memoria per quelle già possedute, e le inferenze prodotte per integrare qulle mancanti.
Le caratteristiche fisiche sono così salienti da avere una sorta di priorità d'accesso nell'attivare degli schemi sociali: è sufficiente che una persona venga descritta come bianca o nera, maschio o femmina, giovane o vecchia perché si attivi immediatamente il contenuto stereotipico dello schema corrispondente, ossia associazioni con tratti e comportamenti tipici della categoria sociale in questione. Una volta attivato lo schema viene influenzata in maniera significativa la velocità con cui percepiamo l'oggetto, il modo in cui intepretiamo le caratteristiche a cui prestiamo attenzione, il modo in cui notiamo le somiglianze e le differenze.
Non sorprende che se tutto questo accada solo nominando un'ettichetta linguistica il paradigma del priming sematico eliciti le strutture categoriali implicite nella memoria. (vedere paradigma di ricerca "priming semantico").
Un effetto particolarmente vistoso che emerge quando i partecipanti degli esperimento con prime semantico codificano le caratteristiche delle persone sulla base dell'attivazione di uno schema sociale è quello che consiste nel minimizzare la variabilità intragruppo e massimizzare le differenze intergruppo.
Il caso del proprio gruppo di appartenenza invece accentua la complessità intragruppo, mentre i gruppi esterni ci appaiono omogenei. La spiegazione di Park e Rothbart (1982) si basa anzitutto su livelli diversi di categorizzazione per cui il livello di categorizzazione usato determinerebbe l'elaborazione delle informazioni legate al gruppo. Fischer e Salovey (1989) propongono la familiarità con le persone del gruppo di appartenenza osservando perciò comportamenti diversificati, per cui l'omogeneità dell'outgroup sarebbe dovuta ad una mancanza di familiarità con i membri. Judd e Park (1988) propongono che l'omogeneità sia data dalle informazioni basate sull'esemplare. Nel primo caso l'elaborazione è top down ed olistica, nel secondo (familiarità ed esemplare) bottom up ed elementarista.

Gli schemi e i processi di memoria

Passare da uno schema all'altro attiva processi diversificati in memoria, perciò si attivano ricordi e aspettative in linea con lo schema. Sono numerose le ricerche che dimostrano quanto forti siano gli effetti che derivano sulle prestazioni di memoria dei soggetti i quali abbiano attiviato uno schema prima di prendere contatto con situazioni, persone ed eventi. Ad esempio i soggetti ricordano con maggiore accuratezza e dettagli le informazioni a propostito del proprio gruppo che del gruppo esterno, ad eccezion fatta per la maggior facilità di reperimento di informazioni su comportamenti negativi messi in atto da membri dell'outgroup.
In sostanza la guida dello schema fa sì che le informazioni rilevanti vengano valutate e ricordate, mentre quelle irrilevanti dimenticate. In linea di principio, lo schema attivato, se è in fase di sviluppo o di vaglio, rende particolarmente sensibili alle informazioni incoerenti con esse. Al contrario, gli schemi stabili e coerenti predispongono alla ricerca di conferme.
Il secondo principio dice che se vengono associate informazioni incoerenti con quelle coerenti, questo favorisce il ricordo del materiale, ma sia dispendioso in termini di risorse cognitive.
Il terzo principio è relativo alla cognizione sociale. Se si è formulato uno schema di interpretazione si è più tolleranti nell'accettare una eccezione di un gruppo che di un singolo individuo. Se lo schema è riferito ad una sola persona i soggetti si impegnano a codificare in forme ragionevoli le informazioni incoerenti e quindi tendono a ricordarle con maggiore efficacia.
Tanto più è sofisticato lo schema attivato tanto sarà minore l'attenzione verso le informazioni incongruenti e quindi tanto minore sarà il ricordo successivo.

