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domenica 14 dicembre 2014

Psicologia sociale cognitiva: ruolo dei processi automatici nel giudizio sociale

Introduzione

Nella nostra vita di relazione siamo costantemente impegnati a mettere alla prova la nostra abilità per scoprire cosa siamo e cosa non siamo in grado di fare. Generalmente una persona posta in un nuovo ambiente sociale tende a confrontarsi con gli altri per comprendere cosa il gruppo condivide come gerarchia di conoscenze e valori. Festinger (1954) ha dimostrato che tanto più i membri del gruppo condividono le nostre opinioni tanto più siamo sicuri di noi stessi.

Esempi di elaborazione automatica nel giudizio sociale

Skinner disse che immaginare una libertà di espressione della condotta portasse a delusione, perché gran parte dei comportamenti umani sono determinati dall'ambiente e dalla storia personale. La rottura con il paradigma comportamentista da parte del cognitivismo ha portato l'interesse verso i processi automatici di riconoscimento di stimoli semplici via via sempre più complessi.
A questo proposito gli psicologi sociali cognitivi hanno individuato un errore tipico nel giudicare gli altri. L'errore fondamentale di attribuzione è la sistematica attribuzione a cause disposizionali (della personalità) ad eventi comportamentali. Allo stesso modo gli attori sociali attribuiscono al Sé i successi e all'ambiente – o agli altri – gli insuccessi. Queste valutazioni tendenziose, che poi sono le stesse della comprensione dell'alterità attraverso lo stereotipo, sono in larga parte fuori controllo.

Scopi, intenzioni, comportamenti: componenti automatiche

Molti sono gli esperimenti che dimostrano che gli scopi e le intenzioni dirigono la condotta degli individui, così come certe sequenze di comportamento sono recitazioni di copioni sociali condivisi. Carver et al. (1983)  hanno dimostrato che attivando con prime aggressivi un soggetto che poi aveva il ruolo di insegnante con tanto di elettroshock per punire, con molta probabilità poi avrebbe esibito una condotta più ostile. Bargh e Barndollar (1996) hanno dimostrato che con prime attivanti il concetto di prestazione (achievment) superavano con i migliori punteggi giochi di parole come Scarabeo.

Le caratteristiche del processo automatico

Johnson e Harsher (1987) affermano che un processo per definirsi automatico deve:
a) essere non intenzionale;
b) realizzarsi al di fuori della consapevolezza;
c) non essere controllabile;
d) essere efficiente come consumi.
Ben presto gli studiosi si sono accorti che i processi controllati e quelli automatici non sono mutualmente escludentesi, ma paralleli. Bargh (1994) dimostrò che nelle situazioni sociali nessuno dei processi coinvolti soddisfa appieno le caratteristiche previste dal modello.

La relazione tra componenti automatiche e controllate nel giudizio sociale

Per molti autori gli stereotipi rappresentano il prototipo di processo automatico, ma Devine (1989) ha dimostrato che non sono né incontrollabili, né inevitabili. Su di essi è possibile esercitare un controllo ex post dopo che il loro manifestarsi è avvenuto inintenzionalmente. La consapevolezza dell'attivazione è necessaria per poterla controllare, non è sufficiente una consapevolezza dello stimolo.
Dunque consapevolezza, disponibilità cognitiva, informazioni non abbondanti contribuiscono all'uscita del copione dello stereotipo. Le ricerche hanno individuato dei tipi di informazioni che vengono valutate sistematicamente: quelle rilevanti al Sé, quelle che rendono accessibili costrutti di personalità o realizzano certi processi attribuzionali, quelle che riguardano l'accettazione verbali indicanti credenze.

L'atteggiamento di pregiudizio tra espressioni implicite ed esplicite

Una difficoltà incontrata dall'approccio psicosociale era quello di rilevare una relazione tra il resoconto verbale di un atteggiamento e il successivo comportamento. Ad esempio un bianco può manifestare principi egualitari e poi far fatica a stringere la mano ad un afroamericano. Il paradigma sociocognitivo ha a sua disposizione una serie di strumenti per misurare il pregiudizio, perché considera una parte emersa il giudizio espresso verbalmente.

La possibilità di controllare le risposte d'atteggiamento: un nuovo continuum

Maas, Castelli e Arcuri (2000) sugeriscono di interpretare il livello di pregiudizio come un parametro per inferire sulla maggiore o minore capacità delle persone di controllare o nascondere il loro atteggiamento implicito. La proposta è quella di un continuum dove ai poli si trovano le risposte a cui è facile opporre un controllo e al polo opposto ove sono incontrollabili. Viene così a delinearsi un tipo di pregiudizio non monolitico, ma ambivalente.
Pettigrew e Meertens (1995) distinguono del pregiudizio aspetti vistosi ed evidenti (blatant) e aspetti latenti (subtle). Nelle ricerche è emerso che i soggetti dalle tendenze più egualitarie siano comunque portatrici di pregiudizio latente. Gli esperimenti hanno evidenziato che la natura del pregiudizio si manifesta negli aspetti della vicinanza spaziale e nella comunicazione non verbale che trasmette desiderio di allontanare o allontanarsi. L'esperimento di Wittenbrink e Henley (1996) suggerisce che le persone più cariche di pregiudizi siano anche quelle che tendono a conformarsi di più con l'opinione sociale. L'esperimento faceva credere di partecipare ad un sondaggio sugli atteggiamenti razziali impostato per dare l'impressione di un'opinione sociale tendente alla segregazione all'integrazione. I soggetti ad alto pregiudizio si conformavano al vento, mentre gli altri tendevano a mantenere esplicito il proprio atteggiamento nonostante la norma sociale.
Lepore e Brown (1997) hanno dimostrato che l'intensità del pregiudizio modula la risposta stereotipica dopo un prime semantico.

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