Le conseguenze della categorizzazione sociale: l'attivazione di conoscenze schematiche

Oltre alla già citata somiglianza intracategoriale e l'accentuazione della diversità intercategoriale Wittenbrink  et al. hanno scopoerto nel 1997 un'altra caratteristica dell'attivazione stereotipica tramite il prime semantico. I soggetti bianchi scelti dal team di ricerca vengono sottoposti ad una serie di prove apparentemnte scollegate. Nella prima si chiedeva di dire se il nome che appariva al monitor apparteneva ad un Bianco o ad un Nero. Nella seconda prova si chiedeva di stabilire se la parola mostrata aveva senso oppure no. Alcune parole rimandavano allo stereotipo del Nero, alcune  quello del Bianco, altre non avevano senso e altre non erano legate allo stereotipo. Per un periodo di 15ms prima dell'apparizione della parola veniva mostrato un prime che poteva essere Black, White o i casi precedenti. La parola prime veniva subito mascherata con delle X. L'etichetta Black accelerava il tempo di risposta quando il target era un tratto negativo dello stereotipo, mentre non accadeva con il tratto positivo.
Devine (1989) dimostrò che non importasse tanto il livello di pregiudizio per avere una attivazione stereotipica, ma bastasse essere esposti agli stereotipi appartenenti alla comunità di appartenenza. Tutti sarebbero quindi in possesso di stereotipi, ma sarebbero poi altri processi successivi a smorzare l'effetto nelle persone con basso grado di pregiudizio. La ricercatrice espose subliminarmente per 80ms in zona parafoveale degli stimoli prime che potevano essere associati allo stereotipo degli afroamericani, in seguito nascosti da stringhe senza senso. Il compito dei soggetti era quello di riferire se lo stimolo fosse apparso a destra o a sinistra. In seguito veniva proposta una situazione ove giudicare un certo Donald (nome scelto perché non ha una tipicità razziale) si esprimeva con comportamenti ambuigui, ma sicuramente ostili (rifiutarsi di pagare l'affitto finché il padrone di casa non avesse imbiancato, ecc.). Quelli esposti a prime attivanti lo stereotipo razziale predisponeva a considerare Donald più ostile o comunque dotato di intenzioni ostili. Dunque l'attivazione di uno stereotipo non solo farebbe interpretare i fatti in un modo anziché in un altro, ma anche elaborare proprio quegli elementi che sono coerenti con lo stereotipo.
Bodenhause e Lichtenstein (1987) dimostrarono questo effetto in una situazione applicata, un processo penale. Agli sperimentandi veniva assegnato un faldone che tendeva all'innocenza dell'imputato, accusato di aggressione. Se si diceva che l'imputato era un ispanoamericano o un americano bianco, la sentenza cambiava direzione perché il primo veniva considerato aggressivo in quanto tale.
Questo conferma che gli schemi hanno una efficacia nella vita quotidiana tanto da determinare i comportamenti, tanti che risulta molto più agevole l'esecuzione del comportamento piuttosto che la stua traduzione verbale. Si ritiene che gli stereotipi contengano i comportamenti tipici dei membri dei gruppi stereotipati e dei comportamenti da tenere nei loro confronti. Ciò vuol dire che attivato uno schema vengono attivate anche le azioni da svolgere.
Gli esperimenti di Bargh dimostrano come gli abituali comportamenti si modifichino a seconda del tipo di rappresentazione che abbiamo attivato in memoria. In un famoso esperimento in cui i partecipanti prima  ricostruiscono una frase, il prime, e poi si trovano in una situazione in cui l'effetto del prime era in grado di predire l'esito. Se le frasi attivavano lo schema della "gentilezza" i soggetti aspettavano che lo sperimentatore finisse di parlare con un collaboratore, se invece lo schema era "scortesia" i partecipanti probabilmente interrompevano lo sperimentatore. In un altro esperimento Bargh, attivando lo schema "anziano", faceva uscire i partecipanti camminando più lentamente! Questo significa che lo schema cognitivo attiva uno schema motorio.
Bargh espose sublimalmente i volti di persone di colore durante un noioso compito al computer. Di seguito, provocato un errore intenzionale del programma, i soggetti si dimostrarono più ostili ed aggressivi rispetto al gruppo di controllo. La stessa cosa accadeva se poi il partecipante avesse conversato per un citofono con uno sconosciuto. Se lo schema "persona di colore" era attivata la conversazione probabilmente prendeva una brutta piega, anche per il collaboratore dall'altro lato del citofono.
La costruzione della realtà sociale e delle interazioni sociali può avvenire a partire dalle conoscenze attivate nella mente di un singolo individuo in un gioco di continui scambi comunicativi attraverso i quali le modalità tipiche di interazione dei gruppi e dei membri vengono continuamente riprodotte, lasciando poco spazio a fattori capaci di modificare il corso del processo sociale.

Il ruolo della motivazione e delle risorse cognitive

Sembra che la nostra attivazione possa funzionare da alibi per qualsiasi tipo di comportamento messo in atto, però le cose non sono così semplici. Il percorso della conoscenza è inevitabile, ma il passaggio all'atto può essere controllato. La consapevolezza dell'azione di uno stereotipo permette di intervenire nelle risposte ed eliminare l'influenza dello stesso nel nostro comportamento effettivo. In questo vi sono profonde differenze tra persone con alto o basso livello di pregiudizio.
Laddove sono presenti forti componenti motivazionali che inducano ad impegnarsi nell'elaborazione è possibile giungere a impressioni meno stereotipiche. In generale la motivazione a formare una percezione accurata riduce le risposte affette da pregiudizio. Però questo risulta assai dispendioso.
Bodenhausen (1990) ha esaminato i giudizi emessi dai partecipanti riguardo la probabile colpevolezza di un ispanoamericano: la variabile indipendente era costituita dall'ora del giorno. La ricerca ha proposto due tipi di personalità basandosi sui ritmi circadiani: la "personalità mattutina" forniscono migliori perfomance la mattina, mentre le "personalità serali" alla sera. L'esperimeno dimostra come sia più probabile che l'imputato sia considerato colpevole quando si chiede di giudicare in momenti in cui il ritmo circadiano non permette alla persona di disporre del massimo della proprie potenzialità.
Stangor e Duan (1991) hanno dimostrato che quando una persona non dispone di tutta la potenza cognitiva, ad esempio durante un doppio compito, sarà più propenso ad utilizzare euristiche per elaborare impressioni su elementi sociali.
Pendry e Macrae (1994) hanno provato a manipolare due variabili indipendenti, la motivazione e il carico cognitivo. Il compito consisteva di farsi un'idea su una signora sessantaciquenne di nome Hilda e poi aiutarla a risolvere un suo problema. Veniva proposta una somma in denaro in modo da controllare la motivazione, ma dato l'esperimento veniva approntato a coppie di partecipanti, quando la somma era destinata ad uno solo dei due la motivazione ne risentiva. Per manipolare il carico veniva richiesto di memorizzare numeri oltre che l'ascolto della descrizione della signora. I partecipanti poco motivati davano ampio spazio a conoscenze stereotipiche e davano poco peso alle informazioni che contraddicevano lo stereotipo. I partecipanti motivati, ma alle prese con ulteriori compiti cognitivi, tendevano comunque a fornire descrizioni stereotipiche. Questo dimostra che la motivazione da sola non basta, in gioco ci sono fattori contestuali.

Le precedenti esperienze e il giudizio sociale

Macrae (1998) creò una specie di effetto Stroop della percezione sociale. I partecipanti dovevano stabilire se un nome e cognome appartenesse ad un uomo oppure ad una donna nel più breve tempo possibile. I cognomi erano manipolati in modo da ricordare personaggi famosi conosciuti, mentre il nome non era mai quello del personaggio famoso e poteva essere incongruente per genere. I partecipanti risultavano più lenti quando al cognome famoso era associato un nome diverso per genere al personaggio conosciuto.
Andersen (1990) propose un esperimento in cui i partecipanti erano invitati a descrivere una persona significativa e una di cui avevano una conoscenza superficiale. La condizione sperimentale prevedeva che alcuni partecipanti continuassero l'esperimento mentre altri da due a quattro settimane dopo. Un secondo sperimentatore aveva il compito di far sembrare ai partecipanti che si trattasse di un altro esperimento. Qui i soggetti ascoltavano la descrizione di quattro diverse persone, alcune delle quali condividevano tratti delle descrizioni fornite prima. Nella terza parte i partecipanti dovevano discernere tra frasi già sentite in precedenza e nuove, tutte con accanto un nome. Quest'ultime erano comunque legate ad una persona descritta in precedenza. Come da ipotesi gli errori nel considerare nuove frasi come appartenenti ad una persona erano da attribuirsi ad una conoscenza pregressa.
Lewicki (1985) fece in modo che i partecipanti incontrassero uno sperimentatore a volte sgarbato e a volte neutro. Questa differenza nel comportamento era la manipolazione sperimentale. Nella parte successiva il partecipante di trovava di fronte a due sperimentatori, uno con lo stesso taglio di capelli del precedente. Nel caso di controllo i partecipanti si riferivano ad entrambi, nel caso sperimentale solamente a quello con il taglio diverso. Nessuno si rese conto di questo.

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